• Non ci sono risultati.

I Tribunali militari Internazionali di Norimberga e Tokyo.

3. Certezza del diritto, Giustizia e Funzione della pena nelle esperienze di “Transitional Justice”.

3.3 Alcune esperienze (concrete) di giustizia di transizione.

3.3.1 I Tribunali militari Internazionali di Norimberga e Tokyo.

La prima fase, nella ricostruzione della Teitel134, è quella dei celebri Tribunali militari

Internazionali e viene fatta coincidere, prima di tutto, con la scelta di punire i gerarchi

nazisti. In questa, la giustizia di transizione è inquadrata come strumento che segna la “rottura del legame tra giustizia e uguaglianza” con conseguente “crisi” della certezza del diritto. Già Aristotele parlava di “giustizia fondata sull’uguaglianza e sulla proporzione”135

affermando che “l’idea di uguaglianza rappresenta la componente semantica imprescindibile della nozione di giustizia. (…) Intesa nel significato minimo di uguaglianza, la giustizia rappresenta anche un metodo di decisione, insomma una tecnica di scelta pratica di carattere generalizzante, una tecnica decisionale basata sull’applicazione di uno standard generale che si contrappone alle tecniche di scelta individualizzante basate sulla valutazione delle peculiarità di ogni singolo caso.”136 Tale teoria - secondo Norberto Bobbio - rappresenta ancora oggi “la base per risalire al nesso tra legge e giustizia”137

e l’interruzione di questo – secondo diversi interpreti138 – può ritrovarsi in una giustizia di transizione di carattere “punitivo”. A questa cesura segue una

“crisi della certezza del diritto”, non soltanto perché viene meno la possibilità di trattare

tutti i casi uguali in modo uguale – principio di ragionevolezza, stante alla base del diritto certo – ma anche perché la giustizia di transizione “meramente punitiva” finisce per essere considerata “ontologicamente retroattiva” o, in altri termini, si vede costretta a derogare al divieto di retroattività della legge penale al fine di raggiungere il suo

132 Così in G.VASSALLI, Formula di Radbruch e diritto penale, Giuffrè, Milano, 2001. 133

Per l’analisi approfondita delle transizioni tedesche post – nazista e soprattutto post- comunista rinviamo alla parte seconda.

134 R.J.TEITEL, Transitional Justice, Oxford university press, New York, 2000. 135

ARISTOTELE, Etica Nicomachea, vol.V.

136

M.JORI/A.PINTORE, Manuale di Teoria generale del diritto ed.II, Giappichelli, Torino, 1995, p.176

137 N.BOBBIO, Teoria generale della politica, Einaudi, Torino, 1999, p.261.

138 Secondo Freeman può parlarsi di interruzione del nesso uguaglianza – giustizia “sia sul piano giuridico,

in quanto le pratiche poste in atto da una società non sempre rispettano il principio di uguaglianza, sia su un piano più generale, perché tutte le istanze di giustizia di transizione affrontano, nella maggior parte dei casi, situazioni analoghe in maniera differente”. Così in M.FREEMAN, op.cit., 2006.

78

fondamentale scopo di “regolare i conti con un passato di illecito”139

, ma finendo per essere considerata una “giustizia dei vincitori”.140

Alcuni autori141 hanno in tal caso parlato di “gestione del passato attraverso il diritto

penale” (“Bewaltigung del Vergangenheit dursch Strafrecht”) a cui si fa corrispondere

sempre un binario penale straordinario, tanto che, il fenomeno transitorio viene spesso richiamato anche col nome di “ex post facto (criminal) justice”.142

Tale retroattività viene presentata come “ontologica”, come facente parte dell’essere in quanto tale della “Transitional Justice”, poiché già dalla sua prima manifestazione, attraverso le vicende dei celebri Tribunali militari di Norimberga e di Tokyo, acquisiva questo carattere al fine di punire un qualcosa che, al momento in cui avvenne, non poteva dirsi punibile.

