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Il ruolo dei giudici e la portata del principio di irretroattività E’ necessario un ricorso alla “formula”?

Parte TERZA

2. La punibilità dei “delitti di Stato”.

2.1 Il ruolo dei giudici e la portata del principio di irretroattività E’ necessario un ricorso alla “formula”?

Tra i più “accaniti” sostenitori della punibilità dei “delitti di Stato” commessi sotto il regime DDR, vi fu Monika Frommel, la cui teoria si rivolgeva a negare l’”inclusione” dell’attività giudiziaria nella logica sottesa al principio di irretroattività, al fine di evitare il rischio di privare l’organo giudicante della possibilità di interpretare le leggi in senso difforme dal passato, rendendolo in tal senso vincolato all’osservanza di indirizzi ed orientamenti segnati dal marchio dell’ingiustizia e dell’arbitraria compressione delle libertà civili e politiche.347 Nel formulare la sua teoria, l’autrice prende le mosse dalle prime due sentenze del Landgericht di Berlino del 1992, nonché dall’Accordo di unificazione del 1990.

Con riferimento a quest’ultimo si riguarda alla parte relativa all’applicabilità del diritto della DDR, interpretandola come “frutto di un compromesso rivolto a favorire il ritorno

all’unità”. In realtà – secondo la Frommel – “si trattava solo di una volgare finzione” in

quanto non poteva configurarsi una parificazione tra norme giuridiche e realtà giuridica effettiva: se si considera diritto quanto ritenuto tale dai giuristi della DDR (quindi il solo

ius scriptum) si avalla la volontà di mandare tutti impuniti; di converso, il diritto che la Jugendkammer del Landgericht di Berlino ha preteso ricostruire attraverso una

“interpretazione conforme ai diritti dell’uomo” è del tutto immaginario. L’autrice sembra dunque più propensa ad accogliere la soluzione fornita dalla Corte d’Assise di Berlino del 20 gennaio 1992, tuttavia afferma che, seppur è quella “più vicina al vero”, tale prospettiva attraverso cui ci si richiama alla formula di Radbruch è, proprio per questo, sbagliata.

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Tale passo è riportato in G.DE FRANCESCO, Crimini di stato, filosofia politica, diritto penale in Quaderni fiorentini, 2001 e riprende a sua volta alcuni passaggi di G.VASSALLI, Formula di Radbruch e diritto penale, Giuffrè, Milano, 2001.

347 Va ricordato che Monika Frommel è la curatrice dei due volumi di scritti di diritto penale della

Gesamtausgabe di G.Radbruch. Il riferimento specifico è invece fatto alla teoria proposta in M.FROMMEL, Die Mauerschützenprozesse- eine unerwartete Aktualität der Radbruchschen Formel. in Strafrechtkeit, Festschrift für Arthur Kaufmann zum 70. Geburtstag, Heidelberg, 1993, p.81 ss.

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In questo senso si ha la chiusura nei confronti della “formula” e di conseguenza nei confronti di una applicazione retroattiva della legge penale. Nello specifico, la Frommel sottolinea come Radbruch abbia “elaborato” la sua formula con riguardo all’esperienza Nazista e evidenzia che “questa non vuole essere un richiamo al diritto naturale, bensì si

rivolge a risolvere i conflitti interni al diritto positivo” di conseguenza è “un modo per formulare le esigenze minime dello Stato di diritto”. Se il diritto diviene “mero”

strumento della politica, non vi è più ragione di differenziarli ed una misura coercitiva statale non può più essere legittimata come applicazione di diritto (in quanto è “mero” atto politico). Tuttavia, questo passaggio è molto difficile da cogliere da parte dei tribunali. L’errore di fondo compiuto dalla sentenza del 5 febbraio 1992 – e in continuità ad essa dalla sentenza del BGH del 3 novembre – è ciò che distingue questa pronuncia da quella del 20 gennaio e cioè, il tentativo di salvare il diritto della DDR, ammettendone una validità di fondo che viene poi pregiudicata dalla prassi di stato e dal diritto vivente. Le disposizioni della DDR erano estremamente indeterminate – come testimonia il §213/co.3 StGb-DDR che è base per l’applicabilità della scriminante di cui al §27 Grenzgestz der DDR – e inoltre – come affermerà circa un decennio dopo la Corte di Strasburgo – quelle leggi erano caratterizzate da una “strategia di doppiezza” in relazione a quanto riportato ”per iscritto” e quanto realmente accadeva. Se si avalla tale interpretazione delle norme DDR, si propende verso la punibilità delle azioni compiute durante il regime, ma a tal riguardo, bisogna imprescindibilmente fare i conti con il divieto di retroattività delle leggi punitive.

