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L' Assioco ovvero “ Della Morte ”

APOLLO ALL'INTERNO DEI DIALOGHI PLATONIC

3.11 L' Assioco ovvero “ Della Morte ”

Prima di affrontare questo dialogo (considerato spurio e quindi non appartenente direttamente a Platone) è necessario partire dalla considerazione di Diogene Laerzio:

207 La riflessione prende spunto dall'opera di VERNANT J.P., BAIOCCHI M. (TRAD. DI), L'Uomo Greco,

Roma-Bari 2005.

208 Burkert, nella sua opera I Greci, intitola, non a caso, il capitolo quinto “ Polis e Politeismo ”, per far intendere al lettore che le varie divinità si incontrano nella polis e che possono venire adorati da una stessa comunità; come da un singolo, ma in ogni caso, il loro antropomorfismo si sviluppa all'interno della vita della polis. Ecco ciò che egli scrive a proposito delle funzioni sociali del culto religioso: La moltitudine degli dei implica anche una opposizione continua: Era contro Zeus, Afrodite

contro Artemide, Dioniso contro Apollo. Ordine è allora possibile solo come <<suddivisione>>, moira, come ripartizione. Ciascun dio protegge il proprio campo; egli interviene solo quando questo viene attaccato. BURKERT W., Storia delle religioni, I Greci, Milano 1984, pag. 359-360.

Tutti consentono di ritenere spuri i seguenti dialoghi: Midone o L'allevatore di cavalli, L'Erissia o Erasistrato, L'Alcione, Acefali o Sisifo, l'Assioco, i Feaci, il Demodoco, Chedilione, il Settimo giorno, l'Epemenide209.

L'Assioco è collocato fuori dall'ordinamento tetralogico210, insieme ad altri sei dialoghi che

sono stati conservati211, i quali erano considerati come “sospetti” già nell'antichità: un giudizio

cui anche la critica moderna quasi concordemente consente212.

La trama del dialogo è questa: Socrate viene invitato a visitare Assioco morente allo scopo di rincuorare l'amico nei confronti di ciò che sta per capitargli, il distacco dalla vita terrena. Il filosofo trova Assioco rinvigorito, ma triste, e gli rinnova i suoi ragionamenti secondo cui la morte non è da temere. La vita dell'uomo è tutta una somma d'infelicità, mentre la vita immortale dell'anima è colma di beatitudini; là, secondo la vera giustizia i buoni avranno premi e i malvagi castighi.

Alla fine del dialogo, Assioco, si troverà paradossalmente a bramare la morte anziché temerla; ciò significa che le parole di Socrate avranno sortito l'effetto desiderato nel suo interlocutore. La tesi che si sostiene nel dialogo è quella della morte intesa come cessazione di tutte le sofferenze che angustiano la vita umana. In seguito alle tribolazioni provate nella vita terrena è dunque desiderabile che l'anima torni da dove era venuta: a quel mondo intelligibile di serenità e armonia nel quale, tra danze e gioie celestiali, riacquisterà la sua essenza pura. Ma, se quel mondo ideale è così bello, perché, domanda Assioco, Socrate continua a vivere, sia pure male, in questo? Socrate risponde che è la sua natura di filosofo, di amante della verità che lo costringe a vivere in questo mondo imperfetto nel quale è alla continua ricerca del sapere. Questo mondo terreno, infatti, è pur sempre collegato a quello ideale e perfetto e

209 DIOG.LAERT. Vite dei Filosofi, III, 62.

210 Si fa riferimento alla tetralogia di Trasillo, nominato appunto da Diogene Laerzio, III, 56-62 211 Del giusto, Della virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia e Assioco.

quindi attraverso l'imperfezione delle cose terrene si può conoscere la perfezione del mondo da cui proviene l'anima.

Socrate si trova in parte d'accordo con quanto sosteneva Prodico213 nel Teeteto, che la morte

non riguarda i vivi, poiché finché essi sono in vita la morte è assente; e non riguarda neanche i morti, poiché non essendo più presenti tra i vivi; la morte non può danneggiarli. Sbaglia colui il quale, come Assioco, crede di trovare conforto nelle cose sensibili e teme di perdere tutto ciò che ama, poiché con la fine delle sensazioni tutto finisce, anche ogni rimpianto. La cosa più importante, nella vita dell'uomo, secondo Socrate, non è quella di vivere, ma di condurre un'esistenza giusta e virtuosa che sia premiata dopo la morte e non punita per le malvagità commesse in vita.

Nuovamente in questo dialogo Apollo compare ben due volte, in primis:

Per tanto gl'Iddii, conoscitori delle umane cose, quelli i quali essi hanno molto cari, prestamente liberano della vita. Agamede e Trofonio, che edificarono il tempio d'Apollo Pizio, pregando lui perchè volesse concedere loro il più desiderabile bene che sia nel mondo, addormentatasi, più non si svegliarono. 214.