Con l’istituzione del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, il cui statuto venne redatto l’8 agosto del 1945 e successivamente il Tribunale Militare Internazionale dell’Estremo Oriente (conosciuto come di Tokyo) il cui statuto invece risale al 19 gennaio 1946, ebbe luogo quella che può essere considerata la prima esperienza “moderna” di giustizia di transizione. Tali tribunali furono istituiti al fine di processare i gerarchi delle due potenze risultanti “vinte” al termine del secondo conflitto mondiale, in merito a reati che fino ad allora “non esistevano”143

e per tale, si esigeva una deroga del principio di irretroattività della legge penale. La scelta di processare i soli gerarchi presenta una manifesta “iniquità”: punire i soggetti occupanti il gradino più alto nella scala gerarchica del regime decaduto e non anche tutti coloro che in veste di meri esecutori – si sono macchiati di quelle che vennero definite come “human rights gross violation” porta a pensare che più che ai principi del diritto penale, i tribunali di Norimberga e Tokyo abbiano teso alla logica del “capro espiatorio”. In realtà la questione non può essere liquidata soltanto in questi termini poiché il messaggio che venne trasmesso a più riprese da Norimberga era quello di una volontà di creare un precedente affinché quanto accaduto non si ripetesse più e, data la gravità delle violazioni commesse, bisognava intervenire in maniera diversa rispetto ad un “comune” processo. La polemica gravitante intorno a quello che è stato più volte definito il “tribunale dei vincitori” è infinita poiché destinata a dilatarsi abbracciando quello che è considerato uno dei più

139 J.ELSTER, Chiudere i conti, Il Mulino, Bologna, 2008. 140

D.ZOLO, La giustizia dei vincitori – da Norimberga a Baghdad, Ed.Laterza, Roma-Bari, 2006.

141

JESSE/LOW ,Vergangenheitsbewaltigug, Berlino, 1997.

142 Così in BRAGYOVA, Legality and ex post facto political justice in Acta Iur. Hungarica, 1991.

143 Il riferimento viene fatto specificamente ai Crimini di Guerra, Crimini contro l’umanità e contro la Pace

che ad esempio, nell’Art.5 St. Trib. Norimberga, vennero definiti come: “la pianificazione, l’inizio o la dichiarazione di una guerra d’aggressione o di una guerra in violazione dei trattati di pace internazionali o la complicità in qualunque delle fattispecie menzionate”.

79

“spinosi” dibattiti della storia del diritto: quello tra diritto naturale e diritto positivo. Probabilmente proprio per questo, uno dei più accaniti detrattori del tribunale di Norimberga fu colui il quale viene considerato uno dei maggiori – se non il maggiore – esponenti del “positivismo giuridico”: Hans Kelsen. Eppure Kelsen, nel 1944144, si era espresso a favore della possibilità di istituire un tribunale penale internazionale all’esito del secondo conflitto mondiale, slavo poi assumere una posizione nettamente contrastante nel 1947 affermando – dopo il processo di Norimberga – che il processo e la sentenza di quel tribunale non potevano avere il valore di un precedente giudiziario: “Se i principi applicati a Norimberga fossero diventati un precedente, allora al termine di ogni guerra i governi degli Stati vittoriosi avrebbero potuto sottoporre a processo i membri dei governi degli Stati sconfitti per aver commesso delitti definiti tali unilateralmente e con forza retroattiva dai vincitori”.145