La Frommel nega decisamente che vi possa essere violazione di detto principio: “a parte

il fatto che la fiducia in una precedente giurisprudenza potrebbe servire per mitigare la pena (e mai per annullarla) a chi di quella giurisprudenza si era fidato (…) l’inserire nel principio di irretroattività anche l’interpretazione giudiziale porterebbe a conseguenze paradossali, e cioè alla legittimazione postuma di un diritto ingiusto e di una politica di distruzione dei diritti umani.” Il “principio della fiducia” che sta alla base della garanzia

intertemporale, non può operare dunque sull’aspetto del torto, ma solo su quello della colpevolezza e della rimproverabilità dell’agire.348

In sostanza, il principio di irretroattività della legge penale non agisce al fine di impedire la “corretta”, o per meglio dire “giusta” interpretazione della legge, ma riguarda al caso concreto ed alla colpevolezza del soggetto traducendosi in un giudizio della “consapevolezza dell’illiceità” delle sue azioni. Da questa ricostruzione emerge inoltre che tali dubbi

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potrebbero nutrirsi soltanto con riguardo alla valutazione della situazione dei “meri esecutori” dei crimini e non di coloro che li hanno commissionati e che, come tali, erano coscienti del carattere illecito delle direttive impartite e di riflesso, del loro abuso del potere statale.

Sulle linee appena citate si muovono ulteriori autori349 tra i quali, per l’ampiezza e per l’approfondimento delle tematiche inerenti alla situazione tedesca post-comunista, si distingue Klaus Lüderssen che, seppur ricalca alcuni passaggi del pensiero della Frommel, se ne discosta operando una “adesione con riserva” alla prima giurisprudenza dei tribunali federali tedeschi.350 Ulteriore differenza rispetto al precedente contributo, è data da una tendente “parificazione” – esclusa categoricamente dalla Frommel – delle esperienze della DDR e della Germania Nazista. Secondo l’autore, la legislazione DDR può essere seguita (come disposto dal Trattato di unificazione) salvo che non si pretenda di sostituirvi “inaccettabili richiami” al diritto realmente praticato sulla base di “prassi di Stato”.

In altri termini, se si vuole accedere a condanne per i fatti commessi sotto il regime “comunista” della Germania dell’Est, non si deve comunque indulgere a condanne indiscriminate od eccessive. Come ovvio, non si può propendere a favore di una impunità dei fatti in quanto “l’effettività del potere di Stato non basta a dare legittimità alle

condotte poste in essere in nome dello Stato o a porsi dietro il riparo della dottrina della non perseguibilità degli atti di Stato”.

Secondo il Lüderssen non si può prescindere dal considerare la DDR come Stato sovrano (fino al momento in cui è cessato) e dall’osservare che non esiste un diritto internazionale penale effettivamente rivolto a legittimare la punibilità di quegli atti. Il precipitato di questo è una violazione del principio di irretroattività penale in quanto non vi sono norme all’interno dell’Accordo del 1990 che abroghino espressamente il diritto vigente all’epoca dei fatti nella DDR. D’altro canto, i processi avviati alla caduta del regime della Germania dell’Est sono in tutto e per tutto legittimi e si rivolgono ad osservare (e punire) i fatti sulla base del diritto già vigente nella DDR. E’ inoltre innegabile che le leggi della DDR devono essere rispettate salvo che non si attesti che alla loro base vi è stata commissione del delitto di Rechtsbeugung tenuto conto però che questa fattispecie è diversa nel codice federale (dove corrisponde alla “erronea applicazione del diritto”)

349 W.WULLWEBER, Die Mauershutze-Urteile in Kritische Zeitung, 1993, p.499 ss.; J.RENZIKOWSKI,

Zur Strafbarkeit des Schusswaffengebrauchs an der innerdeutschen in Neue Justiz, 1992, p.152 ss.; H.HIRSCH, op.cit., 1996 già citato con riferimento specifico alla critica mossa a Jakobs.

350 L’opera di riferimento è K.LUEDERSSEN, Der Staat geht unter, das Unrecht bleibt?

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rispetto a quello della DDR (dove invece può rendersi come “violazione di norme di

legge”). Alla luce di questa ricostruzione, gli omicidi dei fuggitivi al confine (secondo

Lüderssen) sono da considerarsi punibili?

