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Le Lettere e i viaggi in Sicilia

APOLLO NELLE EPISTOLE DI PLATONE

6.2 Le Lettere e i viaggi in Sicilia

Uno dei temi di sfondo delle Lettere platoniche sono i viaggi di Platone a Siracusa329. Questi

resoconti sono redatti allo scopo di fornire corrette indicazioni ai suoi seguaci su come realizzare azioni politiche filosoficamente ispirate.

Platone, infatti, dedica gran parte della lettera VII ad una lunga digressione intorno alle motivazioni che lo spinsero a compiere tre viaggi in Sicilia. Proprio questa lettera è autentica secondo molti studiosi330 ed in essa Platone scrive agli amici di Dione dopo la morte di questi,

avvenuta in dolorose circostanze; parla delle proprie esperienze politiche giovanili, della permanenza presso Dionisio, dà consigli per governare, riporta un lungo excursus sulla comunicabilità della filosofia. La settima lettera è stata considerata quasi un testamento politico di Platone, scritto in primo luogo per gli Ateniesi, per giustificare il proprio atteggiamento verso la città. La data di redazione presumibile è intorno al 353 a.C., essa costituì probabilmente il nucleo originario intorno al quale si formò la raccolta331. Particolare

attenzione è data al ricordo delle fasi che caratterizzarono l’insuccesso dei tentativi di Platone di instaurare un governo guidato da un re-filosofo, la cosiddetta “repubblica filosofica”. I fallimenti probabilmente sono dovuti alla difficile situazione politica con la quale Platone si dovette scontrare.

Molti studiosi sostengono l’autenticità anche della Lettera VIII, sebbene l’interpretazione resti controversa332. Dedicata anch’essa ai familiari di Dione e scritta in seguito alla sua morte,

questa lettera descrive, però, una situazione politica differente da quella prospettata nella Lettera VII. In particolare, qui si parla di Ipparino, figlio di Dionisio I, il quale ha cacciato il

329 Per gli aneddoti antichi sui viaggi di Sicilia di Platone cfr. RIGINOS, Platonica the anecdotes

concerning the Plato's life, New York 1976, Cap: The Sicilian Voyages, anecdote 25:Plato's conversation with Dionysius the Elder.; cfr. inoltre Diogene Laerzio, III,9.

330 A proposito del dibattito intorno alla settima lettera confronta: REALE G. (TRAD.DI ), KRÄMER H.-J.,

Platone e i fondamenti della metafisica, Milano 1982, pp.99-107; BRISSON L., Platon. Lettres, Paris

1987, pp.232-6, Brisson non accetta che l'autenticità della settima lettera; INNOCENTI P., Platone.

Lettere, Milano 1995, p.46.

tiranno Callippo ma è allo stesso tempo sotto la pressione di Dionigi II, che intende tornare in patria con le armi. Tutto ciò, dice Platone, va però a diretto vantaggio delle popolazioni confinanti, Fenici e Oschi, i quali potrebbero approfittare della situazione per invadere la Sicilia. La proposta di Platone è, allora, quella di salvaguardare l’indipendenza dell’isola istituendo un triregno, in cui a governare dovranno essere Ipparino, Dionigi II e il figlio del defunto Dione. Modello per i tre sovrani dovrà essere Licurgo, colui che formulò la legislazione di Sparta prevedendo due re che governando contemporaneamente fossero limitati nei loro poteri dagli organi del senato e dagli èfori.

I viaggi di Platone in Sicilia sono nominati anche da Diogene Laerzio, nel libro terzo della sua opera, Vite dei Filosofi:

Tre volte navigò in Sicilia : la prima per vedere l'isola e i crateri, nel tempo in cui era tiranno Dionisio, figlio di Ermocrate, che lo costrinse ad entrare in rapporti con lui. Ma quando Platone conversando sulla tirannide affermò che il suo diritto del più forte aveva validità solo se fosse preminente anche in virtù, allora il tiranno si sentì offeso e, adirato, disse: <<le tue parole sanno di rimbambimento senile>> e Platone: << Ma le tue sanno di tirannide>>333.

