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Apollo e la concezione degli eroi nel III libro

APOLLO ALL'INTERNO DELLA REPUBBLICA PLATONICA

4.4 Apollo e la concezione degli eroi nel III libro

Il libro terzo della Repubblica si apre ribadendo le norme utili da osservare nel momento in cui si parla degli dèi. Esso, quindi, come gran parte il secondo libro, è dedicato alla mitologia. Le indicazioni che vengono fornite a coloro che agiranno sulla formazione dei fanciulli, come i poeti o i prosatori, sono improntate allo scopo di fornire una visione positiva della divinità. La trattazione è introdotta dalla questione, che qui viene posta da Platone, se e come si debbano raccontare i miti, e cosa si debba dire in questi racconti. Con la parola “mito” si intendono racconti o “discorsi” mitologici. L'avversione di Platone è riferita nei confronti dei

miti tradizionali sull'Ade238, o per i racconti nei quali dèi od eroi si lamentano o si

abbandonando al dolore. La dottrina negativa di Platone circa l'Ade consiste soprattutto nel negare, come già nel Fedone, una parte importante delle consuete raffigurazioni dell'al di là: esso non deve essere rappresentato soltanto come un luogo oscuro, pauroso e terribile, mediante appellativi esclusivamente negativi: tale sarà, ma solo per i malvagi. Ed anche per essi, purchè non abbiano errato troppo gravemente, sarà un luogo di sofferenze solo fino al momento in cui non abbiano finito di espiare la loro pena. Gli dèi non vanno descritti come coloro che si abbandonano al riso, né come esseri che dicono, o inducono a credere il falso, né, ancora, si può accettare che vengano descritti come intemperanti.

Notevole è il numero di miti che vengono confutati o respinti. E' quindi evidente che, anche se qualche mito può sfuggire a queste severe restrizioni, (in quanto dipinge gli dèi in maniera positiva e accettabile), l'edificio della mitologia tradizionale nel suo complesso viene praticamente demolito da una rigorosa critica razionalistica.

L'intento di Platone è quello di dimostrare che dagli dèi non può mai venir nulla di male e che quindi azioni negative compiute da parte della divinità non dovranno essere ricordati né quantomeno lodati da parte degli scrittori dei miti; come leggiamo di seguito:

- Non è certo giusto, rispose, lodare cose simili.

Per rispetto di Omero, continuai, esito poi ad affermare che non è pio parlare così di Achille e che crederci se lo dicono gli altri. Non lo è credere che contro Apollo abbia detto:

mal mi facesti, o lungisaettante, il più funesto tra tutti gli dèi; e certo trarrei vendetta di te, pur che potessi.

238 Scrive Vegetti, nel saggio su Gli dei e la religione nell'antica Grecia: Il dio degli inferi e dei

morti, Ade, è per i Greci una divinità senza tempio e senza culto. Proprio questa sua rimozione dalla sfera della visibilità olimpica, insieme con il terrore suscitato dal mondo dell'invisibile, dell'indicibile, di ciò che è contaminante, suscita la necessità di una esperienza religiosa diversa, lontana dagli spazi e dai modi del culto pubblico e diurno. Da questa esigenza nasce la forma di religiosità misterica.

E che negasse obbedienza al fiume, che pure era un dio, e fosse pronto a combattere; che dei suoi capelli consacrati all'altro fiume, lo Spercheo, abbia detto: <<Qual chioma donar li vorrei a Patroclo eroe>>, che era morto; e non è da credere che l'abbia fatto239.

Lo scenario della narrazione è ancora una volta quello dell'Iliade240. In questo episodio Apollo

parteggia per i Troiani e prendendo le sembianze di Agenore, inganna Achille, allontanandolo dalla battaglia. Platone riporta le parole che Achille, quindi, avrebbe pronunciato contro il lungisaettante, in seguito alla beffa da lui ricevuta sotto forma di vendetta.

Il passo citato illumina il lettore anche su un'altra grande mancanza di Achille, quella di non aver ascoltato il monito del divino fiume Scamandro-Xanto, che consisteva nel non riempire le sacre acque di cadaveri. La critica platonica deriva dal fatto che, Achille, non avendo avuto attenzione nei confronti di questo appello, dimostri di essere un “eroe” non degno di discendenza divina. Ciò conduce all'argomento principale della sezione dialogica: gli “eroi”. Sono coloro che, come Achille, sono composti da due nature: quella divina e quella mortale. Achille, però, come notiamo dall'esempio riportato sopra, non assolve ad un compito che si direbbe essere quello di un uomo partecipe della divinità, ma, anzi, si comporta in maniera ingiusta e meschina.

