Parte TERZA
1. Punibilità o Impunità? Analogie e differenze tra le esperienze tedesche.
1.2 Segue Alcune tra le possibili critiche alla teoria dell’ impunità di Jakobs.
Una volta esposte le tesi di Günther Jakobs il quale prende posizione anche in maniera abbastanza forte in riferimento alla scelta dell’impunità dei crimini dei regimi “caduti”, non si può trascurare che queste possono essere soggette a molteplici critiche. Una prima critica, che poi più in generale è la critica che viene mossa a quel modello di giustizia di transizione denominato “colpo di spugna”, è stata già proposta. Sulla falsariga di questa se ne delineano delle altre ed in primo luogo il riferimento va fatto a due autori contemporanei allo stesso Jakobs – e che, come lui, si pronunciarono prima della conclusione dei processi e delle sentenze dei primi anni ‘90: Joachim Hruschka e F.C.
Schroeder.
Hruschka, nel tentativo di confutare le tesi degli oppositori all’incriminazione, capovolge completamente le teorie di Jakobs. Il punto di partenza del suo lavoro è la distinzione tra
“Rechtstaat” o “Stato di diritto” e “Zwangsstaat” o “Dittatura” (si può tradurre
letteralmente come “Stato della coercizione”): nel primo caso, tutte le norme dell’ordinamento possono automaticamente trovare applicazione da parte di un giudice di un altro Paese, nel secondo si deve compiere una differenziazione. Possono essere applicate tutte le disposizioni che sono estranee al sistema politico come, ad esempio, la norma che vieta di uccidere un uomo.
Alla luce di ciò, in quanto Stato di diritto, la Repubblica federale di Germania, non può astenersi dai processi per rispettare le cause di giustificazione di un Unrechtstaat fondato sulla “coazione”.331
Secondo l’autore, il diritto della DDR non ha alcun valore, ragion per cui, l’unico applicabile è il diritto penale internazionale della BRD con riferimento specifico al “principio di personalità” di cui al §7 StGB-BRD. Tale principio può essere applicato solo a condizione che la DDR venga considerata come Stato estero autonomo (respingendosi per tale le pronunce che riguardano alla Germania all Grenze) ma addirittura, la Repubblica Democratica Tedesca viene definita “Stato senza diritto neppure meritevole di essere definito Ausland” e per meglio rendere l’idea, viene paragonata dall’autore ad un “Eisscholle am Nordpol” (“un banco di ghiaccio del Polo Nord”).
331 L’opera a cui facciamo riferimento è J.HRUSCHKA, Die Todesschusse an der Berlinr Mauer vor
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Diversa invece è la critica di Schroeder332 che, seppur non condividendo la posizione “estrema” di Hruschka, cerca di confutare anch’egli le tesi di Jakobs.
Secondo Schroeder, il requisito della “necessità della pena”, non è mai stato inteso come un presupposto della condanna penale e di riflesso, non può costituire condizione indispensabile per poter punire penalmente i crimini del regime “uscente”.333
Dal punto di vista giuridico, il principio di legalità penale ed il suo corollario dell’irretroattività non possono essere visti come “ostacoli” alla punibilità degli autori dei fatti e questo spunto è da ritrovarsi nella materia stessa utilizzata da Jakobs in “tutela” del diritto della DDR: il diritto internazionale. Come sottolinea Schroeder infatti, la DDR, nonostante la ratifica del “Patto” del 1966, continuava a garantire l’impunità degli omicidi al muro senza adempiere all’obbligo di “adeguare” la propria legislazione ai principi contenuti nel Trattato internazionale.
Tali critiche sono una sorta di “premonizione” di quelli che saranno gli sviluppi della giurisprudenza dei Tribunali di transizione della Germania federale, ma alla luce del successivo intervento di Jakobs del 1993, le confutazioni alla sue teorie continuarono anche negli anni a seguire. In tal senso è opportuno osservare altre due critiche intercorse successivamente rispetto all’emanazione (di alcune) delle sentenze di merito e di legittimità. Interessanti spunti possono trarsi dallo studio “analitico” delle “condizioni di punibilità” di Jakobs, fatto da Enrico Mario Ambrosetti il quale, prendendo come punto di partenza la critica di Schroeder, considera la tesi di Jakobs fondata su argomentazioni di politica criminale e di diritto positivo.334 Secondo l’autore, i requisiti della
“attribuibilità del fatto agli autori” e della “necessità della pena” – “possono assumere rilevanza soltanto ai fini della valutazione da parte degli organi parlamentari circa l’opportunità di concessione di provvedimenti di clemenza per i delitti politici commessi sotto il regime DDR”. Bisogna però porre una osservazione “analitica” delle varie
condizioni poste da Jakobs. Con riferimento alla “Zurechenbarkeit”, questa viene esclusa in quanto non era possibile ascrivere la responsabilità agli autori materiali i quali erano stati “indottrinati” al fine di compiere quelle azioni, dunque ad una responsabilità dei singoli se ne dovrebbe sostituire una politico-morale “generalizzata” – o meglio – estesa a
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Riferimneto in tal caso è a F.C.SCHROEDER, Zur Strafbarkeit von Toetungen in staatlichem Auftrag in Juristenzeitung, 1992, p.990 ss.