Si. Come anticipato, la normativa di tutela del confine del 1982 era da considerarsi lecita, oltre che per le ragioni suddette, anche perché – ricorda l’autore – ai sensi dell’Art.12/co.3 del Patto internazionale sui diritti civili e politici vi era una riserva a favore delle restrizioni poste alla libertà di espatrio per proteggere la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico. Tuttavia, erano da considerarsi punibili gli omicidi (consumati e tentati) commessi al confine “quando lo sparare non era l’unico modo per impedire la

fuga”. Quindi la punibilità poteva aversi secondo le leggi DDR “se attentamente considerate (…) e il fatto che tale punizione non sia avvenuta per motivi di convenienza politica non determina la conseguenza giuridica della loro prescrizione né secondo lo stesso diritto DDR, né secondo il diritto della Germania federale”.

Qualche anno dopo rispetto alla Frommel e al Lüderssen, quando saranno state ormai emanate la maggior parte delle sentenze, si pronuncerà sulla questione lo Hirsch che, come accennato, fornirà un contributo più chiaro e preciso nel senso della punizione, attribuendo rilievo dottrinale alle pronunce di merito e di legittimità degli organi giudiziari tedeschi.

Nel pensiero di altri autori del periodo, si riscontra però una inversione di tendenza. Tra questi spicca Hans-Ludwig Schreiber il quale si dimostra ampiamente favorevole a porre dei limiti invalicabili al potere giudiziario e si rivolge per tale a ricercare un “bilanciamento” tra la necessità di osservare le leggi della DDR (seppur estinta) e il compito di fornire una interpretazione sensibile ai valori umani ed al riscontro di un coefficiente di colpevolezza nella commissione del fatto.351 Nel cercare di giungere a queste conclusioni, anche tale autore parte dall’analisi approfondita dell’Accordo di unificazione con riguardo specifico all’allegato 1 dove figurava il progetto di modifica del § 315 EStGB-BRD.

Il § 315 EStGB-BRD conferma – a detta dello Schreiber – l’intangibilità del principio di irretroattività penale che “non potrebbe ad alcun prezzo essere violato” seppur questo non sta a significare una totale impunità dei fatti in questione: gli omicidi compiuti dalle guardie di frontiera, date le modalità in cui questi sono avvenuti, devono essere puniti seppur rispettando le norme della DDR per come “reinterpretate” alla luce dell’intercorso

351 Questa impostazione la si ritrova in H.-L. SCHREIBER, Die Strafrechtliche Aufarbeitung vom staalich

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Accordo del 1990 (e dei suoi allegati). A ben vedere, è proprio questo passaggio che distingue tale teoria da quella della Frommel la quale non riconosceva valore vincolante alle norme dell’Accordo di unificazione. In sostanza, il diritto DDR deve essere interpretato in maniera “conforme ai diritti dell’uomo” ed al Patto internazionale del 1966 escludendo per tale qualsiasi influenza possa aver adoperato la “prassi di Stato”. Nell’ammettere questa soluzione, l’’autore “rigetta” totalmente l’ipotesi di un ricorso alle leggi “sovrapositive” e di conseguenza, l’idea di una punizione sulla base del diritto naturale: “Il riconoscimento del carattere di Unrechtstaat non comporta di per sé stesso

la punibilità dei fatti individuali commessi sotto quel regime”; per quanto si debba

escludere una di responsabilità collettiva basata su istanze volte a fornire un “indiscriminato” potere al giudice, non si deve al contempo mancare di considerare, nei normali canoni processuali, la possibilità di accertare la responsabilità individuale dei singoli esecutori, osservando in che misura la consapevolezza dell’ingiustizia dei fatti occorsi al muro di Berlino si sia riverberata nella coscienza delle singole guardie dei frontiera.

Queste diverse “proposte” contengono particolari interpretazioni del principio di irretroattività penale relativamente alle quali si fornisce più (come in Frommel e Lüderssen) o meno (come in Schreiber) potere e “libertà di azione” all’organo giudicante. Tutto sta al “peso” che questi autori danno alla garanzia intertemporale, ma, nell’osservare tali teorie, Giuliano Vassalli arriva a confutarle affermando che: “il

principio di irretroattività penale ‘nasce’ e si consolida proprio in vista dell’obiettivo di impedire al giudice l’applicazione della legge in senso retroattivo; e soltanto in un momento successivo, grazie all’inclusione del relativo divieto nei testi costituzionali, il principio in questione assumerà le caratteristiche di un vincolo nei confronti del legislatore (arricchendosi in questo senso dell’ulteriore profilo di garanzia legato al più

volte ricordato rapporto di fiducia) senza peraltro dismettere, sotto le vesti di

un’incolpevole sostituzione del legislatore al giudice, il contenuto di civiltà sul piano giuridico e politico ad esso originariamente sotteso”.352

