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Antefatti della querelle du réalisme: l’astrattismo nell’inchiesta di «Commune» del

Astrattismo e politica, Abstraction-Création sullo sfondo della querelle du

IV.5. Antefatti della querelle du réalisme: l’astrattismo nell’inchiesta di «Commune» del

Nel 1936 uscì per le edizioni di «Commune», l’organo di stampa dell’AEAR, un volume intitolato Querelle du réalisme, dove si raccoglievano le relazioni di un dibattito pubblico538 per operare una possibile conciliazione tra i sostenitori del realismo socialista a quelli di un nuovo realismo fondato sulla ricerca di un linguaggio moderno539.

Alla querelle si arrivò, infatti, dopo la rottura tra i surrealisti e gli altri scrittori e artisti di sinistra avvenuta nel giugno del 1935 al Congrès pour la défense de la culture come riflesso L’œuvre parfait est celle qui, tout en étant ce qu’elle est complètement, promet quelque chose d’autre, un dépassement. L’idée de vivre en art contient toujours celle de survivre, il se trouve qu’historiquement cette révolution se fit Claire en moi au moment où, en URSS, on impressionnait, on jugeait, on fusillait, ceux que j’avais admires, les Xermanius, les Toukhatchevski”. Ibidem.

537 Gladys Fabre 1978, op. cit., p. 35.

538 Il dibattito fu organizzato in tre sessioni, con la partecipazione di più di duemila persone, per la maggior

parte artisti, il 16 e il 31 maggio 1936: gli atti del dibattito, intitolati da Aragon La querrelle du réalisme – eco dell’iniziativa dell’anno precedente intitolata Pour un réalisme socialiste – fu l’apogeo teorico dell’attività dell’AEAR. Gli incontri si svolsero presso la Maison de la culture e furono animati da Louis Aragon con la partecipazione di Fernand Léger, André Lothe, Jacques Lipchitz, Franz Masereel, Jean Lurcat, assieme a pittori più giovani vicini alle posizioni del realismo come Pignon, Gruber, Goerg, Tasliszky, Kuss, Saint-Saens. Lo storico Pascal Ory è il principale studioso ad essersi occupato dell’attività culturale del Front populaire. Si veda il capitolo Art plastique in P. Ory, La belle illusion, op. cit., pp.238-242.

539 Sul lavoro di Aragon in questa direzione si rimanda all’articolo di Nicole Racine, La Querelle du Réalisme (1935-1936), Sociétés & Représentations, n° 15, 2003, p. 113-131.

194 dell’antagonismo politico-ideologico che in Messico vedeva contrapposti Siquieros e Rivera540. Il dibattito alimentato nella sfera del PCF tra 1934 – anno di impostazione dei principi del realismo socialista nel Primo Congresso degli Scrittori Sovietici, i cui caratteri formali erano già ampiamente applicati nell’arte ufficiale – e il 1936, anno di pubblicazione della querelle, fu un primo tentativo di orientare gli artisti francesi, chiamati ad essere “ingénieurs des ames”541, nella direzione di un realismo che, partendo dal modello dell’URSS, ne formulasse una definizione nazionale542.

Lo strumento di comunicazione adottato dalla redazione di «Commune» per coinvolgere artisti e intellettuali nel dibattito fu il questionario: nel gennaio del 1934 veniva pubblicata prima l’inchiesta rivolta ai letterati Pour qui ecrivez-vous?543 e successivamente l’indagine

