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Astrattismo e politica, Abstraction-Création sullo sfondo della querelle du

IV.1. Note sul contesto

Il secondo numero di «Abstraction Création Art Non Figuratif» si apriva con una presa di posizione rispetto agli orizzonti foschi degli scenari politici loro contemporanei:

Le cahier «Abstraction-Création» numéro deux paraît au moment où, sous toutes les formes, sur tous les plans, dans quelques pays d’avantage qu’ailleurs, mais partout, la pensée libre est fermement combattue. […] Nul ne peut à l’avance déterminer ce que sera l’art prochain. Toute tentative de limiter les efforts artistiques selon des considérations de races, d’idéologies ou de nationalités est odieuse. Nous plaçons ce cahier numéro deux sous le signe d’une opposition totale à toute oppression, de quel qu’ordre que ce soit.459

L’11 aprile 1933 la Bauhaus di Berlino fu chiusa dalla polizia. Nel milieu delle avanguardie parigine mancò una movimentazione per la difesa della libertà di espressione sotto il Reich e per il sostegno alla minoranza artistica tedesca residente nella capitale francese, a differenza di quanto accadde nel pieno della guerra civile spagnola460.

459 Le comité, «Abstraction Création Art Non Figuratif», n.2, 1933, p. 1.

460 Sull’argomento Catherine Wermester, La réception en France de l’exposition art dégénéré de Munich, en 1937, Unviersité Paris 1, Risorsa online : http://hicsa.univ- paris1.fr/documents/pdf/CIRHAC/Catherine%20Wermester.pdf ; Hélène Duret, « Dégénérés » en France.

Tentatives de Dé nition d'une Identité collective par les Artistes Germaniques exilés en France à la Fin des Années 1930, Artl@s Bulletin 6, n. 2, 2017.

167 La repressione lanciata dai nazisti contro qualsiasi forma di opposizione che coinvolse gli ambienti artistici461 provocò invece la reazione subitanea di Otto Freundlich, uno dei membri più attivi dell’associazione Abstraction-Création.

Freundlich fu l’unico a prendere posizione pubblicamente sull’argomento, in ragione delle vicende che lo toccarono direttamente462: il decreto di estradizione destinato agli ebrei tedeschi promulgato dal Reich fu l’inizio della lunga e sofferta trafila dell’artista per la richiesta della cittadinanza francese, che non gli venne mai concessa. Deportato nel febbraio del 1939, morì nel campo di concentramento di Majdanek nel 1943463. Nel manoscritto intitolato Pour le Bauhaus et contre la réaction culturelle, datato 1933 e conservato presso l’IMEC, l’artista auspicava un imminente rovesciamento del governo di Hitler, convinto che i valori della cultura avrebbero sconfitto la barbarie nazista:

[Les hitlériens] ne peuvent détruire [l'] esprit [du Bauhaus] car celui-ci a déjà conquis le monde [...]. La nouvelle race humaine que nous imaginons ne connaît ni couleur de peau ni couleur de cheveux, elle émergera quand elle se sera débarrassée du pouvoir gouvernemental qui veut abuser d'elle464.

461 Tra il 1933 e 1937, anno della celebre mostra Entartete Kunst furono organizzate dal regime circa 20

esposizioni minori di condanna all'arte contemporanea. Sull’argomento si rimanda al recente libro O. Peters, R. Lauder, R. Price, B. Fulda, Degenerate art. The attack on modern art in the Nazi Germany – 1937, Ed. Prestel, New York, 2014.

462 Freundlich nacque a Stolp in Pomerania nel 1878, morto in campo di concentramento in Polonia nel

1943, dopo ne 1924 si stabilì a Parigi dove incontrò Delaunay, Kandinsky, tenne contatti con il Novembergruppe. Una sua lettera del 1919, tradotta in italiano, è pubblicata in Arte e rivoluzione, op. cit., pp. 18-19. Nel 1935, Freundlich ribadì la sua opposizione al razzismo di Hitler nel testo Vers la nationalisation de

l'esprit dove esortava gli artisti tedeschi a unire le forze per costruire un’Europa “dans laquelle non la haine

mais la coopération pacifique se constitue par une culture et une civilisation mondiales communes”. O. Freundlich, 1935, IMEC.

463 Tra la bibliografia sull’artista si riamanda a Joël Mettay & Edda Maillet, Otto Freundlich et la France, un amour trahi, Perpignan, Mare Nostrum, 2004.

464 Für das Bauhaus und gegen die Kulturreaktion - Pour le Bauhaus et contre la réaction culturelle,

168 L’attenzione tempestiva di Freundlich alla politica internazionale non fu un caso così isolato nel gruppo degli astrattisti parigini. Nelle pagine della rivista «Abstraction Création Art Non Figuratif» le discussioni che andavano contemporaneamente dibattendosi nei circoli militanti marxisti trovarono infatti uno spazio.