Ma per Platone tutto ciò che di negativo viene detto degli eroi è da respingere perchè essi sono figli o prossimi discendenti degli dei e partecipi della loro natura: come la natura degli dèi non può essere negativa, non può dunque esserlo neanche quella degli eroi. Gli eroi erano considerati dalle popolazioni tradizionali paradigmi di comportamento e maestri di virtù. Accettare le tradizioni che li dipingono come autori di azioni morali, quando invece ne hanno compiute anche di immorali, ed i racconti mitologici lo dimostrano, non è dunque, secondo il filosofo, in alcun modo accettabile.

239 PLAT. Resp 391a-b.

Quindi, lo scopo di coloro che governano lo stato è quello di far capire ai poeti che l'operato degli eroi non è responsabilità della divinità, la quale, associata al loro comportamento, potrebbe cadere in discredito agli occhi dei fanciulli che apprendono queste favole. Questi racconti inventati potrebbero indurre i giovani a commettere il male. Non a caso, l'argomento è affrontato nel libro III e contiene un tema cardine del nuovo stato: l'educazione dei custodi- filosofi.

Non si devono imitare le cose indegne, vili, irrazionali o malvage; meglio è limitare questo atteggiamento e sviluppare di più la narrazione, meno emotiva, più uniforme e controllata241.

L'imitazione, comunque, nella misura in cui viene ammessa, dovrà essere imitazione degli atti dell'uomo retto, e non di quelli del malvagio e del dissennato. Analogo è il discorso per la musica: saranno quindi bandite le armonie lamentose, come pure quelle molli e conviviali, e saranno tollerate solo quelle convenienti ai guerrieri.

Omero è uno dei poeti che compone la narrazione ricorrendo all'imitazione, ed infatti è ancora una volta l'Iliade lo scenario nel quale compare Apollo:

Se Omero, dopo aver detto che Crise era arrivato con il prezzo del riscatto per la figlia a supplicare gli Achei e specialmente i re, avesse poi parlato non come fosse divenuto Crise, ma ancora come Omero, questa sarebbe tua, lo vedi bene, non imitazione, ma semplice narrazione. E si svolgerebbe pressappoco così (non parlerò in versi, perchè ho doti poetiche): << Alla sua venuta il sacerdote espresse l'augurio che gli dèi concedessero loro di prendere Troia e di rimanere incolumi, e chiese che gli rendessero la figlia in cambio del riscatto e per il rispetto al dio. A queste sue parole, mentre gli altri lo riverivano e acconsentivano, Agamennone s'infuriò intimandogli di andare subito e di non ritornare più, chè non sarebbero bastati a proteggerlo lo scettro e le bende del

dio; gli disse che sua figlia, prima di venire liberata, sarebbe invecchiata con lui in Argo; e gli insgiunse di andarsene e di non provocarlo se voleva tornare sano e salvo a casa. A queste parole il vecchio spaventato se ne andò in silenzio, ma lontano dal campo rivolse molte preghiere ad Apollo, invocandolo con gli epiteti suoi propri, ricordandogli e chiedendogli di ricambiare se mai gli avesse fatto qualche dono gradito costruendo templi o sacrificando vittime. E lo pregò che in grazia di questo facesse scontare agli Achei le proprie lacrime con i suoi dardi>>. Così, amico, conclusi, è una narrazione semplice, senza imitazione242.

Nella città di Troia si combatte da nove anni. Nel primo libro dell'Iliade, Crise, sacerdote di Apollo Sminteo (epiteto probabilmente di una divinità preellenica, poi attribuito ad Apollo), chiede ad Agamennone la restituzione della figlia Criseide, caduta in mano dei Greci. Con il decimo anno della guerra comincia la disputa attorno a Briseide243. Achille si ritira sotto la sua

tenda, e rifiuta di prendere parte alla lotta contro i troiani finchè gli sarà contestata la proprietà della giovane. La vicenda prosegue poi con vari intrecci nei quali entra a far parte sempre Apollo: ispira Enea al fine di resistere ad Achille; fa cambiare strada ad Achille che insegue i troiani e lo fa smarrire; decide di abbandonare Ettore dopo avergli fornito ausilio.