540 Le ragioni dello scontro erano artistiche, tecniche e politiche. Siquieros nel 1934, di ritorno dagli Stati

Uniti al Messico, pubblicò un articolo sulla rivista comunista americana «New masses» nella quale accusava Rivera di seguire una strada “controrivoluzionaria” perché adottava una tecnica passata, l’affresco, e idealizzava in maniera sciovinista indios e contadini. Negli anni Trenta Rivera era passato su posizioni trotzkiste, mentre Siquieros era stalinista. Sull’argomento si rimanda a A. Negri, Il Realismo dagli anni Trenta agli anni Ottanta, op. cit., pp.13-16. Antonio Berni, pittore nato a Rosario nel 1905, da una famiglia di emigranti italiani avvicinatosi al gruppo surrealista a Parigi dove soggiornò tra 1925 e 1930, fu testimone diretto dei conflitti politici e sociali che sfociano nel primo colpo di stato argentino e dell’inizio di una tragica serie di governi militari. Nel 1933 si legò a David Alfaro Siqueiros, dipingendo assieme ai pittori Juan Carlos Castagnino, Lino Spilimbergo e allo scenografo uruguaiano Enrique Lázaro il celeberrimo Ejercicio Plástico. Sulla rivista «Commune» dedicò diversi articoli al muralismo messicano sostenendo l’idea di arte pubblica come “travail d’utilité immédiate pour le prolétarien révolutionnaire”. A. Berni, Où va la peinture ?, «Commune», n.21, maggio 1935, pp. 937.

541 “Si, suivant un mot célèbre, il revient aux escrivains d’etre les ingènieurs des ames, la destinée des

peintres n’est pas moindre”. L. Aragon, La querelle du Réalisme, 1936, op.cit., p. 68.

542 Per un inquadramento si rimanda a AaVV, Les Réalismes 1919-1939, Centre Georges Pompidou,

Parigi, 1980.

543 Pour qui ecrivez-vous? «Commune», n. 5-6, gennaio-febbraio 1934. Come nota della capillarità che

ebbe l’attività dell’AEAR si ricorda che nell’aprile del 1934 Benjamin pubblicava per il bollettino dell’Istituto per gli Studi sul fascismo un articolo intitolato L’autore come produttore: il saggio, ampiamente commentato dalla critica, utilizzava il questionario per riflettere su come uno scrittore, nonostante le origini borghesi, potesse esprimere solidarietà con il proletariato riflettendo le sue posizioni nel processo di produzione, argomento centrale nelle discussioni di Louis Aragon. Pascal Ory ha ricordato come L’oeuvre d’art à l’ère de sa

195

Où va la peinture? pubblicata nel numero di maggio e di giugno del 1935544: parteciparono ventinove pittori le cui opinioni furono raccolte da Louis Aragon, René Crével e Jean Cassou, alle quali furono aggiunti testi di Courbet, Daumier e Horace Vernet, occupando una cinquantina di pagine.

Al centro dell’inchiesta, polemica contro ogni forma di estetismo e orientatata verso una rinnovata attenzione per l’uomo sintetizzata come tendenza di un “ritorno al soggetto”, si presentavano diversi margini di libertà rispetto al programma del realismo socialista: André Lothe, ad esempio, indicava nella “qualità” dell’opera un elemento di utilità contro l’idea diffusa che l’arte moderna fosse una minaccia545. Per il pittore era necessaria una sintesi tra il cubismo, che attraverso le sue ricerche aveva riportato la pittura nel suo dominio formale e il surrealismo, movimento che, secondo il pittore, aveva messo al centro delle proprie ricerche il “soggetto” più difficile: l’uomo546.

ispirazione dal discorso del rapporto tra arte e massa che interessava la Maison de la culture. P. Ory, La Belle

Illusion, Op.cit. pp. 31-32.

544 Où va la peinture? Opinions de Amédée Ozenfant, Christian Bérard, André Derain, J.L. Garcin, Jean Carlu, Fernand Léger, Marie Laurencin, Jacques-Emile Blanche, André Marchand, Gustave Courbet, Paul Signac, Max Erns, André Lohe, Honoré Daumier, Frand Masereel, «Commune», anno II, n. 21, maggio 1935; Ou va la peinture? Opinions de J.F. Laglenne, Valentine Hugo, Jean Lurcat, Yves Tanguy, Horac Vernet, Raoul Dufy, Robert Delaunay, G.A. Klein, Pierre Verite, Christian Gaillard, Ed. Goerg, R. Mendel-France, Alberto Giacometti, Antonio Berni, Marcel Gromaire, «Commune», anno II, n. 22, giugno 1935.