Trofonio e Agamede sono fratelli, e la leggenda della costruzione del tempio di Apollo in Delfi ad opera loro è narrata da Pausania, nella sua Periegesi. Trofonio era figlio di Ergino e iniziò a costruire il tempio di Delfi con suo fratello, Agamede, per dedicarlo ad Apollo. Una volta terminato il lavoro di costruzione, l'oracolo vaticinò ai fratelli di compiere ciò che fosse nella loro volontà per la durata di sei giorni, ed il settimo il loro più grande desiderio sarebbe stato esaudito. La leggenda narra che i fratelli furono trovati morti il settimo giorno. Sembra quasi, a seguito della leggenda dei due fratelli, che il desiderio più grande per l'uomo fosse quello di porre fine alla sua esistenza in questa vita terrena. Questo aneddoto conferma la

213 PLAT. Teet. 151b.

versione di Socrate ovvero che il vero benessere è riposto altrove rispetto alla vita trascorsa nel mondo umano. La versione di Pausania, invece, racconta che:

Com'ebbe, a tenore dell'oracolo, sposato una donna giovane, nasce Trofonio, e poi Agamede. Ma dicesi di Trofonio essere figlio di Apollo, e non di Ergino; io ne sono persuaso, e lo sarà chiunque altro sia andato dall'oracolo di Trofonio. Pretendono che questi due fratelli venuti adulti fosero bravissimi nell'edificare sacrati per gli Dei, e regge per uomini; ed invero edificarono essi il tempio di Apollo nei Delfiesi, e ad Jrieo il tesoro dove facero in modo che uno de' sassi fosse talemnte collocato da poterlo essi tirar via dalla parte di fuori; e così eglino pigliavano sempre qualche cosa di riposto li dentro215.

Socrate ribadisce, in seguito alla narrazione della storia dei due fratelli, che l'esistenza è fonte di infelicità, la quale accompagna tutta la vita dell'uomo, tormentato non solo dai dolori che da essa provengono ma anche da quelli che derivano dalla malvagità degli uomini. Per questo motivo gli dei misericordiosi liberano gli uomini con la morte, allo stesso modo dei due fratelli Trofonio e Agamede, esaudendone le preghiere. Non solo questi ultimi furono liberati dalle sofferenze della vita ma lo stesso accadde ai figli della sacerdotessa Argiva:

Così fu dei figlioli della sacerdotessa di Argiva. Poichè la madre ebbe pregato simigliamente Giunone che ricompensasse quelli della pietà loro: perocchè, non venendo in tempo i buoi, i suoi figliuoli entrati sotto il gioco del carro, la portarono insino al tempio; la notte, dopo la preghiera, essi morirono216.

Socrate cerca di far capire ad Assioco che non bisogna avere nessun timore della morte: essa,

infatti, libera l'anima dal corpo. E' il corpo ad essere fonte di ogni male terreno e di falsi, fuggevoli, apparenti piaceri ai quali si aggiungono in vita le malattie dell'anima: i vizi.

Apollo compare nuovamente all'interno del dialogo, nel passo citato di seguito:

E che cosa dire noi di Amfiarao? L'Egioco Giove lo ha nel suo cuore; Apollo tutto è amore verso di lui; bene! Egli non toccò il limitare della vecchiezza. E di colui che ci grida che facciamo lamenti su novello nato, perocchè egli entra dentro un mare di dolori, che ne pare a te? Me ne vengono altri a mente, ma li lascio, per non mi allungare contro alla mia promessa217.

Anfiarao o Anfirao è figlio di Oicle (secondo un'altra versione di Apollo) e di Ipermnestra. L'Odissea rappresenta un ausilio per comprendere questo mito: nel XV libro si narra che:

Egli poi si recò in terra straniera, ad Argo che pascecavalli: era destino per lui abitare in quel luogo regnando sui molti Argivi. Lì prese moglie e pose la casa dall'alto soffitto, generò Antifate e Mantio, due figli possenti. Antifate generò il magnanimo Oicle; Oicle poi Anfiaro, incitatore di popoli, che in cuore Zeus egìoco e Apollo amarono con ogni affetto: ma non giunse la soglia della vecchiaia e perì a Tebe per colpa dei doni dati ad una donna.218

Anfiarao aveva avuto in dono da Apollo la preveggenza, e grazie a questo diventò l'indovino della città di Argo, nella quale aveva sposato Erifile, sorella del re Adrasto. Da lei ebbe due figli, Anfiloco e Alcmenone. Grazie alle sue doti, Anfiarao previde il fallimento della spedizione dei Sette contro Tebe e rifiutò di accompagnarli. La presenza di Anfiarao era però necessaria, perchè serviva un'ultima persona fidata che presidiasse la settima porta di Tebe.