Nell'Iliade assistiamo al continuo intreccio tra mondo degli dei e mondo degli uomini, questo elemento è anche una caratteristica saliente dell'immaginario religioso dei Greci. Di qui anche una consuetudine al commercio con gli dei, una familiarità con la loro presenza, un'attribuzione ad essi di rapporti peculiarmente umani: gli dei possono ferire gli eroi ed esserne colpiti sul campo di battaglia, conoscono l'amore, la gelosia, l'invidia e ogni altra passione propria degli uomini. L'Iliade quindi, può essere definita come il poema fondatore di 242 PLAT. Resp. III 393e-394b.

243 Ricordiamo nuovamente l'episodio, sopra riassunto: poichè una peste sta decimando le file dei Greci, Calcante rivela che questo flagello è dovuto alla collera di Apollo. Il dio lo ha inviato su richiesta del suo sacerdote, Crise, la cui figlia Criseide, è stata rapita e assegnata ad Agamennone quale sua parte nel bottino di Tebe. Achille sollecita una riunione dei capi e costringe Agamennone a restituire la giovane, ma, in compenso, Agamennone esige che Briseide sia riconsegnata.

un universo religioso. In questo universo il ruolo di Apollo, divinità “filosofica” per eccellenza in quanto dotato del dono principale della sapienza, avrebbe anche oscurato il prestigio dello stesso Zeus.

Questo episodio narrato dalla Repubblica getta una luce su cosa sia per i Greci, l'esperienza del sacro. Abbiamo notato la corrente abitudine di invocare le divinità quali: le Muse, Apollo e non solo, affidandosi alla loro benevolenza e al loro volere nei momenti di particolare difficoltà. Il rito propiziatorio consisterà, infatti, nell'offerta votiva, accompagnata dall'invocazione e dalla preghiera. L'evento rituale, in cui si celebra e si assicura il buon rapporto tra uomini e potenze divine, è anche un momento alto della convivenza tra uomini, della autocelebrazione delle loro comunità: ad esso si accompagnano dunque sempre gli eventi più significativi della civiltà greca come i banchetti o le rappresentazioni teatrali. Può avvenire, però, che gli uomini invadano lo spazio del sacro, ne violino i privilegi o infrangano le norme divine che regolano l'ordine sociale. Questo accade nella vicenda sopra narrata, quando i Greci riducono in schiavitù la figlia del sacerdote di Apollo, Criseide, per nascita consacrata al dio.

Un esempio celebre di invocazione agli dèi (dato che è questo l'atto compiuto dal sacerdote di Apollo) è rappresentato dagli Inni Orfici. Si tratta di una raccolta di ottantotto composizioni e ottantasei Inni; ciascuno dedicato ad una divinità cui il poeta si rivolge direttamente, elencandone nomi e attributi. Secondo la tradizione, proprio Museo avrebbe messo per iscritto gli Inni composti da Orfeo. L'Inno ad Apollo, facente parte di questa raccolta, risulta ricco di riferimenti alle innumerevoli sfere di potere a lui competenti ed attribuitegli da coloro che quotidianamente lo invocano:

Vieni, beato, Paian, uccisore di Tizio, Febo, Licoreo,

Menfita, splendidamente onorato, invocato col grido, datore di felicità, Dalla lira d'oro, che proteggi la semina e l'aratro, Pizio, Titano,

Grinio, Sminteo, uccisore del Pitone, Delfico, indovino,

selvaggio, demone apportatore di luce, amabile, giovane glorioso, guida delle Muse, istruttore del coro, che colpisci di lontano, saettatore, Branchio e Didimeo, operante di lontano, Lossia, santo,

signore Delio, che hai l'occhio che tutto vede e da luce ai mortali, dalla chioma d'oro, che sveli sincere profezie e oracoli...244.

La salvezza individuale rappresenta per gli Orfici essenzialmente salvezza dell'anima meritata attraverso la pratica di una purificazione che non si esaurisce in un gesto rituale ma contrassegna l'esistenza intera. Il dio dell'orfismo è in primo luogo Apollo kathartès, il “purificatore”. Liberatasi dal corpo, l'anima così purificata, può tornare alla beatitudine della sua originaria condizione divina.

