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Il caso Krenz e l’intervento della Corte di Strasburgo.

Parte SECONDA

LA TRANSIZIONE TEDESCA POST-UNIFICAZIONE E L’APPLICAZIONE DELLA FORMULA DI RADBRUCH AL DIRITTO PENALE.

20 marzo 1995 301 , il BGH richiama la precedente giurisprudenza in materia arricchendola con una serie di citazioni dottrinali intervenute nel frattempo e rinvia,

2.2.5 Il caso Krenz e l’intervento della Corte di Strasburgo.

Egon Krenz è stato l’ultimo coordinatore del Consiglio di Stato della DDR, “eletto” dopo le proteste popolari del 1989, in seguito alle quali vi furono appunto le dimissioni di Erich Honecker e, successivamente, del resto del Governo. Viene ricordato anche per essere stato colui che, in conformità alla decisione presa dal Governo presieduto da Willy Stoph, autorizzò e fece annunciare l’abbattimento del muro di Belino il 9 novembre 1989. Questo incipit è utile al fine di comprendere il breve periodo che caratterizzò l’ascesa al potere di Krenz, il cui processo completò l’opera di “analisi” dei crimini compiuti dagli esponenti di maggior risalto dell’ormai decaduto regime DDR. Questa “vicenda giurisprudenziale” va ricordata per via dell’eco prodotta che sollevò una serie di commenti di approvazione, ma anche di indignazione soprattutto da parte di coloro che rievocarono gli “spettri” di Norimberga parlando – nuovamente – di “giustizia dei vincitori”. Più che per il processo di merito in sé o per le pronunce di legittimità delle Alte Corti tedesche, – che si limitarono a rimarcare i principi già affermati in precedenza – questo processo, che si concluderà con sentenza del Landgericht Berlin del 25 agosto

1997, viene ricordato per le importanti pronunce poste, a seguito del ricorso presentato

dallo stesso Krenz, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2001.

Riguardo ai fatti, la condanna dell’ex capo DDR avvenne per le uccisioni di quattro giovani avvenute tra il 1984 ed il 1989 e l’imputazione era di “istigazione all’omicidio” in quanto, per diversi anni, colui il quale fu da molti considerato il “pupillo di Honecker”, aveva rivestito la carica di vertice del partito. Insieme a lui furono processati e condannati anche l’ex segretario della SED Schabowski e, in qualità di membro del Consiglio nazionale di difesa della DDR, Kleiber. Sul caso si espresse anche Michail Gorbačëv

306 J.W.MULLER, East Germany: Incorporation, Tainted truh snd the Double Division, in The Politics of

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affermando che:”la Germania Occidentale e quella Orientale erano due Stati sovrani. Quando Krenz ha assunto il potere, lo ha fatto nel quadro di uno stato dotato di una propria Costituzione, di un proprio ordinamento statale e di proprie leggi e, come leader, si è impegnato a farle rispettare. Non vi sono appigli giuridici o morali per la condanna di Krenz e dei suoi compagni – e conclude – per me si tratta solo di politica, politica ed ancora politica, cui si sovrappongono i fantasmi del passato”.307

Tali parole del segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica evidenziano due particolari temi: da un lato si fa – seppur in forma implicita – un richiamo alla immunità di diritto

internazionale di cui la giurisprudenza tedesca si era ampiamente occupata in precedenza

escludendone l’applicabilità agli organi di governo della DDR in quanto, una volta estinta, era anche cessata la propria sovranità e con essa, il fine stesso (di tutela della sovranità dello Stato) dell’immunità. Questo dovrebbe servire come risposta alle parole di Gorbačëv, il quale richiama il carattere “continuativo” dell’immunità, anche una volta cessata la carica, per i fatti compiuti quando la carica stessa era in essere. L’intento del leader sovietico, in effetti, sembra più che altro “provocatorio” in quanto egli strumentalizza questo richiamo – pur conoscendo le precedenti sentenze dei tribunali tedeschi in materia – al fine di “rievocare” quella la detta “giustizia dei vincitori”. Infatti, Krenz non aveva preso parte all’emanazione delle leggi “incriminate”, ma si era “limitato” a farle rispettare, al fine di tutelare lo Stato delle DDR. T all’esito di una transizione ormai giunta alla fasi finali, l’ulteriore intervento giudiziale volt o a condannare i “residui” esponenti DDR, venne visto come una sorta di “accanimento” la cui esigenza di fondo era la perpetuazione del desiderio di vendetta delle vittime. In realtà, questo caso fu uno dei più importanti soprattutto per i risvolti assunti successivamente all’emanazione delle sentenze di merito. Nel novembre del 1998, infatti, Krenz presentò ricorso alla Corte di Strasburgo e questo venne preso in esame insieme ai casi Streletz e Kessler.308 La pubblica udienza fu tenuta l’8 novembre 2000 e con