333 Afferma inoltre letteralmente lo stesso Schroeder: “Tale requisito, così come delineato da Jakobs, si
basa su un concetto di prevenzione generale talmente limitato da non rappresentare praticamente più alcuna prevenzione generale”.
334 Si veda per tale, nella più volte citata opera di E.M.AMBROSETTI del 1994 in RIDPP §4.2
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tutti coloro che hanno contribuito alla creazione dell’ Unrechtstaat. L’obiezione mossa da Ambrosetti in tal senso è quella secondo cui, nonostante Jakobs “condanni” il ricorso al diritto naturale per giustificare la punibilità dei crimini della DDR, egli stesso si rifà ad un elemento, quale la “attribuibilità del fatto agli autori”, estraneo alla legge positiva
tedesca. Nel sostenere questo assunto, l’autore fa riferimento a delle pronunce del
BVerfG335 con le quali venne esclusa la proposta avanzata da alcuni autori del tempo, di “diminuire la colpevolezza degli esecutori dei crimini nazisti rispetto ai criminali comuni, in quanto la loro formazione era avvenuta in uno Stato di violenza ed ingiustizia”.
Per quanto concerne poi la seconda condizione della “Erforderlichkeit der Strafe”, alle obiezioni già mosse da Schroeder viene aggiunto che, per il fatto stesso che il nuovo sistema “instaurando” nella Germania post-unificazione, renda irripetibili episodi criminosi come quelli accaduti durante il regime DDR, non sarebbe in alcun modo giustificata una rinuncia alla punizione. Più complesse sono le considerazioni da farsi in ordine alla “Positivität”. In questo senso Ambrosetti fa ricorso alla stessa formula di Radbruch per arrivare ad affermare che “la tesi di Jakobs, nella parte in cui esclude che
possa dichiararsi la nullità di norme in evidente contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo, non è supportata da adeguate motivazioni”: è incontestabile che la punibilità
è figlia del diritto positivo, nel senso che, spetta al legislatore determinare i limiti entro i quali un fatto assume rilevanza penale. Tuttavia, l’Art.1 della legge fondamentale tedesca, al suo co.3, stabilisce il valore vincolante dei diritti fondamentali dell’uomo per il legislatore, il potere esecutivo e quello giudiziario, ergo “le norme di un ordinamento
possono considerarsi inesistenti qualora siano in conflitto coi diritti dell’uomo universalmente riconosciuti”.
L’ultima critica da menzionare risale al 1996 e per questo, si avvale nelle sue argomentazioni, di gran parte delle pronunce giurisprudenziali, nonché della pregressa opera dottrinale. In tal senso si fa riferimento al lavoro di Hans Joachim Hirsch, ispirato all’idea della legittimità della repressione penale dei fatti e dei soggetti in questione, senza bisogno di “mediazioni”.336
Prima di tutto, secondo l’autore, tra l’esperienza Nazista e quella vissuta sotto il regime DDR vi sono analogie, ma anche differenze. Per quanto le “mete” a cui tendevano i due regimi erano diverse, vi erano dei fattori comuni quali il torto e l’ingiustizia. E’ innegabile che i crimini compiuti durante il Nazismo
335
Ex. BVerfG, 16.04.1980 in Entrscheidungen des BVerfG, n.54, 1980, p.100 ss.
