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Erodoto e le Storie

Erodoto di Alicarnasso, nato nel 484 a.C., è probabilmente il fondatore della storiografia antica: famoso per aver descritto paesi e persone da lui conosciute in numerosi viaggi, non a

caso è definito da Cicerone con il seguente appellativo: padre della storia133. L'opera per la

quale è conosciuto sono le Storie. Egli le scrisse perchè ad Atene, dove si stabilì (lasciando la sua città natale), trovò una società altamente ricettiva, curiosa e avida di conoscenze. Le sue Storie narrano la lotta tra Europa e Asia, ossia i contrasti tra i Greci e gli altri popoli considerati “barbari”. Egli analizza il popolo persiano e le cause della sue guerre interrogando fonti di prima mano per discernere il vero dal falso. Erodoto è anzitutto un narratore e non disdegna di arricchire il proprio progetto riferendo miti e versioni fantasiose, disseminando nell'esposizione dei fatti storici innumerevoli excursus sui più vari aspetti dei territori e delle genti di cui tratta: usi, costumi, favole e leggende, economia e religione vengono descritti con grande attenzione, interesse e meraviglia fino a costruire una sorta di variegata enciclopedia delle popolazioni del Mediterraneo.

Il racconto dello storico include a sua volta un intervento determinante dell'oracolo e quindi del dio di Delfi, riscontrando implicazioni religiose all'interno delle decisioni politiche prese dai singoli stati. L'oracolo non soltanto costituisce, nello sviluppo della narrazione, il motore dell'azione; esso ne indica anche, in proiezione futura, il fine. Il ruolo svolto da Apollo e dal suo oracolo nelle fasi di manipolazione e di sanzione dei racconti erodotei della fondazione di Cirene; colloca questi ultimi nella lunga tradizione narrativa greca, indipendentemente dalle forme del racconto assunto di volta in volta da questa tradizione.

I logoi di Erodoto accordano un ruolo essenziale agli oracoli, ed in particolare a quello di Delfi, nel far progredire l'azione narrativa. Infatti, la maggior parte dei responsi oracolari delfici di cui siamo a conoscenza proviene dal testo di Erodoto o da quelli di storici antiquari come Diodoro Siculo o Pausania. Senza voler negare l'influenza di Delfi sull'operato politico delle città di epoca classica, ed in particolare sulla direzione data ai movimenti di colonizzazione, non possiamo fare a meno di pensare che, sia nel racconto di Erodoto, sia in quelli dei suoi successori che raccolgono logoi, gli oracoli ricoprano un ruolo essenzialmente

narrativo. Essi, nel quadro dei vari culti resi ad Apollo sarebbero volti a riportare all'interno della tradizione della grande poesia epica il racconto in prosa di fatti e azioni motivati esclusivamente dalla volontà umana o da circostanze materiali. Quindi senza il destinatore delfico, la spedizione coloniale così come viene raccontata da Erodoto è condannata all'insuccesso. Si può ammettere che l'intervento dell'oracolo di Delfi, spesso effettivamente operante nella politica delle città greche, faccia parte anche, nella spiegazione dello svolgimento di quella che diventerà una “storia” dell'orizzonte di attesa del pubblico dello storico di Alicarnasso. Tutto avveniva come se l'oracolo definisse per il soggetto dell'azione l'equivalente della moìra degli omerici. L'ambiguità del responso oracolare può dunque attenuare gli effetti di una rigida predeterminazione, accordando al soggetto dell'azione un margine di libertà che varia a seconda della sua capacità di interpretare il vaticinio. Gli oracoli, dando un senso all'azione narrativa, hanno quindi una funzione di tipo cognitivo nei confronti del pubblico dei racconti erodotei.

Interessante a questo proposito è individuare alcuni momenti dell'opera nei quali Apollo è citato ed è spesso chiamato in causa in contesti quotidiani. Verranno riportati di seguito alcuni episodi che testimoniano la costante presenza della divinità nella vita della popolazione della Grecia antica.

Troviamo Apollo a partire dal primo libro dell'opera:

Quando Creso apprese i responsi riferitigli, si rallegrò straordinariamente degli oracoli, e pieno della speranza di distruggere il regno di Ciro, con nuovi messi a Pito donò ai Delfi, dopo essersi informato quanti fossero, due stateri d'oro ad ognuno. E i Delfi diedero in contraccambio, a Creso e ai Lidi, diritto di precedenza nel consultare l'oracolo, esenzione dalle tasse, e i primi posti nei giuochi pubblici, e facoltà a chi di loro volesse di divenire cittadino di Delfi fino

agli ultimi discendenti.134

Ed ancora:

Dopo il dono fatto ai Delfi, Creso consultò l'oracolo per la terza volta. Perchè, ora che ne aveva ricevuto una risposta veridica, ne era ingordo. E chiedeva se la sua monarchia sarebbe durata gran tempo. Gli rispose la Pizia..135.

Notiamo come colui che cerca risposte dalla Pizia sia definito “ingordo” di tale sapienza, e domandi a lei la durata della monarchia; egli non è l'unico che desidera attingere alla sapienza pitica: in quanto, il tiranno Pisistrato, più avanti nel corso del primo libro, decide di muovere con l'esercito verso Atene in seguito alla profezia espressa dall'oracolo. Anche Licurgo, antichissimo legislatore spartano, recandosi dalla Pizia, pare che abbia avuto in suggerimento la costituzione in seguito da lui approvata136.