545 “ a technique, dont l’application et les combinaisons variant à l’infini, permet seule de juger une œuvre

avec objectivité […] Les attaques de l’infâme Témoin contre la peinture moderne prouvent sa valeur […] Aujourd’hui, une vague de contrainte et de puritanisme nous menace”. André Lothe, «Commune», giugno 1935, p. 957; sul volume della Querelle du Realisme, che riuniva gli inerventi che seguirono le inchieste e li integrava, Lothe affermava : “Vouloir prouver aux masses ces plaisirs précieux signifie [...] en faire le cadeau le plus rare, celui de la qualité [...] Nous devons imposer la qualité à la masse et avoir le courage de y répondre, si elle demande des anecdotes, même sur des sujets respectables, ces histoires peintes, pour atteindre la qualité, doivent être transposées de manière à bouleverser toutes ses manières habituelles de voir”. Inoltre, affermava che la qualità dell’opera aveva un’utilità nel contrastare le idee diffuse anche tra i “dirigenti proletari” che le ricerche ad esempio di Cézanne fossero “borghesi”. André Lothe, La querelle du réalisme, op. cit. p. 122.

546 “Les surréalistes ont abordé le sujet le plus difficile: le monde intérieur […] Le cubisme, avec ses

découvertes formelles, réintégra la peinture dans son domaine. Les surréalistes l’ont réintégrée dans l’homme. Il s’agirait de faire la synthèse de ces deux réintégrations”. A. Lothe, Où va la peinture?, op. cit. p. 958.

196 La pubblicazione dell’inchiesta era accompagnata da un lungo articolo di Léon Moussinac intitolato Les peintres devant au sujet: il critico, seppur restituendo alla pittura moderna un ruolo di rottura rispetto alle convenzioni dell’accademismo, riprendeva quanto già affermato nel commentato articolo del 1932 per «L’Humanité» e si rivolgeva ai pittori chiedendo loro di uscire dall’“astrazione pura assunta a formula dell’arte rivoluzionaria”547.

Anche Louis Aragon aveva come bersaglio l’astrazione di Mondrian, che assieme alle “decorazioni” di Léger e le “serate mondane” di Picabia rappresentavano per lo scrittore l’apice della crisi del cubismo, uno stile che veniva presentato come figlio della decadenza delle arti figurative causata dall’avvento della fotografia548. Per Aragon, John Heartfield era 547 “Si le Gouvernement enseigne et encourage dans les écoles un art dégagé de toute application, ce n’est

pas pour favoriser un art abstrait, indéfini, nuageux, insaisissable. On a dit, il est vrai, que l’artiste n’a doute sa puissance, toute sa force que, lorsque dégagé des liens qui le retienne à la terre, il s’élève dans les régions supérieures; mais c’est une erreur à l’usage de la littérature: elle n’est partagée par aucune artiste sérieux, par aucun de ceux qui ont étudié pratiquement les arts et leurs moyens d’action. […] Le terrain, ou la base, de l’art […] c’est son utilité. L’architecte dresse son plan et arrête le caractère de l’édifice quand il en connait l’usage; le peintre force sa composition après avoir vu la salle qu’il est appelé à décorer. […] ceux [peintres] qui se réfugiaient dans l’abstraction pure et pensaient avoir découvert la formule de l’art révolutionnaire, sans se rendre compte que cet aspect absolu d’une solution au problème posé consacrait son caractère antidialectique […] certains peintres ayant découverte et fixé les raisons pour lesquelles, aujourd’hui encore, ils peignent tel sujet et de telle manière […] La réhabilitation du “sujet” dans la peinture d’Occident ne peut être plus longtemps différée […] l’horreur que certains artistes manifestent à l’égard du “sujet” provient souvent de ce qu’ils le confondent communément avec l’anecdote, au lieu de comprendre l’anecdote comme une des multiples formes du sujet. L’exemple de Goya […] est fort utile aux méditations sur ce thème […] Il semble élémentaire de remarquer pourquoi la peinture moderne, de chevalet parce que socialement destinée à satisfaire l’individualisme bourgeois, n’a pour sujet que des paysages, des nus, des natures-mortes ou des constructions abstraites. Le consommateur commande, et sa commande a des exigences, même chez celui qui crois d’être le moins exigeant et le plus libre”. L. Moussinac, Les peintres devant le “sujet”, «Commune», maggio 1935, op. cit., pp. 973-974.