L'autore prosegue la narrazione della vicenda siciliana del filosofo riportandone varie versioni a partire dal momento in cui egli fu condotto a Egina come schiavo per essere venduto. Secondo alcune fonti citate da Diogene (ad esempio, Favorino Storia Varia) Platone fu condannato a morte e poi prosciolto; altri sostengono che fu venduto come un prigioniero di guerra e che comunque dopo varie peripezie fece ritorno nella sua patria, Atene. L'episodio appena nominato (il viaggio in Sicilia) non fu l'unico; le sue peregrinazioni furono numerose:

Una seconda volta egli venne da Dionisio il Giovine, per chiedere terra e uomini che vivessero a norma della sua costituzione: il tiranno promise, ma non mantenne la promessa. Secondo alcuni, Platone corse anche pericolo di morte, poiché cercò d'indurre Dione e Teodota a liberare l'isola: fu allora che il pitagorico Archita indirizzò a dionisio una lettera e lo pregò vivamente: fu egli a salvarlo ed a rimandarlo in Atene. La lettera è la seguente: Archita saluta Dionisio.334

Per quanto riguarda la terza visita in Sicilia Diogene Laerzio si esprime nel seguente modo:

Compì il terzo viaggio per riconciliare Dione a Dionisio; non vi riuscì e se ne tornò in patria. Ivi non partecipò alla vita politica, benchè ne avesse tutta la competenza come risulta dalle sue opere. 335

E' utile fare attenzione agli spostamenti che il filosofo compie nel meridione, al fine di averli ben chiari (il nostro scopo è quello di prendere in considerazione la lettera nella quale Platone cita Apollo, ovvero la XII, che ha a che fare con le numerose tappe in Sicilia). Pare che fu lo stesso Archita, mediante una lettera, a salvare Platone, il quale stava per essere ucciso da Dionisio. E' possibile supporre che l’episodio che vide coinvolto Platone avvenne nel 361 a.C., durante il terzo viaggio del filosofo a Siracusa. Il primo viaggio è collocabile nel 388 a.C.: Platone stette a Taranto, conobbe Archita, passò da Dionigi I a Siracusa, ma venne fatto trasferire a Egina in guerra con Atene e fu posto in vendita come schiavo. Il filosofo si salvò per l’intervento di Anniceride di Cirene e fu subito liberato nell'anno 387 a.C. . Tornato ad Atene, Platone, fondò l'Accademia.

Vent’anni dopo, nel 366 a.C., su invito del siracusano Dionigi II, (succeduto a Dionigi I),

Platone tornò a Siracusa, ma ancora sospettato dal nuovo signore della città, dovette tornare ad Atene. Infine, nel 361 a.C., tornò per la terza volta a Siracusa, su invito sempre di Dionigi II, che, però, lo fece arrestare e solo, come detto, per intervento di Archita, al quale dalla prigionia era riuscito a dare sue notizie, egli si salvò.

6.3 Lettera XIII

L'epistola vuole essere un documento interessante sui rapporti privati, anzi d'affari, fra Dionisio II e Platone. Dionisio II, detto il Giovane, fu di tiranno di Siracusa dal 367 al 357 a.C. e dal 347 al 344 a.C. e tiranno di Locri tra il 357 e il 347 a.C. .

Prese il potere sotto la tutela dello zio Dione. A Locri Epizefiri, instaurò la tirannide, ma il popolo calabro insorse uccidendo tutta la sua famiglia e cacciandolo ancora. Ritornò a Siracusa nel 347 a.C. (o forse nel 346 a.C.) e riottenne il potere rovesciando Niseo. La Lettera XIII non presenta uno specifico nucleo tematico, ma contiene alcune pratiche comunicazioni che hanno a che fare con attività marginali della quotidianità.

Lo scopo della lettera è, per il filosofo, quello di essere di accompagnamento ai doni recapitati all'interlocutore e uomo politico tramite un amico di nome Leptine.

Dionisio aveva commissionato diversi oggetti all'amico Platone, tra i quali spicca una statuetta di Apollo.