Sempre nelle Storie, troviamo nel sesto libro il seguente riferimento ad Apollo:

Allora Cleomene comandò che ogni Ilota ammucchiasse intorno al sacro bosco legna da ardere; e quando ebbero eseguito incendiò il bosco. Ma mentre era già in fiamme chiese a un disertore a quale Dio il bosco appartenesse, e quegli rispose che apparteneva a Argo. E un profondo gemito, <<ben m'ingannasti che avrei conquistato Argo: comprendo che per me il vaticinio si è compiuto.137

Il libro settimo invece riporta il mito del sileno Marsia:

134 HEROD. Hist. I, 54-1,4.

135 HEROD. Hist. I, 55-1,2.

136 HEROD. Hist. I, 65-4, pare che questa informazione sulla quale si basa Erodoto sia assai imprecisa

ma è stata riportata solamente per essere a conoscenza del contesto nella quale essa è inserita e rimarcare sull'importanza attribuita agli oracoli ed al ruolo di Apollo in quel tempo.

In questa piazza è appeso l'otre tratto dalla pelle del Sileno Marsia: tra i Frigi è fama che Apollo lo abbia scorticato e ne abbia preso la pelle138.

Il mito racconta che Marsia fu scorticato vivo139 per aver voluto primeggiare su Apollo nel

suono del flauto.

Nel terzo libro leggiamo:

Ma alla fine Periandro fece bandire che chi lo ricevesse nelle case o gli parlasse dovesse pagare un'ammenda sacra ad Apollo, di cui determinava l'ammontare. E di conseguenza di tal bando nessuno volle parlargli né accoglierlo in casa.140

Una folla di divinità si muove al di sopra delle vicende storiche: si tratta degli dèi propri della Grecia, che vengono ricordati spesso, ma anche di quelli dei popoli barbari, che da Erodoto sono costantemente assimilati alle divinità olimpiche. Così Zeus si identifica con Ammone egizio, Bel-Marduk babilonese, Auramazda persiano; Apollo con Goitosiro scita e Oro egizio. Da ciò scaturisce l'impressione di una onnipresenza divina, multiforme nei nomi ma fissa nelle attribuzioni e alta nella potenza. La terra appare tramata da una serie di santuari, dove queste divinità sono adorate con vari epiteti e con estrosi cerimoniali. Ovunque ritorna la voce degli oracoli dolorosamente ambigui, Erodoto ne cita circa cinquanta di origine Delfica; poi vi è l'oracolo antichissimo di Dodona quello di Artemide in Egitto e quello empiromantico di Tebe. Inoltre appaiono sogni e visioni frequenti; ed i prodigi: le armi sacre miracolosamente portate dinanzi a Delfi. Così la storia umana è tutta intessuta di voci e volti soprannaturali perchè lo storico è convinto che molto possa il dio in essa (tutta la vicenda del naufragio dei

138 HEROD. Hist. VII, 26-3.

Persiani e la vittoria sui barbari è opera di dei e eroi). Lo stesso Platone, come vedremo più avanti, nelle Leggi ad esempio, ma non solo, non abdica a questa visione tradizionalista della religione, anzi ne è molto legato, mantenendo i ruoli delle divinità olimpiche seppur rilanciandone una sua personale interpretazione.

2.4 Conclusioni

Il ruolo di Apollo, o meglio la funzione che al dio è attribuita dall'autore dell'Iliade, è indice dell'importanza che ha nella antica Grecia. Nel primo libro dell'opera omerica, il dio appare dal volto cupo e brutale e manda una pestilenza sul campo dei Danai; qui Apollo è arciere per eccellenza ma nel contempo, in un altro episodio dell'opera, suggerisce ad Atena di cessare le attività belliche ed il dono della profezia è da lui elargito all'indovino Calcante. Partecipò con il suo volto risanatore al matrimonio di Peleo e Teti, innalzando agli sposi il peana e suonando la lira al banchetto di nozze. Da tutto ciò emergono non solo degli aspetti fondamentali che caratterizzano Apollo, ma anche un dato più ampio e forse più interessante, ovvero, il suo essere assolutamente multiforme.

Gli Inni omerici sono un altro ausilio per entrare ancora meglio nella storia mitologica della divinità. Anche qui Apollo è di volta in volta: arciere, profeta e musico, gli inni III, XXI insieme all'Inno alle Muse (XXV) confermano ciò che è stato definito dal poema omerico e lo integrano con la narrazione della vicenda della nascita del dio ad opera di sua madre Latona. In Pindaro osserviamo un Apollo rifugiatosi dagli Iperborei ed in un secondo tempo andato a Delfi, anche qui notiamo come sia fondamentale per l'uomo greco intessere una comunicazione (in questo caso lirica) con la divinità: essa regolamenta le feste, i giochi, le premiazioni, insomma, la sua presenza diretta o meno sfiora tutti i momenti della socialità del cittadino. Dunque, gli dèi garantiscono l'ordine della città ed Apollo è il grande nume civilizzatore che ha trasmesso agli uomini le arti della medicina, della musica, della profezia.

L'ultima fonte è rappresentata da Erodoto, nella cui opera un ruolo essenziale è attribuito agli oracoli delfici che hanno una funzione di tipo cognitivo nei confronti del pubblico dei racconti erodotei. Questa breve e volutamente non esaustiva ricognizione consente già di osservare non solo la fortissima presenza di Apollo nella cultura letteraria e materiale greca, ma anche i suoi aspetti specifici, che convergono in una forte complessità. Tutto ciò rappresenta la base su cui Platone si muoverà nel fare riferimento ad Apollo nei dialoghi, in contesti diversi e con finalità varie. E' quindi possibile affermare la costante presenza della divinità nella vita della popolazione della grecia antica, constatata a maggior ragione dalle fonti esaminate, rappresentano la base culturale su cui si muoverà Platone.

CAPITOLO III