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Giamblico e la Vita Pitagorica

APOLLO NELLE EPISTOLE DI PLATONE

7.3 Giamblico e la Vita Pitagorica

Una fonte importante è rappresentata da Giamblico, con la sua Vita Pitagorica. Egli nacque, qualche anno prima della metà del III secolo d.C. (e può essere considerato quindi contemporaneo di Porfirio), in Siria, probabilmente nella città di Calcide. In Oriente fondò la sua scuola ad Apamea e rafforzò una tendenza caratterizzata da una sintesi di platonismo, aristotelismo e pitagorismo. La Vita pitagorica è forse l'opera più nota di Giamblico, ed è parte integrante di un imponente tentativo di rivitalizzare la filosofia pitagorica e di collegarla più organicamente e integralmente di quanto si fosse fatto prima alla tradizione platonico- aristotelica. Il programma si concretizza in una pitagorizzazione della tradizione platonica, che da Giamblico in poi si afferma come una caratteristica centrale della prospettiva del neoplatonismo343.

Nell'opera di Giamblico la connessione tra Pitagora e Apollo è presentata nel modo seguente: l'anima di Pitagora è inviata tra gli uomini quale <<compagna di Apollo>>. Ciò è testimoniato da una fitta serie di rimandi alla presenza della divinità nella Vita di Pitagora, ben esemplificati dal testo seguente:

A Mnemarco di Samo il quale recatosi a scopo di commercio a Delfi insieme alla moglie, che era già gravida senza che lei lo sapesse, aveva interrogato l'oracolo a

343 Per la biografia e le notizie su Giamblico: GIANGIULIO M. (ACURADI), W.BURKERT, Pitagora le

opere e le testimonianze, Milano 2000, p.319; GIANGIULIO M. (TRAD. DI), GIAMBLICO, Vita di Pitagora,

proposito di un viaggio alla volta della Siria, la Pizia predisse che il viaggio sarebbe stato assai favorevole e vantaggioso economicamente, e che, d'altra parte la moglie era incinta e avrebbe generato un figlio più bello e sapiente di chiunque fosse mai esistito, destinato a recare in ogni aspetto della vita grandissimo giovamento all'interno del genere umano.344

In seguito all'oracolo della Pizia, il padre di Pitagora cambiò il nome di sua moglie Partenide in quello di Pitiade, e quando la moglie partorì chiamò appunto il figlio Pitagora. Ed in seguito Giamblico riferisce:

Tuttavia, nessuno potrebbe contestare che l'anima di Pitagora sia stata inviata agli uomini muovendo dal seguito di Apollo – vuoi quale compagna del dio, vuoi a questi uniti da un più stretto rapporto - ; lo si può argomentare proprio da una nascita siffatta nonché dalla multiforme sapienza che informava il suo spirito.345

Pitagora e la sua anima sono inviate da Apollo su questa terra. Come osserva anche Dominic O'Meara, Giamblico, reinterpreta la natura di Pitagora alla luce del mito del Fedro346 platonico

e sottolinea la natura divina dell'anima del Samio, e non della sua figura umana - in ciò prendendo implicitamente le distanze dalla tradizione arcaica, che affermava una misteriosa identità di Pitagora con Apollo Iperboreo347.

In questo modo, come Giamblico chiarisce oltre, al paragrafo diciotto, facendo anche riferimento al Timeo, Pitagora reca agli uomini, quale dono degli dèi, la filosofia. I rimandi tematici al Fedro mostrano dunque che la natura e la missione di Pitagora sono interpretate da

344 IAMBL. De vita Pyth. II 5-6.

345 IAMBL. De vita Pyth. II, 8-9.

346 Phaedr. 246e-248; 253b.

Giamblico nei termini del mito che si trova, per l'appunto, nel dialogo platonico.

La riformulazione neoplatonica dell'arcaica credenza nella natura sovrumana di Pitagora insiste, dunque, sul carattere divino dell'anima di Pitagora. La missione dell'anima del filosofo, inviata dagli dèi nel mondo, e non cadutavi, consiste nella rivelazione della divina sapienza, cui essa, in virtù della sua origine e della sua peculiare natura, ha accesso. Senza dubbio l'idea che taluni grandi sapienti, ad esempio Platone, sarebbero stati inviati dagli dèi a recare la luce della conoscenza all'umanità non è ignota alla cultura del II e III secolo d.C. .In Giamblico questa convinzione acquista una inattesa profondità filosofica. Così, l'anima di Pitagora è considerata una di quelle anime di natura superiore e di particolare purezza che sono compagne degli dèi e affini a essi e perciò hanno accesso alle verità intelligibili.

L'autore si esprime poi a proposito dello stile di vita della comunità dei Pitagorici:

Misero in comune i loro beni, come si è detto prima, e annoverarono Pitagora tra gli esseri divini, alla stregua di un demone beinigno del tutto amico del genere umano: proclamavano che in quel tempo aveva fatto la sua apparizione in forma umana colui che per alcuni era Apollo Pizio, per altri l'Iperborao ovvero il Peana, per altri ancora uno dei demoni residenti sulla luna, per certi infine uno degli dèi dell'Olimpo, allo scopo di contribuire a correggere la vita degli uomini e donare alla natura mortale scintilla salvifica della felicità e della filosofia, che era e sarebbe stato sempre il bene maggiore inviato in dono dagli dèi tramite appunto Pitagora.348

Le narrazioni di Giamblio e di Diogene Laerzio, a proposito del racconto biografico del Samio, sono speculari e raccontano il medesimo episodio. Giamblico narra in primo luogo che:

Pitagora, per parte sua, accettò la freccia, senza meravigliarsi della cosa e senza domandare per qual motivo Abari gliela consegnasse; anzi, come se fosse veramente Apollo, lo trasse da parte e gli rivelò la sua coscia d'oro, dandoli così modo di vedere che non s'ingannava. Poi enumerò uno per uno i doni votivi che erano nel santuario iperboreo, in questo modo convincendolo a sufficienza che sul suo conto aveva fatto una congettura esatta e aggiunse che era venuto tra gli uomini per prendersene cura e far loro del bene, dopo aver assunto forma umana perchè essi non fossero presi da stupore per la sua superiorità e turbati rifuggissero dal suo insegnamento.349

A questo proposito, Giamblico commenta così:

Essi sono del resto convinti che la credibilità delle loro concezioni si basi sul fatto che non le aveva enunciate certo il primo venuto, bensì la divinità stessa. Ora, c'è un acusma che dice: <<Chi sei, Pitagora?>>: infatti loro affermano che egli fosse Apollo Iperboreo. Come prova di ciò vale il fatto che durante i giochi si alzò e mostrò la sua coscia d'oro, e che ospitò Abari l'Iperboreo e gli sottrasse la freccia da cui era guidato.350

Si può dunque concludere che la biografia inquadra la formazione di Pitagora sullo sfondo dei contatti che il filosofo ha avuto con i popoli orientali, indiscussi depositari di sapienza. La sua vita è costellata da pratiche religiose di vario genere, iniziazioni ai misteri, visite agli oracoli, meditazioni in grotte, discese all'Ade. Gli adepti lo considerano un essere divino, un demone o un dio, figlio o inviato di Apollo, o, addirittura, il dio stesso in persona.

349 IAMBL. Vita Pitagorica XIX 92, 8-20. Anche Diogene Laerzio racconta il medesimo episodio: si

tramanda pure che una volta, essendo il suo corpo denudato fu vista la coscia d'oro; e molti andavano dicendo che il fiume Nesso lo salutò mentre l'attraversava. Diog. Laert Vite dei Filosofi, VIII, 11, 4-7.