Vediamo meglio direttamente dalla epistola:

Quanto alle cose che vuoi che ti mandi, ho fatto fare l'Apollo, e Leptine te lo porterà: è opera di un artista giovane e valente, di nome Leocare.336

In questo caso, dunque, Platone fa semplicemente riferimento a una rappresentazione

scultorea di Apollo, che Platone dovrebbe recapitare a Dionisio tramite un fidato messaggero. Le statue di Apollo sono molto numerose nel territorio della antica Grecia in quanto, egli, incarna lo stereotipo estetico di bellezza della classicità. Lo scultore che avrebbe adempiuto alla realizzazione della statuetta di Apollo è Leocare. Egli fu uno scultore probabilmente originario di Atene, vissuto nel IV secolo a.C. . Le sue opere sono costituite di svariati materiali: il marmo, il bronzo; modellati tramite una particolare tecnica. La tecnica crisoelefatina è una modalità scultorea che permetteva l'uso di avorio, oro e bronzo per rivestire le statue. Leocare fu attivo in Attica, nel Peloponneso e in Asia Minore. Dal 350 a.C. circa venne chiamato a contribuire alle decorazioni del Mausoleo di Alicarnasso, considerato una delle “sette meraviglie del mondo”. Lo scultore, iniziò così un periodo di attività al servizio della dinastia macedone; dal 338 a.C. si datano le statue-ritratto crisoelefatine di Filippo II di Macedonia e di Alessandro Magno. Tra le opere indicate dalle fonti troviamo: uno Zeus per l'acropoli di Atene337 ed un Apollo Patroos nell'agorà di Atene338. Esso è simile

all'Apollo del Belvedere, il quale si trova, in copia ai Musei Vaticani. La statua (che non è ovviamente l'oggetto di piccole dimensioni che viene donato a Dionisio e che si rammenta nella Epistola) porta un nome che deriva da un luogo (Belvedere) in Vaticano, dove un tempo era stata collocata. E' una celebre statuta marmorea risalente al periodo post-ellenistico (seconda metà del II secolo) quando i Romani avevano ormai conquistato la Grecia. Tutt'oggi è considerata una delle più belle opere di tutta l'antichità grazie all'armonia della sue proporzioni nonchè un modello assoluto di perfezione estetica. L'Apollo del Belvedere è una copia di una statua in bronzo creata tra il 350 ed il 325 a.C. dallo scultore greco Leocare339. La

statua di marmo bianca è alta duecentoventiquattro centimentri e rappresenta la divinità (che ha appena ucciso Pitone) ctonia proveniente da Delfi. La muscolatura ancora tesa lascia intendere lo sforzo che segue alla battaglia contro Pitone, mentre i capelli a boccoli ricadono

337 PAUS., I, 24.4.

fluidi sul collo e sono raccolti elegantemente sul capo, cinto dallo strophium, una fascia ornamentale simboleggiante una divinità o un re340.

Apollo è interamente nudo, ad eccezione del mantello avvinto alla spalla destra, che si rovescia solo sul braccio sinistro ed in parte del dorso.

La figura di Apollo nelle arti è un tema comune sia nell'arte greca che in quella romana, ma anche nell'arte rinascimentale.

Gli scultori arcaici e classici hanno cercato di creare forme che avessero ispirato una tale visione guida, quella cioè di un'immagine divina che facesse da ornamento. L'Epistola fornisce la possibilità di compiere una breve riflessione a proposito di una delle caratteristiche più comunemente conosciute di Apollo, dio della musica, della armonia, ma anche giovane dalle meravigliose caratteristiche fisiche, le quali hanno costituito l'ideale estetico rimasto in auge per secoli. La scultura greca mette fin dal principio Apollo, il dio della luce, della guarigione e della poesia, al più alto livello di potenza estetica che si potesse immaginare. I nudi statuari sono stati presto associati ad un effettivo culto del corpo, giovane e maschile. Le statue di Apollo desiderano incarnare la perfezione assoluta data dall'armonia e dall'equilibrio, fino al punto di ispirare soggezione di fronte al “senso del bello“ che emanano. In epoca arcaica architetti e scultori si ritrovavano alla perenne ricerca di una relazione matematica esatta interna alle cose materiali: un canone estetico il quale avrebbe portato alla perfezione realizzativa delle opere. Nei templi il tipo più comune di offerte che sopravvive è costituito da statue di giovani donne, korai. Le offerte di statue simili di giovani maschi (kouroi) erano comuni nel mondo greco, ma sembra che nessun kouros sia stato dedicato sull'Acropoli. Le statue, a grandezza naturale o inferiore, erano collocate talvolta su basi e talvolta su colonne per renderle maggiormente visibili. Le donne sono sempre raffigurate con un'offerta in una o in entrambe le mani (principalmente melograni o mele). Le korai

