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Il ruolo della religione nella Repubblica

APOLLO ALL'INTERNO DELLA REPUBBLICA PLATONICA

4.2 Il ruolo della religione nella Repubblica

Rifondare la città e di conseguenza l'anima degli abitanti è lo scopo di questa opera platonica che intende scardinare le vecchie credenze culturali, politiche e anche religiose. Anche se il piano di approccio di questa opera è politico (perchè è di una costruzione politica che si occupa la Repubblica), la religione occupa comunque una posizione di rilievo. La morale, senza cessare di essere un fatto della coscienza e della ragione, è anche e soprattutto un comportamento politico. Essa non ha quindi bisogno, o comunque ha assai meno bisogno, di una base religiosa. Se questa c'è nell'opera sarà presente sotto forma di consuetudini, riti, come religione pubblica e ufficiale della città, e sarà molto meno la mitologia popolare, o una dimensione intima della personalità o una forma della coscienza morale.

Di conseguenza, la Repubblica segna l'abbandono completo di qualsiasi concessione, compromissione o accordo con la religione tradizionale e popolare, da una parte, e con ogni forma di religiosità di tipo ispirato dall'altra. Con la prima, perchè nella misura – limitata- in cui essa era recuperata in alcune opere precedenti, lo era in quanto forma popolare della morale o fondamento, per il popolo, di un comportamento morale. Del resto, in opere come il Simposio, ma soprattutto come il Fedone, essa era subordinata in qualche modo alla religiosità misterica e spesso inquadrata in una prospettiva filosofica. Quanto al Fedro, esso ci presenta le divinità Olimpiche, ma senza alcun riferimento alle forme e alle credenze consuete della religiosità popolare. Quale sia il rapporto tra le divinità che sono là chiamate Zeus, Era, Apollo e gli dèi corrispondenti della religione popolare non è dichiarato, ma si tratta senza dubbio di cose piuttosto diverse tra loro. Inoltre, se nel Fedro la funzione della religiosità misterica è ridimensionata (ma non eliminata del tutto) rispetto ad altre opere dello stesso periodo, resta notevole l'importanza di forme ispirate di fede e di comportamento. Nella Repubblica il discorso è diverso, e lo è in maniera assai esplicita: gli dei esistono, certo, e sono designati con i loro nomi tradizionali, serbano magari alcuni dei loro attributi ma, la loro

concezione è sottoposta ad una revisione esplicita e radicale. Ma, neanche con la religiosità ispirata (e con quella misterica in particolare) la Repubblica ammette più un qualsiasi accordo o compromesso. Essa non ha più una funzione da svolgere, una volta che la morale diviene un momento della vita politica, saldamente governato dalla ragione. Come il popolo dei lavoratori è governato dai filosofi, così l'uomo è governato dall'anima razionale, che tiene a freno la parte irrazionale. Nel Fedone si dà largo spazio, come si è detto, alla religiosità di tipo misterico.

Nonostante ciò, nella Repubblica si fa il nome di molte divinità o figure della mitologia tradizionale. La maggior parte sono menzionate in quella parte dell'opera in cui viene sottoposta ad un esame critico la mitologia tradizionale e i racconti sugli dèi che si trovano nei poemi di Omero e di Esiodo222. Si tratta di Zeus, Urano, Crono, Efesto, Atena, Era, Apollo,

Ares, Afrodite, Poseidone, quanto alle divinità maggiori; tra quelle minori sono menzionate Asclepio, Temi, Selene, Proteo, le Muse, Momo, Adrastea, Glauco, le Moire, le Sirene, il fiume Spercheo; tra i mostri divini, Scilla, Cerbero, Chimera; a questi va aggiunto un numero consistente di eroi. E' bene dire però che, al di fuori della trattazione critica già accennata, la menzione dei singoli dèi (a parte le esclamazioni, del resto rivolte quasi sempre a Zeus) è piuttosto rara: appena qualche volta è richiamato Apollo; più raramente suo figlio Asclepio; del tutto accidentali i cenni ad altre divinità.

Platone si serve, nella Repubblica, del termine pio, sacro inteso come “conforme all'uso universale”, consacrato dall'universale consenso e dal costume tradizionale, per esprimere l'osservanza che si deve a certi comportamenti: originariamente, prescrizioni rituali o proibizioni rituali; in seguito, costumi consacrati dal tempo e dal comune consenso. Tra di essi, in particolare, il rispetto degli dèi e dei riti religiosi. Non si deve, quindi, mancare di rispetto a ciò che è sacro: far questo vorebbe dire non osservare la giustizia ma avere comportamenti ingiusti223. Il libro quinto della Repubblica ci fornisce una indicazione del

comportamento che il cittadino deve osservare nei confronti della divinità per non cadere in comportamenti che sono empi e sottolinea il valore etico-morale che la divinità e la religione assumono in questa opera:

- E certo non porteremo le armi nei templi per appenderle come doni votivi, specialmente quelle degli Elleni, se un poco ci preme di essere benevoli verso gli altri Elleni; anzi dovremo temere che sia un specie di contaminazione portarvi simili oggetti tolti a familiari, a meno che il dio non si esprima diversamente224.

Platone, intende dire che non si devono condurre guerre fratricide tra i Greci, perchè ciò sarebbe così contrario ad ogni regola morale e che consacrare agli dèi delle armi catturate agli altri Greci, sarebbe un atteggiamento di massima empietà.

Parlando dell'educazione dei giovani, il filosofo afferma che il giovane che viene educato per diventare a sua volta filosofo sarà sottoposto alla prova della malia o incantesimo225 per

provare se è capace di resistere e conservare la retta opinione. In questi luoghi sparsi per il dialogo, l'autore si serve dunque, più di una volta, o di termini del significato magico-rituale, ma usati in senso metaforico, o di credenze magiche usate come esempio, senza alcuna adesione al significato propriamente magico e letterale di tali credenze.

In effetti, le credenze magiche di per sè vengono respinte. E' in questo discorso che troviamo infatti, sotto la forma della esposizione di alcune credenze diffuse, una dura condanna della magia:

Ciarlatani e indovini si presentano alle porte dei ricchi e li convincono che con

comune. Per gli uomini essa lo sarà di poche cose, e di molte no, perchè i beni che noi abbiamo sono assai meno numerosi dei nostri mali e mentre per i beni non occorre pensare ad altro autore che la divinità, le cause dei mali si devono cercare altrove che in lei. PLAT. Resp. II 379 c-d.

224 PLAT. Resp.V 470a.

sacrifici e incantesimi hanno ottenuto dagli dèi il potere di rimediare con giochi e feste all'eventuale ingiustizia di uno, l'abbia commessa lui in persona o uno dei suoi antenati; e che se uno vuol fare del male a un nemico, potrà con poca spesa nuocere al giusto come all'ingiusto a mezzo di determinare evocazioni e magici legami, perchè, dicono, persuadono gli dèi a servirli226.

Credenze magiche tra le più diffuse in ogni tempo e in ogni società sono qui descritte con notevole precisione, ma è importante sottolineare che Platone, ormai lontanissimo da quella apertura alla magia, intesa allora come una delle attività ispirate, che aveva mostrato nel Simposio, abbia espresso nella Repubblica la sua opinione in proposito. E sarà bene notare che qui l'autore non vuole dire soltanto che le pratiche magiche sono nocive e condannabili, perchè potrebbe in questo caso restare sempre il dubbio che esse possano avere qualche efficacia, per negativa che sia: no, qui è espressa anche la convinzione che queste pratiche non hanno alcuna efficacia e che simili credenze sono destituite di ogni fondamento.