Sul punto si è soffermata anche Hannah Arendt che riteneva “estremamente deboli” le motivazioni addotte dai paesi vincitori al fine di giustificare l’istituzione del tribunale e il suo operato: “Il precedente dell’incriminazione del Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern riguardava la violazione dei trattati e non il crimine di aggressione che nel processo di Norimberga era stato il principale capo d’accusa. E d’altra parte il patto Kellog-Briand, che nel 1928 aveva condannato la guerra di aggressione come strumento di politica nazionale, non aveva stabilito alcun criterio per definire la guerra di aggressione, né aveva previsto sanzioni contro gli Stati e neppure, tantomeno, contro gli individui”146. Nel suo lavoro, la Arendt si espresse anche contro la logica del capro espiatorio che dominava quei processi per suo dire “teatrali” nei quali non venivano rispettati i diritti soggettivi degli imputati, su tutti la presunzione di non

colpevolezza e l’habeas corpus. L’autrice arrivò a dipingere come “banale” il male

rappresentato da singoli individui come Adolf Eichmann il quale a contatto diretto poteva essere considerato “un uomo comune e assetato di potere al punto tale da eseguire ciecamente gli ordini che gli venivano impartiti.” Non tutti si sono mostrati concordi con questo “ritratto” criticando il fraintendimento di fondo di una “mera acquiescenza agli atti processuali”. Su questa linea intervenne Golo Mann il quale riconobbe alla Arendt di aver comunque “dipinto” un ritratto fedele di Eichmann che “non era un mostro o un sadico, bensì un uomo oltremodo comune”; tuttavia e qui sta l’errore della Arendt secondo Mann – “il fatto che fosse un essere razionale e non un idiota, che fosse un marito tenero

144 H.KELSEN, Peace Through Law, University of North Carolina, Chapel hill, 1944. Ristampato da

Lawbook Exchange, 2001.

145

H.KELSEN, Will the judgement in the Nurberg trial constitute a precedent in International Law? in The international Law quarterly, 1947, p.115.

80

e un padre amorevole, nonché un amico disponibile, non giustifica che Eichmann venga presentato come innocuo e bonario. Con osservazioni del genere non si risolve il problema della crudeltà e diabolicità dell’uomo. (…) Il contrasto tra la normalità persino bonaria dell’individuo e la mostruosità e diabolicità del suo comportamento non può essere liquidato come «banalità del male». Questa definizione è frutto di una saccente dialettica che genera una notte in cui i buoni non sono buoni e i cattivi non sono cattivi.” Tale digressione serve soprattutto al fine di “fotografare” i diversi animi gravitanti intorno alla vicenda di Norimberga e ad una giustizia di transizione di carattere essenzialmente “punitivo”. I problemi, in tal senso, sono creati da un modello processuale “pilotato” da alcuni contro altri che si rivolge a “calpestare” i principi del diritto penale facendo richiamo, al fine di giustificarsi, a valori “superiori” al diritto positivo, ma difficilmente tangibili. Ecco perché nelle esperienze “in transition” successive si sono cercate anche strade alternative alla sola punizione “retroattiva” dei responsabili o, in caso si propendesse per una punizione retroattiva, si sono cercate alternative “giustificazioni”.

Sul tema si è interrogato a lungo Antonio Cassese ponendosi il problema di cosa fare al termine di conflitti cruenti sia interni che internazionali147 per poter ricostruire un ordine sociale e pacifico sulle macerie prodotte dalla guerra. Cassese spiega prima di tutto, il problema di una giustizia di transizione di carattere tout court non punitivo affermando che: “il tentativo di rimuovere giuridicamente, con una legge o con comportamenti di fatto, le atrocità commesse durante un conflitto armato serve a riconciliare gli animi solo a breve termine e solo in superficie”. L’altro lato della alternativa è quello di punire i

colpevoli attraverso organi giudicanti che, in maniera imparziale accertino le colpe, ma

anche in tal senso Cassese non trova la soluzione del tutto convincente: “i Tribunali penali internazionali sono costretti dalla natura della loro stessa organizzazione, complessa e costosa, a selezionare gli imputati coinvolti e responsabili nelle atrocità belliche. Solo i capi vengono perseguiti mentre appare impossibile giudicare le migliaia di carnefici che hanno torturato ed ucciso. In tali tribunali permane poi la Sindrome di

Norimberga e cioè, sono sempre e solo i vinti ad essere giudicati, mentre i crimini dei

147

E’ opportuno segnalare in questo senso una lectio magistralis dal titolo Perdonare o punire al termine dei conflitti cruenti?, tenuta dallo stesso Antonio Cassese il 24 gennaio 2007 in occasione dell’inaugurazione dei corsi della Facoltà di Scienze Politiche “C.Alfieri” di Firenze.