All’interno delle riviste «Clarté» e «L’Humanité» - palestre per la formazione di giovani pittori come Jean Hélion465 - nella metà degli anni Venti aveva trovato spazio anche la riflessione sulle arti figurative, con uno sguardo rivolto alla Germania e alla celebrazione di George Groz come esempio di artista impegnato466.

Su queste riviste l’astrattismo, nonostante la militanza di molti pittori non figurativi nelle fila del Partito Comunista Francese, venne marginalizzato dai critici marxisti, a differenza di quanto avveniva contemporaneamente in Inghilterra attorno alla figura di Herbert Read467 e

465 Ricorda Jean Hélion nel suo libro di memorie: “Depuis cinq ou six ans déjà, je m’intéressais à l’idéal

communiste, à ce qui filtrait de beau dans L’Humanité dont les pages littéraires et scientifiques, à cette époque, étaient remarquables”. Jean Hélion, Récits et commentaires: mémoire de la chambre jaune, à perte de vue,

choses, revues, IMEC - Beux-Arts de Paris éditions, Parigi, 2004 (I ed. 1985), p. 297.

466 Sulla rivista «Clarté» la critica era attenta all’arte contemporanea - venivano ad esempio pubblicati articoli indignati per il conformismo generale dei musei che ignoravano artisti come Matisse, Vlaminck, Bonnard, Picasso, Dufy, Zadkine, Leger, Vuillard. Salons d’automne, «Clarté», n. 69, 1924. Diversi articoli sottolineavano la bellezza rivoluzionaria delle produzioni di Georges Grosz come esempio dell’artista capace di minare le basi della società capitalista. Léon Balzagette, Georges Grosz, «Clarté», n. 69, 1924. Per un’inquadramento dulla rivista si rimanda a Alain Cuénot, «Clarté» (1919-1928): du refus de la guerre à la

révolution, in «Cahiers d’histoire. Revue d’histoire critique», n.123, 2014, 115-136. Anche «L’Humanité»

diede molto spazio all’opera di Groz (Jacques Sadoul, Un peintre de la lutte de classe, Gorge Gross [sic], «L’Humanité», 25 marzo 1923); la maggior parte degli articoli della rivista – oggi consultabile integralmente online sul portale BNF Gallica - riguaravano il ruolo dello scrittore. Si rimanda alla bibliografia pubblicata in Uwe Fleckner, Thomas W. Gaehtgens (a cura di), Prenez garde à la peinture!, Akademie Verlag, Berlino, 1999.

467 Sul contesto inglese si rimanda a A. Bowness, British Art and the Modern Movement 1930-40, catalogo

della mostra a cura di Id., National Museum of Wales, 13 ottobre - 25 novembre 1962), Bolton, 1962; A Fowler,

Toward a Rational Aesthetics. Constructive Art in Post-war Britain, Osborn Samuel Gallery, London, 2007; V.

Turner, Modernism and the Visual Art, in Oxford Handbook of Modernism, a cura di P. Brooker, A. Gąsiorek, Oxford, 2010, pp. 540-561. C. Harrison, 1920-1945: i testi teorici degli artisti e i dibattiti della critica, in 1920-

169 in America con l’attività della Scuola di Francoforte in esilio468, dove la modernità dell’espressione astratta fu interpretata nei termini di un’arte rivoluzionaria.

Di fronte al rifiuto e all’ostilità che in Francia colpì questa tendenza, criticata sia dai giornalisti d’arte che dai comunisti ortodossi sostenitori del realismo socialista, l’inedita analisi che si presenta in questa ricerca, dedicata alle posizioni politiche dell’associazione Abstraction-Création, offre una nuova angolazione che contribuisce agli studi sul rapporto tra arte e politica nel periodo dell’entre-deux-guerre.

Più di un decennio dopo “l’internationale des artistes”469 gli eventi storici degli anni Trenta portarono gli artisti vicini alle tendenze astratte a ripensare fini, mezzi e pubblico a cui riferirsi.

Abstraction-Création, a differenza del movimento surrealista che caratterizzò la propria attività con una trasparenza ideologica - attivismo politico da un lato e sperimentazione artistica dall’altro per concretizzare la “rivoluzione” intesa come trasformazione dell’uomo e dell’individuo - aveva deciso si restare fuori da ogni eventuale manipolazione politica e mediatica: “l’associazione è indipendente da tutti i raggruppamenti”, si leggeva in ogni editoriale di apertura della rivista. Non solo da “gruppi” artistici, ma anche dalle fazioni politiche, si direbbe. Per molti artisti “indipendenti”, come abbiamo visto, era necessario che le opere parlassero al posto delle teorie.