548 Aragon voleva abilitare tra le arti maggiori la fotografia (“le photomontage comme le théâtre, ou mieux

que le cinéma, est un art fait pour la foule”): lo scrittore, infatti, affermava che le invenzioni della pittura moderna erano soggette all’evoluzione della fotografia avessero reso “puerile” gli sforzi, per la pittura, di percorrere la strada della “ressemblance”: “On sait que le cubisme, notamment, a été une réaction des peintres devant l’invention de la photographie. La photo, le cinéma, rendaient pour puéril de lutter de ressemblance. Ils puisaient dans ces nouvelles acquisitions mécaniques une idée de l’art qui allait pour les uns à l’encontre du naturalisme, pour les autres à une redéfinition de la réalité. On a vu cela aboutir à la décoration chez Léger, à

197 l’esempio dell’artista capace di coniugare l’estetica moderna del collage, il realismo dell’immagine e la capacità di denuncia dell’opera549: la “sintesi estetica aragonniana” voleva abbinare messaggio propagandistico e libertà di ricerca, con il fine di riconciliare il PCF con alcuni rappresentanti del surrealismo che si erano distinti per l’impegno antifascista550, ma escludeva di fatto l’astrattismo da questo orizzonte.

La ripresa del fotomontaggio negli ambienti di sinistra, brandito sin dai suoi esordi come pratica avanguardista e rivoluzionaria nella Berlino dadaista e poi adottato come linguaggio principe delle propagande sovietica, fascista e nazista, ebbe una sua influenza sui fotomurali di Léger presentati all’Expo del 1937551. Mentre i dadaisti parigini, come più tardi i surrealisti, rimasero negli anni Venti per lo più distanti dalla tecnica eletta da Aragon, il fotomontaggio trovava ancora spazio su «Cercle et Carré», dove fu pubblicato uno dei noti lavori di Cesar Domela realizzati a Berlino per la società Ruthsspeicher (1928-1929)552 come sintesi dell’orizzonte modernista entro il quale di muoveva la rivista di Michel Seuphor.

(figura 45)

L’esclusione di questo linguaggio dalle ricerche di Abstraction-Création era un altro dei motivi che ponevano l’associazione in una posizione marginale rispetto alla linea culturale

l’abstraction chez Mondrian, à l’organisation des soirées mondaines chez Picabia”. L. Aragon, John Heartfield

et la beauté révolutionnaire, «Commune», maggio 1935, p. 987.

549 Nell’inchiesta erano presenti i fondatori del gruppo ASSO (Associazione degli artisti figurativi e

rivoluzionari) Masereel, Groz e appunto Heartfield. Quest’ultimo diventò l’esempio più importante di contropropaganda in opposizione al modello egemonico del realismo e del neoclassicismo. Nell’ambito dell’AEAR si diede quindi continuità a una tradizione già sviluppata su «L’Humanité»: il modello della Repubblica di Weimar fu l’esempio sul quale fondare una politica culturale espressa dall’avanguardia artistica.