sentenze del 22 marzo 2001309 la Corte rigettò i ricorsi. Il punto centrale dei ricorsi

concerneva la pretesa violazione dell’ Art.7/co.1 CEDU che disciplina il principio del

nullum crimne sine praevia lege in quanto – come ovvio – i ricorrenti sostenevano che le

307 Tali dichiarazioni sono estratte da una intervista radiofonica rilasciata dallo stesso Gorbaciov il 25

agosto 1997 ad una emittente russa. In www.adnKronos.com

308

Anche questi furono condannati nel tronco dei processi nei confronti degli esponenti DDR in merito ai fatti al muro di Berlino e sulle sentenze di merito enunciate a riguardo dal Landgericht Berlin, si espresse il 24 novembre 1996 anche il BVerfG.

309

ECHR 34044/96, 35532/97, 44801/98, Streletz,Kessler,Krenz vs Germany, 22.03.2001 in www.echr.coe.int.

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azioni da loro compiute, nel momento in cui erano state compiute, non costituivano reato e invocavano a tal proposito la scriminante di cui al §27 Grenzgesetz der DDR e la scusante dell’obbedienza all’ordine del superiore che, secondo la tesi dei ricorrenti, è riconosciuta anche nel diritto internazionale.

Secondo quanto visto nei paragrafi precedenti, tali tesi erano state ampiamente superate dai Tribunali interni, sia di merito che di legittimità, ed era stato inoltre esplicitato da parte del BVerfG, l’indirizzo secondo cui vi doveva essere una “retrocessione del principio di irretroattività” che, allo stato dei fatti, non poteva assolvere alla sua fondamentale finalità di tutela della libertà di autodeterminazione delle scelte degli individui. Nell’esaminare i casi, la Corte di Strasburgo ricorda che il capitolo primo della parte speciale del codice penale DDR, disponeva che “la punizione inesorabile dei reati

contro (…)la pace, l’umanità, i diritti dell’uomo (…) è una condizione indispensabile per un ordine di pace durevole nel mondo, per la riaffermazione della fede nei diritti fondamentali dell’uomo e nella dignità e nel valore della persona umana, e per la salvaguardia dei diritti di ciascuno”. Premesso ciò, la Corte afferma (§63) che i

“tentativi di fuga” dei cittadini DDR portati a morte dalle guardie di confine, non potevano, per le modalità di esecuzione, essere considerati Verbrechen alla stregua di quanto richiesto ai sensi del §213/co.3 StGB-DDR. Alla luce di ciò – afferma la Corte (§64) – “la condanna dei ricorrenti da parte dei tribunali tedeschi (…) non appare in

primo acchito né arbitraria, né contraria al principio di cui all’Art.7/co.1 CEDU”. La

Corte ricorda inoltre che, con riferimento alla validità della scriminante contenuta nella legge sul confine di Stato DDR del 1982, i Tribunali e le Alte Corti di legittimità tedesche hanno avuto molteplici e diversi approcci interpretativi, ma (§66)“l’interpretazione ed

applicazione del diritto interno compete in primo luogo ai tribunali nazionali, non spetta alla Corte pronunciarsi sulla questione, data anche la complessità del caso sul piano giuridico.” Importante è poi il passaggio della Corte secondo cui, alla luce del fatto che la