217 PLAT. Axioch. 368a.

Anfiarao si nascose in un luogo noto solo a sua moglie, la quale si fece corrompere da Polinice, che le promise la collana dell'eterna giovinezza, in cambio della rivelazione del nascondiglio. Anfiarao fu costretto a partire, ma prima di iniziare il fatale viaggio chiese a suo figlio Alcmeone di vendicare la propria morte e uccidere la madre. Una volta a Tebe, Anfiarao ebbe l'incarico di attaccare la porta di Omoloide, ma fu sconfitto e le sue truppe disperse. Anfiarao fu costretto alla fuga e solo l'intervento di Zeus impedì che venisse ucciso dai soldati tebani. Il Dio decise di farlo precipitare in una fossa aperta con uno dei suoi fulmini, e fece sì che quel luogo diventasse sacro, con un oracolo. Anfiarao cadde nelle viscere della terra e precipitò direttamente nell'Oltretomba al cospetto di Minosse, che se lo vide arrivare con l'armatura e il carro da guerra. Zeus è benevolo nei confronti di Anfiarao perchè tramite il suo intervento, fa in modo di procurare una morte “giusta”, sollevandolo dai dolori della vita ma anche dalla umiliazione di essere ucciso dai soldati tebani, creando per lui una fossa che divenne in seguito luogo sacro219. Oltre a Zeus, anche suo figlio Apollo, prova amore nei

confronti di Anfiarao, in quanto dona a lui il potere della mantica, capacità che gli permette di diventare l'indovino della sua antica patria, Argo.

3.12 Conclusioni

Attraverso l'analisi dei dialoghi si è cercato di andare alla ricerca di Apollo e, nel fare ciò, abbiamo notato come l'ideale apollineo, incarnante equilibrio e razionalità, rappresenti e si identifichi nello strumento stesso del “dialogo” utilizzato da Platone. Il dialogo è mezzo comunicativo ed ha la capacità di ordinare e condurre con harmonia i decisivi temi affrontati dalla raccolta. All'interno della Apologia, la Pizia è colei che apre la strada a Socrate, della finitezza umana fornendogli la chiave, tradotta nel motto del “so di non sapere” ed il filosofo comprende, dunque, che l'uomo giusto è colui che possiede la consapevolezza dei propri

limiti. Il Protagora nomina il santuario di Delfi, luogo di culto apollineo, all'interno del quale i cosiddetti Sette Savi hanno inciso diverse massime, tra cui “conosci te stesso” che esorta l'uomo a riconoscersi nella propria finitezza; all'interno dell'Eutidemo invece, veniamo a conoscenza del fatto che Apollo è padre di Ione, progenitore della stirpe greca ed inoltre, nel dialogo viene nominata la famosa statua crisoelefantina del dio delfico, una istituzione degna di massimo rispetto da parte della popolazione greca. Il Cratilo, mediante l'analisi etimologica del nome della divinità giunge alle sue caratteristiche principali: Apollo è infallibile arciere e saettatore ma anche profeta e guaritore, e quindi, purificatore. Il Fedone è fra le testimonianze più concrete del peso che Apollo ha nella argomentazione platonica: egli è ancilla della filosofia, musica altissima per Socrate e suprema sapienza; il filosofo poi, nel corso del dialogo, si definisce “compagno dei cigni”, che non dimentichiamo essere gli animali sacri ad Apollo i quali emettono il loro suono migliore prima di morire e non temono l'arrivo della morte. Alla fine del dialogo Socrate sente il bisogno di sacrificare un gallo ad Asclepio, figlio di Apollo. All'interno del Simposio, Apollo aiuta il padre Zeus nella sua impresa di separazione delle metà dell'uomo ed in seguito ricompone l'uomo rendendolo singolo individuo. In questo dialogo è Amore (Eros) che conduce Apollo alla realizzazione delle sue principali discipline quali il tiro con l'arco e la medicina e viene identificato come maestro della divinità. Nel Fedro i sapienti per mania si esercitano in nome di Apollo, la mania viene ritenuta da Socrate superiore all'assennatezza ed ha legami con la disciplina della mantica, arte di profetizzare il futuro, consacrata ad Apollo. All'interno del Timeo, invece egli è personificato con Helios, il sole ed il dialogo fornisce quindi al lettore l'immagine luminosa del dio ed il suo volto buono; all'interno del Crizia la sua presenza è marginale perchè è invocato assieme alle Muse e questo riferimento, insieme agli altri numerosi del tempio di Delfi, testimonia l'importanza che il culto apollineo ha all'interno della Grecia antica. Anche in Assioco, è il tempio di Apollo Pizio al centro dell'argomentazione la quale si incentra su di un paio di episodi che si mescolano tra mito e leggenda, ed Apollo dona al futuro indovino di

Argo, Anfiarao, appunto, la veggenza. Dunque, ripercorrendo l'intervento di Apollo all'interno dei dialoghi, per adesso esaminati, ci rendiamo subito conto dell'uso platonico del dio, il quale diventa una presenza davvero decisiva per lo snodo delle numerose tematiche in essi affrontate.

CAPITOLO IV