550 Yves Tanguy partecipò alla prima manifestazione antifascista organizzata a Parigi il 4 febbraio 1934,

occasione in cui fu oggetto di un pestaggio e venne arrestato dalla polizia. L’informazione è riportata sulle colonne dell’inchiesta Ou va la peinture?, giugno 1935, p. 1122. In questa sede ricordiamo, come ha sottolineato Ory, che anche all’interno della SFIO firme di punta come Leon Gerbe e il giornalista Maurice Delepine, classavano ancora il surrealismo come “expression, dans l’art, de la decadence du systeme capitaliste au meme titre que le fascisme sur le plan de la politique”. M. Delépine, Chroniques d’art, in «Populaire», 15 gennaio 1936, cit. in Pascal Ory, op. cit. p. 238.

551 Sull’argomento si rimanda a Romy Golan, La possibilità di un fotomurale socialista, «Memoria e

Ricerca», n. 33, gennaio-aprile 2010, pp. 82-95.

198 del PCF: l’arte astratta sulle pagine di «Abstraction Création Art Non Figuratif» si presentava come rivoluzionaria ma adottava le tecniche classiche delle Belle Arti, pittura e scultura. Osservando i contenuti dell’inchiesta di «Commune» anche dal punto di vista delle illustrazioni pubblicate nel numero, è interessante notare che il “ritorno al soggetto” si manifestava iconograficamente nella quasi totalità delle immagini che corredavano la pubblicazione; a titolo d’esempio, Picasso contribuiva all’iinchiesta realizzando il disegno di un circo a commento di quello che secondo Christian Bérard, pittore e scenografo dei balletti russi, era il “dramma della pittura moderna”: la “lotta” tra la violenza dell’ispirazione e il mestiere dell’artista per rendere l’opera accessibile alle masse553 (figura 46).

Uno dei disegni realizzati da Giacometti come risposta all’inchiesta rappresentava l’avanzare del pittore verso la rivoluzione in un ruolo di guida. (figura 47) Aragon, recensendo una mostra dello scultore svizzero alla Maison de la Culture di Parigi nello stesso numero dell’inchiesta di «Commune», sottolineava come una conquista l’improvvisa trasformazione verificatasi in Giacometti il quale, accantonati i precedenti surrealisti, aveva fatto ritorno al tema della figura umana554. L’illustrazione di Giacometti pubblicata nell’inchiesta Où va la

peinture? può essere interpretata come l’ideale manifesto della “conversione” dell’artista al

soggetto, conseguenza dell’azione positiva che ebbe il richiamo dell’AEAR.

Più avanti nell’inchiesta, Giacometti pubblicava un’altra illustrazione che, riprendendo il tema della fucilazione di Goya, rappresentava una caricatura della milizia nazista, disegnata con i volti da coccodrillo. La citazione dell’opera di Goya, presentato da Moussinac come precedente storico di un’arte interpretata come “arma della rivoluzione”, poteva essere letta dall’AEAR come una sorta di dichiarazione di intenti: un ritorno al tema politico e sociale poteva bastare a includere l’avanguardia nella politica del Partito, indipendentemente dalla ricerca estetica dell’artista. L’illustrazione di Giacometti coronava l’idea di una concezione allargata del realismo secondo “fini comuni” - lo schieramento antifascista - e quindi l’idea

553 Christian Bernanrd, Où va la peinture?, p. 939.

554 “Les deux têtes, que Giacometti appelle Les deux opprimés, reflètent, mais de manière insuffisante,

l’objet de sa recherche artistique. Il affirme maintenant que toutes ses activités antérieures visaient à échapper à la réalité et il parle avec un sentiment de mépris pour le destin du mysticisme qui l’a imprégnée”, L. Aragon,

199 dell’AEAR che l’impegno dell’individuo potesse essere il “criterio principale di autenticità culturale” dell’artista impegnato555. (figura 48)