81

vincitori restano nell’ombra e vengono dimenticati.”148

Cassese apre allora ad alcune soluzioni “intermedie”149 per evitare di ricadere nelle problematiche suddette.

Non soltanto critiche devono essere mosse a quello che viene definito “modello di Norimberga” in una accezione, spesso, più negativa che positiva.150

Attraverso i processi di Norimberga e Tokyo sono state infatti “gettate le basi” per la nuova giustizia “internazionale penale”. Il contributo offerto da queste esperienze si apprezza soprattutto all’interno dello Statuto di Roma che viene ricordato anche per essere il Trattato istitutivo della International Criminal Court. In questo, e nel suo allegato del giugno 2000 che prende il nome di Elements of Crimes , sono oggi riprodotte le fattispecie dei “crimes under International law” individuati come tali anche grazie alla redazione da parte della Commissione per il diritto internazionale delle Nazioni Unite, di un elenco di principi desumibili dai processi di Norimberga e che da cui presero il corrispettivo nome di “principi di Norimberga”151

. La redazione di tali principi doveva servire a sanare ex nunc

lo strappo tra giustizia e uguaglianza (con conseguente crisi della certezza del diritto) causato da processi celebrati al fine di punire reati non riconosciuti come tali al momento della commissione dei fatti. Il conflitto tra certezza del diritto e giustizia, nel caso del Tribunale di Norimberga, è – come affermerebbe appunto Gustav Radbruch – “un

conflitto della giustizia con se stessa : un conflitto tra giustizia apparente e giustizia reale”. Attraverso questi tribunali, per quanto l’intento alla base della loro istituzione

fosse la vendetta, si riuscì comunque a colpire gli specifici responsabili senza il bisogno di “demonizzare” l’intera popolazione. Come affermò Robert H. Jackson, pubblico

148 Per approfondire a riguardo e sul pensiero pensiero di Cassese rinviamo a A.CASSESE, L’esperienza

del male. Guerra, tortura, genocidio, terrorismo alla sbarra, Il Mulino, Bologna.2011.

149 Su tutte, Cassese quando si riferisce a soluzioni “intermedie” rimanda alle ccdd Commissioni di verità e

riconciliazione definite dallo stesso come “esperimenti di ingegneria giuridica”. v. approfondimento sulla transizione Sudafricana.

150 Rimandiamo per tale a D.ZOLO, in op.cit., 2006, p.145 ss.

151 Testo dei “principi di Norimberga” adottato dalla Commissione nel 1950: (1) E’ perseguibile e

responsabile chiunque commetta un atto che costituisce reato ai sensi delle norme di diritto Internazionale. (2) E’ perseguibile e responsabile chiunque commetta un atto considerato reato dalle norme di diritto Internazionale anche se tale atto non costituisce reato per la legge nazionale a lui applicabile. (3) E’ perseguibile e responsabile chiunque commetta un atto considerato reato dalle norme di diritto internazionale anche se ha agito in qualità di Capo di Stato o di membro del Governo. (4) E’ perseguibile e responsabile chiunque commetta un atto considerato reato dalle norme di diritto internazionale anche se ha agito nell’esecuzione di un ordine, se nel momento in cui ha commesso il fatto era nella possibilità di compiere una scelta. (5) Deve essere sempre garantito l’espletamento di un giusto processo. (6) Sono considerati reati dalle norme di diritto internazionale i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra ed i crimini contro la pace. (7) La complicità di un reato è di per sé reato.

82

ministero americano per il tribunale di Norimberga: “The German, no less than the non

German world, has an account to settle with these defendants”.152

Outline

Documenti correlati