336 H.J.HIRSCH, Rechtstaatliches Strafrecht und staatlich gesteuertes Unrecht, Nordrhein- Westfaelische
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furono di intensità superiore, tuttavia, questi, come quelli “meno gravi” compiuti nella DDR, erano a tutti gli effetti punibili.337
La differenza tra i due Unrechtstaaten risiede invece nel modo in cui tale regolamentazione dei rapporti pregressi è storicamente avvenuta: nel caso del Nazismo, la repressione avvenne per mano delle potenze occupanti all’esito del secondo conflitto mondiale che, nel giudicare gli efferati crimini del regime non si posero in alcun modo i problemi della irretroattività e della prescrizione; i fatti concernenti la caduta del regime DDR interessarono invece in larga parte il diritto “interno” e di riflesso, i suddetti “problemi giuridici” furono all’ordine del giorno. Questo risultato si ha in relazione al fatto che l’unificazione non è stata frutto di una conquista, ma ad essa ha concorso la libera volontà espressa dalla Volkskammer. E’ a questo punto che lo Hirsch si schiera apertamente contro le tesi di Jakobs e contro chi, come lui, si faceva portavoce dell’”impunità”. Il punto di partenza è il “nucleo centrale” della teoria di Jakobs, secondo cui le leggi DDR corrispondevano all’ispirazione e ai principi della dittatura comunista – e per tanto non interpretabili al di fuori di tale dottrina – ed ogni interpretazione divergente che si pretenda darne è una violazione del principio del nullum
crimen sine lege. La risposta di Hirsch a riguardo è secca e si basa sull’assunto – citando
l’autore – che “il massimo pervertimento del diritto verrebbe a costituire il fondamento
di una sua intangibilità”; in questo senso, ad esempio, si dovrebbe assumere che il
massacro degli ebrei perpetrato dal Nazismo sia un modo di formazione del diritto. Ora, l’autore fa notare che “in superficie” i rapporti giuridici che si sviluppavano negli ordinamenti – e quindi anche le loro leggi positive – erano “normali”, ossia non celavano alcun contenuto attraverso il quale risalire alla loro ingiustizia. Il problema è che bisognava riguardare all’ “ordinamento vissuto”, fatto di ordinanze segrete che prescrivevano l’omicidio degli ebrei e degli zingari, o di ordini insindacabili che imponevano di uccidere i fuggitivi al muro anziché limitarsi – come la legge imponeva – a ferirli (e solo ove necessario). Ma se tali prescrizioni erano segrete, non possono esser fatte rientrare nel “diritto vivente” di quei regimi. A questo punto Hirsch prende posizione ed afferma che “sotto la tesi dello Jakobs rivive una falsa e monitoria
concezione del diritto, secondo cui l’abuso di potere degli organi dirigenti di uno Stato diventa diritto positivo”, in altri termini, per produrre diritto basta occupare il potere in
maniera tale da avere la forza di abusarne. Alla luce di questo, è necessaria una
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Tra le diverse analogie dei due regimi, Hirsch ricorda anche che né l’uno, né l’altro erano caduti in forza di una rivoluzione “sanguinosa” che, come avvenuto in altre esperienze, ha liquidato le dittature e i loro delitti.
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persecuzione penale delle “staatliches Unrecht” commesse – nel caso di specie – dalla DDR. A questo punto Hirsch si pone l’interrogativo relativo ai possibili problemi di irretroattività della legge penale qualora queste ingiustizie siano contenute in norme penali o, come è proprio del caso, in scriminanti. La posizione dell’autore si pone sulla falsariga delle pronunce del BGH degli anni precedenti, ma se ne discosta nella misura in cui non si fonda su una “secca” dichiarazione di nullità della scriminante di cui al §27 Grenzgesetz der DDR, bensì su una “interpretazione restrittiva della stessa”. Tale tesi è abilmente riassunta da Giuliano Vassalli in cinque punti salienti fondamentali: (a) la
Grenzgesetz der DDR dava una limitata copertura di giustificazione a talune ipotesi di
uso delle armi per impedire attraversamenti illegali che, alla stregua del §213/co.3 StGB- DDR, vengono considerati Verbrechen, ma di converso, non copriva le ipotesi in cui tale attraversamento era da considerarsi Vergehen; (b) in ogni caso, le norme che legittimavano tale causa di giustificazione erano da interpretarsi in senso restrittivo in quanto tutta la legislazione della DDR era in flagrante violazione dell’Art.12 del Patto sui
diritti civili e politici e ciò rilevava alla luce della ratifica del Trattato da parte della
DDR; (c) la situazione precedente all’emanazione della legge sul confine del 1982 era da considerarsi “di non minore gravità” in quanto non vi era neppure una vera e propria disciplina legislativa e quelle attività erano per lo più regolamentate dalla prassi; (d) parlare di violazione del principio del nullum crimen sine lege è del tutto fuori luogo: la punizione degli omicidi al confine intertedesco avviene alla stregua del diritto previgente nella DDR; (e) con riguardo alla colpevolezza, sono da escludersi esimenti come l’errore inevitabile sul precetto collegato all’indottrinamento degli esecutori tenuto inoltre conto del § 95 StGB-DDR che escludeva la possibilità di invocare queste “scusanti“ qualora si fosse agito in violazione dei diritti fondamentali dell’uomo e dei doveri di diritto internazionale.338
1.3 Differenze tra le transizioni tedesche. Sempre con riguardo all’impunità: Isensee e