L'Inno ad Apollo è stato nominato al fine di comprendere l'importanza attribuita dalla popolazione ai riti religiosi all'interno dei templi e nei centri cittadini. Le cerimonie, però, ed i riti religiosi, gli atti di culto, non hanno, nella città descritta dalla Repubblica, un grande rilievo. Senza dubbio essi sono presenti, e ci sarebbe da meravigliarsi se fosse altrimenti; ma non si tratta di una presenza marcata, e basta per convincersene il confronto con le Leggi, dove la religione ed il culto sono davvero il fondamento supremo della vita e dell'esistenza stessa dell'individuo, come della città.

Platone ad esempio, all'interno della Repubblica, definisce i cittadini della città ben ordinata << incoronati e cantando inni agli dèi >>245. Sono momenti del culto che appaiono di sbieco e

per un attimo, mostrando come tali pratiche religiose sono considerate da Platone ovvie e naturali, comuni a tutti e quindi anche ai cittadini della città da lui immaginata. Un significato analogo - di atti del culto pubblico della città- hanno le consultazioni dell'oracolo di Delfi, di cui abbiamo già parlato. Non ci sono quindi grandi cenni a culti privati. Hanno invece la

244 RICCIARDELLI G. (TRAD. DI), Inni Orfici , Milano 2000.

meglio, culti collettivi come, appunto, nel caso del passo tratto dall'Iliade, una semplice invocazione ad Apollo.

In questo terzo libro Apollo compare ancora una volta nel paragrafo, dedicato alla musica e alla melodia246. Socrate e Glaucone prendono adesso in esame le varie tipologie di strumenti

utilizzati dal musico. Il loro intento è quello di stabilire quali tra di essi possano risultare idonei ed entrare a far parte del nuovo stato. Secondo loro il canto e la melodia non avranno bisogno di molti strumenti e quindi elimineranno tutti quelli che hanno molte corde e sono capaci di produrre varie armonie. Accantonato anche l'aulòs, strumento simile all'oboe, gli strumenti musicali che rimangono a disposizione sono la lira e cetra, strumenti profondamente legati al culto apollineo.

Ti restano dunque, ripresi,lira e cetra, utili in città; in campagna invece, per i mandriani, andrebbe bene anche una specie di siringa.

Si, disse, così almeno ci porta a concludere il nostro discorso.

Non siamo proprio originali, mio caro, dissi io, a giudicare Apollo e i suoi strumenti preferibili a Marsia e ai suoi.

Per Zeus!, fece lui, evidentemente non lo siamo!

Corpo d'un cane, replicai, senz'accorgerci abbiamo nuovamente purificato lo stato che poco fa dicevamo gonfio di lusso.

Si, rispose, e saggiamente247.

La cultura greca del V-VI secolo a.C. è ancora, malgrado l'azione della sofistica e delle tendenze di tipo razionalistico in generale (tra le quali vanno annoverate anche l'insegnamento di Socrate e l'attività dei suoi allievi), talmente impregnata di tradizioni mitologiche che lo

stesso Platone, anche nell'opera in cui critica più duramente la mitologia, non può esimersi dal servirsi, più di una volta, di esempi ed immagini tratte dalla mitologia. Egli scriverà quindi, come vedremo nel passo riportato, che è naturale preferire Apollo e i suoi strumenti agli strumenti di un Marsia ad esempio, dell'aulòs a due canne (in opposizione alla “siringa“ o flauto di Pan). I genitori di Marsia sono Iagni e Olimpo (oppure Eagro). La leggenda racconta che la dea Atena avesse fabbricato il primo aulòs, con ossi di cervo, durante un banchetto presso gli dèi. Era e Afrodite, vedendola soffiare, avevano canzonato l'aspetto che il flauto faceva assumere al suo volto, dimodochè Atena si era immediatamente recata in Frigia per guardarsi in un fiume. Qui si era accorta che le due dee avevano ragione (soffiare all'interno dello strumento provocava una deformazione del suo volto gonfiandole le guance), e scagliò il flauto lontano, minacciando chiunque l'avesse raccolto di lanciargli i più terribili castighi. Marsia lo raccolse, e il castigo gli fu inflitto da Apollo. Fiero per la sua scoperta e stimando che la musica del flauto fosse la più bella del mondo, Marsia sfidò infatti Apollo a ricavarne una simile con lo strumento che a lui apparteneva: la lira. Apollo accettò la sfida, a condizione che il vincitore avrebbe fatto subire al vinto il trattamento che avesse voluto. Un primo tentativo non ebbe esito; ma Apollo sfidò il proprio avversario a suonare alla rovescia, come egli faceva con la sua lira. Davanti a questa perfezione della lira, Marsia fu dichiarato vinto e Apollo, sospendendolo ad un pino o ad un platano, lo scorticò. Ma, dopo, si sarebbe pentito della sua collera e avrebbe spezzato la lira. Satiri, ninfe e fauni accorsero per piangere un ultima volta il compagno, e dalle loro lacrime nacque un fiume che prese il suo nome.248