“nozione” di diritto contenuta ai sensi dell’Art.7/co.1 comprende anche il diritto non

scritto, è opportuno soffermarsi anche sulla prassi statale relativa alla interpretazione

“estensiva” della scriminante, operata al fine di “proteggere a tutti i costi” la frontiera per preservare l’esistenza della DDR. In tal senso viene fatto presente che (§72): “la ragione

di Stato così evocata deve trovare limiti nei principi enunciati dalla Costituzione e dai testi legislativi della DDR; deve soprattutto rispettare la necessità di salvaguardare la vita umana (…) tenuto conto che il diritto alla vita era già all’epoca dei fatti, il valore

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natura criminosa delle azioni dei ricorrenti, in quanto individui, emergeva dall’Art.95 StGB-DDR, che prevedeva già nella sua versione del 1968, ripresa nel 1997 che <<chi agisce in violazione dei diritti dell’uomo e dei diritti fondamentali (…) non può avvalersi della legge , di un ordine o di una direttiva; ne è penalmente responsabile>>”. La Corte

esclude inoltre ogni possibilità di considerare la “imprevedibilità” della rilevanza penale delle azioni dei soggetti richiamando l’attenzione a dei “precedenti” da ritrovarsi nelle pregresse esperienze di transizione di altri paesi.310

E’ opportuno rilevare inoltre che il Parlamento della DDR aveva espressamente chiesto il “perseguimento delle ingiustizie commesse da Partito socialista unificato” e per tale, anche qualora non fosse intercorsa la riunificazione tra le due Germanie, sarebbero stati aperti procedimenti a carico dei ricorrenti che erano più che coscienti della rilevanza penale delle proprie azioni.

Una prassi statale come quella della DDR era stata imposta da dirigenti che, ad onta delle proclamazioni in favore dei diritti dell’uomo, avevano, con una “politica di doppiezza”, contribuito a realizzare quelle azioni lesive del fondamentale diritto alla vita tutelato anche ai sensi dell’Art.2 CEDU, nella consapevolezza della loro illiceità. Quindi (§87)

“tale prassi non può in alcun modo essere protetta dall’Art.7/co.1 CEDU e (…) non può – alla stregua del richiamato principio – essere qualificata come diritto” di conseguenza

“nel momento in cui sono state compiute, le azioni dei ricorrenti costituivano un illecito definito con sufficiente accessibilità e prevedibilità dal diritto della DDR”.

La Corte rafforza questo assunto facendo un esplicito richiamo anche all’Art.2/co2 CEDU ed affermando che, “il sacrificio della vita umana è giustificato solo qualora sia

assolutamente necessario al conseguimento di determinati fini311” . Ovviamente non era

questo il caso degli omicidi al muro di Berlino dove il bene vita era bilanciato con la necessaria preservazione dell’esistenza dello Stato della DDR.

Ultimo riferimento della pronuncia è fatto alla pretesa violazione dell’Art.1 CEDU secondo quanto richiesto dai ricorrenti i quali affermavano che il BVerfG, attraverso il richiamo alla formula di Radbruch, vietava loro – in quanto ex cittadini DDR – a differenza dei cittadini BRD, di poter usufruire della tutela Convenzionale, nella parte in cui prevede il principio di irretroattività di cui all’Art.7 CEDU. La Corte “corregge il

310

§80: “Il problema con il quale la Germania si è confrontata dopo la riunificazione relativamente al comportamento da adottare di fronte a persone che avevano commesso reati sotto il precedente regime si è posto anche per un certo numero di altri Stati che hanno vissuto la transizione verso un regime democratico”.

311 Tali fini possono essere – nel riferimento della Corte: difesa contro violenze illegali, sommosse,

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tiro” affermando che l’Art.1 CEDU (§112) “è una norma quadro che non può essere

violata isolatamente (…) e che – per come posta dai ricorrenti – la questione dovrebbe rientrare nell’Art.14 CEDU in combinato disposto con l’Art.7, in quanto si configurerebbe una discriminazione (…) tuttavia (§114) i principi applicati dal BVerfG hanno portata generale e sono quindi ugualmente valevoli anche per chi non era ex cittadino della DDR”. 312

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