Questo tipo di atteggiamento, che implicava un discorso sulla purezza assoluta dell’opera di stampo idealista, aveva portato Vordemberge-Gildewart ad affermare nello stesso 1933, proprio sul bollettino dell’associazione: “Il n’existe pas d’art politique ou social”470.

L’indipendenza con la quale si presentava l’associazione Abstraction-Création era probabilmente dovuta a una scelta di posizionamento che, almeno a livello delle dichiarazioni di intenti, prendeva le distanze dall’operazione bretoniana di coinvolgimento sempre più

468 Sull’argomento si rimanda al capitolo di Thomas Wheatland, Crosstown traffic: the New York Intellectuals Encounter Critical Theory, in Id., The Frankfurt School in Exile, University of Minnesota Press,

2009, pp. 140-186.

469 L’espressione “Internationale des artistes”, utilizzata in riferimento agli scambi culturali avviati dopo

il Congresso degli artisti progressisti di Dusseldorf nel 1922, è di Serge Lemoine in Paris/Berlin 1900-1933, Catalogo dell’esposizione, Centre Pompidou, Parigi, 1978, p. 216.

170 manifesto del Surrealismo con la politica, che aveva trovato nelle mostre organizzate dagli stessi membri affiliati al gruppo una significativa occasione di propaganda culturale, artistica ed ideologica471. Tuttavia, la tenacia con la quale Abstraction-Création difese la “non figurazione” si contestualizzava anche nell’ambito di una manifesta opposizione alla

nouvelle vague delle tendenze figurative sostenute da alcune gallerie che a partire dal 1934

cominciarono a sostenere i pittori vicini alla tendenza del realismo socialista e dedicarono ampio spazio alla fotografia472.

471 Tra la numerosa bibliografia sul tema dei rapporti tra surrealismo e politica si rimanda a S. Harris, Surrealist Art and Thought in the 1930’s: Art, Politics, and the Psiche, Cambridge, 2004 e Raymond Spiteri, Surrealism and the Question of Politics, 1925-1939, in A Companion to Dada an Surrealism, Chichster, 2016,

pp. 110-130.

472 La congiuntura politica del periodo 1934-1939 permise alla Galerie Billiet-Vorms – il cui direttore era

il critico d’arte comunista Joseph Billiet – di giocare, per i temi delle sue mostre e l’orientamento scelto dagli artisti, un ruolo senza dubbio decisivo in quello che verrà battezzato, grazie ad una mostra dell’inizio del 1934,

Le retour au sujet. Nell’ottobre 1935 Billiet organizzò una mostra di manifesti e fotografie, da Savignac a Dora

Maar e nel maggio del 1936 con l’esposizione Le réalisme dans la peinture. Sull’attività della galleria si rimanda alle note pubblicate in Nicole Racine, La querelle du réalisme (1935-1936), S. & R., n. 15, Dicembre 2002, pp. 113-132, pp. 119-120. Le esposizioni si contestualizzavano nell’ambito di un rinnovato interesse per la tradizione del realismo in pittura, analogo a quello che aveva accompagnato la nascita del movimento realista a metà Ottocento: nel 1935 era stata organizzata l’esposizione Les maitres de la realité au XVIIe siecle al Musée de l’Orangerie (una lunga descrizione della mostra era pubblicata nell’articolo di Douglas Lord, Shorter Notices, The Burlington Magazine for Connoisseurs, n. 384, marzo 1935, pp. 138-140). Per un inquadramento si rimanda a Antonello Negri, Il Realismo dagli anni Trenta agli anni Ottanta, Editori Laterza, Roma, 1994, pp. 56-57. Un’altra galleria che seguì questa linea la cui attività non è stata studiata finora fu la Galerie Seligmann: nel 1934 aprì la mostra Rehabilitation du sujet, che ebbe un notevole successo sulla rivista legata al PCF «Europe». L’autore sceriveva che il XVIII secolo di Chardin e Fragonard aveva in comune con l’opera di Degas, Cezanne e Renoir l’attenzione al soggetto umano che dimostrava “un sens solide de la réalité” che doveva chiamare gli artisti ad interrogarsi sul tema del “dramma umano”: “Le mérite d’une pareille exposition – continuava l’autore – est de soulever de si graves questions. Les cinquante dernières années ont jeté la peinture sur des chemins ou chaque artiste, dans la solitude et l’inconnu, apprend son langage – il s’agit de peintres, non de fabricants, qui eux trouvent toujours des formules à exploiter […] Comment, être mieux qu’un peintre, un homme qui exprimera aves ses moyens propre le drame que vivent les hommes, leur tristesse et leur joies? Cette exposition: La Réhabilitation du Sujet, fait se questionner une fois de plus des artistes”. Rehabilitation du sujet, «Europe», n.144, 15 dicembre 1934, pp.626-627.