Tuttavia, quando sull’inchiesta sono pubblicate illustrazioni più radicalmente astratte, l’effetto sortito è quello di un’ironia oppure di una critica nei confronti degli artisti che le avevano realizzate: ad esempio, l’effetto si realizza quando una composizione di Ozenfant viene affiancata all’affermazione di Derain corsivata dalla redazione “Derain replace la géometrie dans son domaine propre, c’est-a-dire dans la mécanique dont elle a permis la naissance, les progrès et les applications”556 (figura 49); allo stesso modo l’affermazione di Laure Garcin sullo spirito delle avanguardie “Détruire et nier on été les mots d’ordre de presque toutes les écoles d’avant-garde de la bourgeoise”557 è accompagnata dall’immagine di un pupazzo con le sembianze di un soldato scheletrizzato di Georges Groz, a evocare la direzione di critica sociale che dovrebbe avere l’arte. (figura 49)

Nella pagina di apertura dell’inchiesta il disegno stilizzato di un relief di Arp558 evoca l’immagine della tavolozza dell’artista sardonicamente raffrontata con un’incisione dal

Compianto sul cristo morto dalla Cappella degli Scrovegni di Giotto: le illustrazioni sono

disposte a chiasmo con l’inversione sintattica delle parole a caratteri cubitali Où va la

peinture?. (figura 50)

Utilizzando un artificio frequente nella pubblicistica moderna, il titolo dell’inchiesta veniva utilizzato come “frase ad effetto” per suggerire attraverso la disposizione di testo e immagini l’esito paradossale della pittura moderna rappresentato dalla composizione astratta di Arp. Gli unici artisti vicino ad Abstraction-Création ad essere interpellati furono Laure Garcin e Robert Delaunay. La prima aveva orientato la sua ricerca verso il cinema d’animazione, di conseguenza è possibile che fosse ben voluta da Moussinac proprio per queste ragioni.

555 Questa lettura della poltica culturale del PCF è in Fabre, L’ultima utopia: il reale, op. cit., p. 43.

L’autrice sottolinea l’aspetto la mancanza della definizione di un “soggetto sociale”, come l’operaio, il contadino, lo sciopero, aveva dato spazio alla presenza di artisti come Giacometti, Léger, Signac, Tanguy.

556 André Derain, Où va la peinture?, op. cit., p. 942. 557 Laure Garcin, Ivi, p. 943.

558 Si trattava delle illustrazioni realizzate da Arp per una delle sue composizioni poetiche. Ad esempio,

si rimanda alla coeva composizione L’air est une racine, pubblicata su «Le Surréalisme au service de la révolution», n. 6, 1933, p. 33.

200 Inoltre, il suo contributo all’inchiesta si configurava come una sorta di mea culpa dell’avanguardia: l’artista chiamava i colleghi “lavoratori manuali e intellettuali” a reagire alla passiva accettazione dei meccanismi del capitalismo559. È necessario sottolineare che anche se Garcin pensava a forme di realismo distanti dalle convenzioni del soggetto, preferì non affrontare il discorso di una coerenza fra stile e contenuto. Lo stesso avvenne per Robert Delaunay, che decise di collegare il problema dell’utilità dell’arte con la pittura murale, accessibile a tutti:

Je porte la révolution sur un autre terrain. Dans l’architecture. Moi, artiste, moi, manuel, je fais la révolution dans les murs […] Pendant que la mode était au tableau de chevalet, je ne pensais déjà qu’à de grands ouvrages muraux, architectures, exprimant une grande idée collective.560

Il terreno per Delaunay era comunque scivoloso. René Crevel gli rimproverava infatti un po’ di faciloneria: “Il est très bien de dire: Moi, Robert Delaunay, moi artiste, moi manuel, je fais la révolution dans les murs. Mais que la révolution vraiment se fasse dans les murs, dans les portes et dans les fenêtres, ne croyez-vous pas, Delaunay, qu’elle doive commencer par se faire ailleurs?”561. Nell’ambito dell’inchiesta Où va la peinture? fu solo Léger ad affrontare direttamente il discorso dell’incomprensione popolare della ricerca estetica contemporanea,

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