340 Per questa piccola sezione sull'arte scultorea greca si fa riferimento ai seguenti testi. GIULIANO A.,

Arte Greca: Dall'età classica all'età ellenistica, Milano 1987; POLLITT J.J., The art of ancient Greece:

sources and documents, Cambridge 1990, pp.90-91; DEVECCHI P., CERCHIARI E., Arte nel tempo, Milano

probabilmente predominavano sugli altri tipi di sculture a causa dell'importanza delle donne nel culto di Atena. In generale i gruppi di kouroi/korai che sono sopravvissuti corrispondono al genere della divinità: kouroi nel santuario di Apollo Ptois in Boezia e di Apollo a Didima; korai nel santuario di Era a Samo. Le korai dell'acropoli sarebbero così il simbolo della devozione della classe ricca dell'Atene arcaica. Dunque viene da pensare all'utilizzo che la statua di cui si parla nella lettera avesse la funzione di offerta da esporre in uno dei numerosi santuari di Apollo che si trovavano nel territorio greco.

Gli scultori hanno avuto bene in mente l'idea di ciò che rappresentasse al meglio la giovinezza, incarnandolo con lo stile ieratico della statuaria faraonica, aggiungendovi di proprio il cosiddetto “sorriso arcaico”; il passo fermo ed elastico, l'equilibrio del corpo che emana dignità e felicità giovanile: tutte queste sono caratteristiche di Apollo.

Le forme esprimono immortalità/immutabilità, equilibrio ed ordine, tutti ideali apollinei. Gli antichi Greci hanno mantenuto, fino alla loro civiltà più tarda, un'idea quasi animistica nei confronti delle statue, che in un certo senso consideravano vive: questo incarnava la convinzione che l'immagine fosse in qualche modo la realtà spirituale dell'uomo o del dio stesso.

In conclusione, quindi, la lettera XIII ci fornisce uno spaccato di vita quotidiana della Grecia. La presenza della statua di Apollo dimostra il rilievo di simili oggetti nelle questioni legate al culto del dio (creazione di statuette rappresentanti la sua persona) che si sviluppa nel territorio greco, legato ai templi ovviamente e ben integrato all'interno di tutte le classi sociali.

CAPITOLO VII L'ANEDDOTICA

7. 1 Osservazioni preliminari

Spesso gli antichi ricostruiscono l'importanza di Apollo attraverso la narrazione di aneddoti. Gli autori che verranno presi in considerazione nel capitolo fanno parte di quella letteratura biografica che prende vita attraverso i racconti delle vite e della dottrina filosofica dei protagonisti presi da loro in esame. Dunque, attraverso la ricognizione su fonti come le Vite di Pitagora di Porfirio e Giamblico, le Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio, l'Anonimo dei Prolegomena, abbiamo la possibilità di osservare la presenza di Apollo all'interno di questo tipo di opere. Importante per questa ricognizione saranno anche gli studi di Anna Motta e A.S. Riginos, che hanno studiato rispettivamente i Prolegomena e gli aneddoti sulla vita di Platone (in Platonica). E' infatti, all'interno degli aneddoti dedicati a Platone che noi, ancora una volta, individuiamo il legame del filosofo con Apollo, ma scopriamo anche come in questo orizzonte Platone sia connesso con Pitagora.