Questa impostazione sembra più vicina alla tesi dello Schreiber che a quella della Frommel, in quanto sottolinea che il divieto di retroattività si rivolge tanto al legislatore quanto al giudice e di conseguenza, si deve evitare di fornire a quest’ultimo un potere che gli permetta di “esorbitare” da quelle che sono le sue “normali” competenze. Il giudice è

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chiamato, sulla base della legge applicabile al fatto nel momento in cui viene compiuto, ad accertare la responsabilità individuale. Con riferimento alla materia dei “delitti di Stato” si delinea un parallelo che apre ad un nuovo tipo di responsabilità di carattere “collettivo” e per tale, ci si interroga sulla possibilità di fornire al giudice un potere che gli permetta di “aggirare” la barriera dell’irretroattività rivolgendosi a punire ciò che precedentemente punibile non era. Secondo Vassalli, in presenza di leggi punitive è molto difficile ammettere la possibilità di derogare alla garanzia intertemporale, anche qualora si faccia riferimento al “giudizio di intollerabilità” proprio della formula di Radbruch. Invero, osservando il problema in chiave generale, possono prospettarsi una serie di soluzioni tra loro non coincidenti, in funzione dei diversi assetti configurabili in ordine alla potestà giurisdizionale di volta in volta attribuibile all’organo giudicante. L’autore fornisce a riguardo una serie di ipotesi: la prima è ricollegabile ai casi in cui sussistano determinate previsioni contenute in Convenzioni o Atti internazionali che dovranno applicarsi in ordine ad eventuali ratifiche che sanciscono il vincolo “interstatale” e in questo senso, l’irretroattività va considerata nei canoni in cui è presentata dalle Convenzioni (ex. Art.7 CEDU) a prescindere dalla disciplina in tema di irretroattività del singolo ordinamento destinatario; la seconda attiene a una dimensione “interna” e, in questo senso, ci si richiama alla concezione “continentale” di una irretroattività inderogabile e non bilanciabile che rappresenta un vero e proprio “diritto dell’uomo”, e la base imprescindibile per l’instaurazione dello Stato di diritto; la terza ed ultima ipotesi attiene al fenomeno della “successione tra Stati” – come avvenuta in seguito alla riunificazione tedesca – dove viene a delinearsi una problematica intermedia rispetto a quella delle altre due ipotesi. In questo senso Vassalli si domanda “quale

affidamento avesse mai ricevuto il cittadino dello Stato estinto di non essere punito in futuro in forza di leggi di uno Stato nuovo e diverso”, ma se anche vi siano margini per

poter superare in queste condizioni di “transizione” e di “incertezza” la garanzia intertemporale, l’opportuna premessa per ristabilire l’ordine sociale è quella di garantire allo Stato “nascituro” una “base giuridicamente valida e determinata” in ordine appunto al rispetto del principio di legalità e del suo essenziale corollario.

Con riferimento alla punibilità dei “crimini di Stato” il discorso deve essere osservato da una diversa prospettiva: in questo senso si apre alla possibilità di introdurre leggi penali retroattive al fine di poter procedere con una “trasparenza politica” maggiore rispetto a quella che potrebbe offrire un superamento della garanzia intertemporale per via giurisprudenziale. Nel compiere questo passo, è opportuno procedere con molta cautela

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cercando prima di tutto di individuare nella forma più determinata possibile quali delitti possano rientrare in questa particolare categoria. Per risolvere questo problema, Vassalli suggerisce di far tesoro della formula di Radbruch che, in altri termini, fornisce delle direttive utili all’individuazione di crimini che esorbitano dalla normale sfera di “disvalore” e per tale possono essere considerati in un’ottica diversa, ossia quella dei crimini compiuti attraverso la posizione di leggi “intollerabilmente ingiuste”, figlie di un abuso da parte di coloro i quali in quel momento storico detenevano il potere.

In sostanza, il criterio dell’ “intollerabilità dell’ingiustizia” può apparire discutibile qualora venga utilizzato al fine di ampliare i poteri del giudice, ma è altresì consigliabile nel caso in cui vi si faccia ricorso al fine – testuale – “di sceverare tra i misfatti del

precedente regime quelli che meritano una sanzione penale, quelli che possono trovare adeguata risposta in una sanzione amministrativa o civile e quelli che possono, per un motivo o per un altro, essere lasciati senza seguito” del resto “è assai più proprio dell’opera legislativa che di quella giurisprudenziale il lavoro di selezione imposto da un qualsiasi tentativo di elaborazione giuridica del passato”.

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