3. Certezza del diritto, Giustizia e Funzione della pena nelle esperienze di “Transitional Justice”.
3.4 Riassumendo L’importanza dell’irretroattività nel dialogo tra vittime e colpevoli.
Prima di passare ad una analisi approfondita delle transizioni della Germania post-nazista e post-unificazione (o post-comunista) che si distinguono ampiamente da tutte quelle esaminate, è opportuno tirare le somme dell’ampio discorso fatto sulla “Transitional
Justice” in generale, osservandola, in ultima battuta, come sede di rapporti
“giuspenalistici”.
Prima di tutto bisogna fare un excursus di quanto visto finora. Non esistente – per lo meno non ancora – un modello “ideale” di giustizia di transizione ossia, un modello attraverso il quale raggiungere lo scopo per cui questa è concepita: la stabilità sociale attraverso la pacificazione ed il “superamento del passato”. La difficoltà di fondo è la medesima che si riscontra nella creazione di un diritto penale “europeizzato” e cioè, la complessa interazione degli interessi dei vari “blocchi sociali”. Nell’uno come nell’altro caso, la contrapposizione di fondo è sempre quella tra “vittime” e “colpevoli” i cui punti di vista sono di difficile bilanciamento. In prima battuta si è distinto tra due diversi tipi di sistemi, quelli “continentali” che conferiscono ai principi la dignitas propria delle regole e ciò in virtù di una tutela “assolutizzata” dei valori rappresentanti il nucleo di questi principi. Ne risultano sistemi “reocentrici” dove cioè, in virtù del carattere inderogabile e non bilanciabile dei principi-regola, vengono tutelati i soggetti che, seppur (presumibilmente) colpevoli, non possono essere resi oggetto di trattamenti aventi la funzione di rispondere al male con il male. In questi sistemi ciò che assume rilevanza è soprattutto la Certezza del diritto alla quale devono cedere il passo gli ulteriori valori del diritto (anche la Giustizia). Sull’”altra sponda del fiume” risiede invece il sistema “Convenzionale” o, in altri termini, il nuovo sistema figlio della giustizia penale europea che viene influenzato soprattutto dall’operato della Corte di Strasburgo. Proprio quest’ultima ha la competenza fondamentale di tutelare i diritti umani ai quali spesso si
202 Si riporta, a tal riguardo, una “storiellina” raccontata da Cassese ai suoi colleghi dell’ICTY per
rincuorarli e spronarli circa la riuscita dei lavori del Tribunale e che sintetizza il senso dello “sforzo” da lui richiesto: “Nel Medioevo, una sera – faceva freddo e si annunciava tempesta – un cavaliere tornava lentamente al suo castello, quando vide un piccolo passero steso in mezzo alla strada con le zampette ritte in alto. Il cavaliere arrestò il cavallo e chiese a quel minuscolo uccello: ‘ Cosa fai lì, in quella buffa postura?’ ‘ Ho sentito dire che oggi la volta del cielo precipiterà’ – rispose l’uccellino. Il cavaliere scoppiò a ridere: ‘ E credi di potere reggere la volta del cielo con le tue zampette?’ ‘ Ognuno fa quello che può’ – rispose il passero”. Tratto da G. BETTIN LATTES, Analisi di un estratto de “L’esperienza del male”. In memoria di Antonio Cassese in Società Mutamento Politica, Firenze University Press vol.3 n.6, 2012.
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attenta attraverso la posizione di violazioni commesse “su larga scala”. In questo contesto sembra quasi scontato la prospettiva è destinata a cambiare. Viene così “esaltata” la tutela da riservarsi alle vittime in relazione a interessi di matrice “collettiva”, una sorta di dottrina lato sensu neo-utilitaristica dove vengono “sacrificati” gli interessi dei singoli per portare giovamento ai “più”. Il sistema, in tal senso, si pone agli antipodi rispetto al precedente, in quanto, si conforma in termini di “vittimocentrismo” dove le tutele individuali ed i principi ad esse connessi vengono resi più “malleabili” in virtù della tutela di qualcosa che va al di la delle “semplici” garanzie che il diritto penale classico riserva all’individuo. Si dovrebbe così realizzare soprattutto la “Giustizia per le vittime” in termini di “retribuzione” e stigmatizzazione dei colpevoli in maniera tale che le violazioni commesse non vengano ulteriormente perpetrate. Il problema di fondo è che in questi termini oltre a “derogare” al diritto penale, si sconfessa quello che è l’ideale stesso di giustizia che, in quanto tale, non può preponderare gli interessi degli uni rispetto agli altri. La “disgiunzione” di questi sistemi non porta dunque a nessun risultato che possa essere condiviso in forma assoluta e per questo, facendo un passo avanti, si è cercato di valutare le possibilità che venga operata una “osmosi” tra i principi dell’uno e dell’altro sistema. In questo senso si è cercato di dare una soluzione partendo dall’assunto di una “imprescindibilità”, a qualsiasi livello, della funzione riconciliativa della pena. Nei medesimi canoni si pongono le problematiche affrontate con riguardo al fenomeno della “Giustizia di Transizione”. Anche in questo caso si ha una “biforcazione” degli interessi dove gli attori sono sempre quelli appena citati. Il problema più grande è però il fatto che la