171 Le posizioni politiche all’interno del milieu astratto furono intrinsecamente legate alle vicende personali degli artisti: Otto Freundlich prese posizione attraverso articoli di denuncia; molti emigrati russi avevano idee anticomuniste, come Kandinsky473, mentre Arp, invece, decise di esprimere la sua personale resistenza abbandonando la lingua tedesca e scrivendo poesie in francese474.

Gli esuli russi e tedeschi a Parigi arrivarono in una città che aveva un tessuto di organi marxisti molto attivo e radicato: tra il 1932 e il 1936, infatti, anni di attività di Abstraction- Création, si assistette ad una intensa politicizzazione del contesto culturale. Sulla rivista «Abstraction Création Art Non Figuratif» la riflessione sociale sull’arte si espresse con differenti approcci: la rivendicazione di autonomia e indipendenza di linguaggio, il desiderio di allontanarsi da qualsiasi irreggimentazione politica, oppure la formulazione di un pensiero che, adottando gli strumenti della critica marxista, identificasse nell’astrattismo il punto più avanzato della storia sociale dell’arte. Sebbene i rimandi a una generica simpatia del gruppo astratto per l’Association des écrivains Révolutionnaires facente capo al PCF475, oppure allo schieramento sul fronte anti-nazifascista dell’astrattismo476 emerga spesso come riferimento nella letteratura, non è stato finora condotto uno studio approfondito sull’argomento.

473 Alcune note sulla posizione politica di Kandinsky sono in Christian Drouet, Kandinsky, Lettura a ritroso, in Kandinsky e l’astrattismo in Italia, a cura di Luciano Caramel, catalogo della mostra, Milano 10

marzo-24 giugno 2007, Palazzo Reale, Ed. Mazzotta, Milano, 2007, pp. 32-33 e Christian Derouet, Kandinsky

et les Cahiers d’Art (1927-1944) in Kandinsky, catalogo della mostra, Centre Pompidou, 8 aprile -10 agosto

2010, ed. Centre Pompidou, Parigi, 2010, pp. 307-323.

474 La moglie di Alberto Magnelli, Susi, ricordava gli anni dell’esilio di Arp durante la guerra a Grasse

raccontando un aneddoto sull’odio che l’artista nutriva per il nazismo: “Toujours est-il que lorsqu’il travallait à un platre, en le grattant, il disait, ‘Ca c’est pour Goring! Ca c’est pour Goring!’”. Susi Magnelli, citata in

Hans/Jean Arp: Les temps des papiers déchirés, Musée national d’art modern, Centre George Pompidou, Parigi

1983, p. 76.

475 Pascal Ory, La belle Illusion, op. cit; Gladys Fabre, 1978, op. cit.

476 Tra i recenti contributi in ambito italiano anche l’articolo di Monica Cioli, L’astrattismo a Parigi negli anni Trenta: «Cercle et Carré e «Abstraction-Création» come laboratorio della modernità, in «Visual History.

Rivista di storia e critica dell’immagine», n. 1, ISSM, Napoli, 2013, pp. 37-48. Qui l’autrice tratteggia l’orizzonte comune dei gruppi astratti degli anni Trenta nell’affermare la libertà dell’arte contro i totalitarismi. Anche in questo caso non sono indagate le dinamiche del rapporto tra gli artisti astratti e la politica del Fronte Popolare, né tantomeno delle loro posizioni nell’ambito del dibattito sul realismo.

172 L’analisi comparativa di ciò che venne pubblicato nell’anno 1935 sulla rivista del gruppo, nei «Cahiers d’Art» e su «Commune», organo di stampa dell’organizzazione comunista AEAR (Association des Ecrivains et Artistes Révolutionnaire) è servita per argomentare la posizione di Abstraction-Création all’interno della querelle du réalisme, il dibattito artistico promosso dalla Maison de la Culture nel 1936, dove si trovarono anticipati gli scontri e le discussioni che avrebbero animato il mondo dell’arte del secondo dopoguerra alla ricerca di una dialettica tra difesa della libertà formale e impegno politico.

Contestualmente, la partecipazione di Abstraction-Création al Salon de l’Art Mural organizzato nel giugno del 1935, occasione nella quale il gruppo trovò un momento di riconoscimento pubblico alla propria attività, precisa i contorni di quale fu il coinvolgimento del gruppo astratto nella manifestazione che portò all’uscita di scena di Prampolini e l’ingresso di una nuova leva di artisti italiani nell’associazione.

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