Notiamo come, anche in questo mito, tralasciato da Platone per i motivi che abbiamo già analizzato, Apollo ancora una volta mostra il suo volto vendicativo e mortifero, nonostante sia il dio della musica e dalla armonia.

Nello stato delineato dalla Repubblica è dunque preferibile permettere l'utilizzo della lira di Apollo, piuttosto del dionisiaco aulòs. La lira simboleggia pienamente la ratio apollinea,

248 WIND E., Lo scorticamento di Marsia, in Misteri pagani nel Rinascimento, Milano 1971, pp. 209-

ideologia portatrice di equilibrio ed armonia nell'animo dell'essere umano.

In uno stato come quello delineato da Platone nella Repubblica lo spirito apollineo si rinnova anche nella musica. Questa disciplina, avendo un ruolo educativo, subisce il controllo e la censura da parte del governo, insieme alla poesia. Anche la musica, dunque, incarna lo spirito apollineo inteso come quel tentativo (proprio soprattutto della antica Grecia) di spiegare la realtà tramite costruzioni mentali ordinate, negando il caos, che è proprio della realtà, non considerando l'essenziale dinamismo della vita.

La componente razionale e razionalizzante dell'individuo, contrapposta allo spirito dionisiaco, che rappresenta il suo contrario, è incaranta da Apollo, il quale si mostra nuovamente nell'opera:

Merita dirlo, risposi, per quanto i poeti tragici e Pindaro non siano d'accordo con noi e affermino che Asclepio è, sì, figlio di Apollo, ma che fu l'oro a indurlo a guarire un riccone malato e già in punto di morte; e che appunto per questo venne colpito dal fulmine. Però noi, coerenti con le nostre parole di prima, non prenderemo per buone tutte due queste loro affermazioni, ma diremo che, se era figlio di un dio, non era sordido avaro: e se lo era, non era figlio di un dio249.

Nel contesto in cui ci troviamo, Socrate prende in esame la tipologia di medici che potrà essere richiesta nello stato e non può non far riferimento ad Asclepio. Egli è conosciuto per essere dio della medicina e figlio di Apollo, del quale abbiamo già in precedenza parlato, analizzandolo nel terzo capitolo. Un'altra fonte che indirettamente riporta l'aneddoto è l'Alcesti di Euripide. Nel prologo dell'opera notiamo infatti come suo padre, Apollo, racconti la morte del figlio per mano di Zeus. La motivazione di questa morte per mano del capo dell'Olimpo si pensa fosse l'avarizia con la quale, Asclepio, esercitava la sua arte di curatore

dei mali:

Addio, casa d'Admèto, in cui dovei piegarmi, io Nume, a servil mensa! Giove causa ne fu, che, il vampo della folgore vibrato in petto al mio figliuolo Asclepio, l'uccise. Ond'io, del divin fuoco i fabbri, i Ciclopi, a vendetta, sterminai;

e, per punirmi, mi costrinse il padre a servire un mortale250.

Nel prologo della tragedia, Apollo narra di essere stato condannato da Zeus a servire come schiavo nella casa di Admeto, re di Fere in Tessaglia, per espiare la colpa di aver ucciso i Ciclopi come vendetta consequenziale all'uccisione del figlio Asclepio per mano di Zeus stesso. Grazie alla sua benevola accoglienza, Apollo nutriva per Admeto un grande rispetto, tanto da esser riuscito ad ottenere dalle Moire che l'amico potesse sfuggire alla morte, a condizione che qualcuno si sacrificasse per lui. Nella Repubblica, Platone, riportando questo episodio nel quale una divinità, in questo caso, Asclepio, pecca di avidità, non fa altro che