realizzazione della giustizia di transizione può aversi soltanto nella misura in cui tali vedute “divergenti” vengano accomunate. In questi canoni comprendiamo ancora meglio perché sistemi totalmente “punitivi” che si schierano a favore degli interessi delle vittime o totalmente “non punitivi” che rinunciano a soddisfare in senso assoluto gli interessi delle vittime, siano da etichettarsi come “fallimenti” in quanto, nella strada verso la ricerca di un qualcosa di condiviso ed assoluto non si può avere la predilezione di una categoria di interessi rispetto ad un’altra. Le ricerche poste a riguardo parlano dunque della necessità, anche in questo caso, di creare un qualcosa che sia “condiviso”, che possa essere considerato “giusto” per tutti e non soltanto per alcuni, ma il compito non è semplice e lo testimonia anche il “fallimento” di modelli come quello Sudafricano considerati “intermedi”, perché in realtà questi rappresentano il “segnale” che indica le possibili svolte nel momento in cui si arriva ad un bivio, ma in essi non c’è nulla di “condiviso”. La fallacia di fondo o, a seconda di come la si vuol vedere, anche la
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possibile soluzione sta nel non aver tentato qui, come per i suddetti sistemi quella “osmosi” tale da creare non già un qualcosa di alternativo, bensì un “ibrido” che possa essere visto come “forma ideale” di soddisfazione dei propri interessi per gli uni come per gli altri. In tutto ciò, sullo sfondo sta il diritto penale che aiuta a “modulare” a seconda dei casi le diverse soluzioni, ma che spesso finisce per essere “pomo della discordia” nell’annosa questione tra Certezza del diritto e Giustizia, tra diritto positivo e diritto naturale.
L’interazione, in questo senso, viene fortemente ricercata nella vicenda tedesca dove si ricorre a “formule” che aprono al dialogo tra i suddetti valori e di conseguenza alla possibilità di fornire degli assunti di carattere assoluto che, per quanto possano non essere condivisi all’unanimità, sono comunque accettati da chiunque, in quanto “orientati” a tutti i valori costitutivi del diritto o, per meglio dire del diritto “giusto”. Se chiamato in causa in tali contesti, il diritto penale pone quasi sempre un problema di legittimazione legato alle dinamiche dei suoi condizionamenti “costituzionali”, ma d’altro canto trae giustificazione da principi di diritto a loro volta sovraordinati, o perché affermati in disposizioni di elevato rango formale, o perché dedotti dalla trama di uno “ius naturale”. In questo si aprono molteplici dibattiti su istituti come l’amnistia, la prescrizione, il sistema delle fonti e soprattutto, sulla portata e sul valore del principio di irretroattività della legge penale che rappresenta, a ben vedere, il “nodo gordiano” del discorso.
Dall’intersecazione dei due piani in cui si è sviluppato il discorso si può trarre una prima conclusione: l’accresciuta sensibilità per la tutela di soggetti deboli che subiscono human
right’s gross violations ha fatto sì che molti paesi, anche per ottemperare ad obblighi
internazionali in tal senso, si siano dotati di strumenti giuridici volti ad impedire in futuro l’impunità dei perpetratori di tali violazioni anche affidandosi a organi di giustizia sovranazionali. Dunque, un giudice di transizione “del futuro” potrà trovarsi ad applicare norme già vigenti che avranno positivizzato consuetudini internazionali, così da evitare l’applicazione in chiave retroattiva di disposizioni penali “ad hoc” come unica alternativa all’utilizzazione di fonti incompatibili con la legalità. In questi canoni il diritto internazionale “interagisce” con quello interno in quanto funge da “alternativa” alla mera punizione orientata in un duplice binario: quello della tutela delle vittime attraverso il riconoscimento dei crimini dei colpevoli e quello della tutela dei principi individual- garantisti del diritto penale rivolti all’individuo e che tendono evitare una giustizia retributiva. Si può dunque affermare che “il superamento del passato attraverso la repressione penale di fatti gravemente lesivi dei diritti umani realizzata in un contesto di
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transizione costituisce una scelta pienamente legittima se attuata all’interno degli schemi dello stato di diritto”.203
Se dunque si vuole perseguire un autore, deve essere l’autore di un fatto previsto con precisione nella sua materialità e nelle sue conseguenze sanzionatorie in un testo normativo idoneo a fungere da guida comportamentale nel tempo in cui è stato commesso. Come afferma Ciro Grandi: “scivolamenti dal nullum
crimne sine lege al nullum crimen sine iure aprono spazi di inciviltà giuridica tanto più
pericolosi in un mondo nel quale il diritto dà un intrico spesso inestricabile di fonti e si parla con grande disinvoltura, anche nell’ambito penale, di soft law e nel quale il ricorso a istanze giusnaturalistiche deve fare i conti con una plurivocità dei punti di vista che caratterizza una dimensione multiculturale”204.
203 G.FORNASARI, op.cit., 2013, p.199.
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