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La Religione nelle Legg

APOLLO NELLE LEGGI DI PLATONE

5.2 La Religione nelle Legg

Le Leggi si distanziano dalla Repubblica andando a costituire tutta un'altra idea e immagine di Stato: la comunanza dei beni, la soppressione della famiglia, il governo affidato ai custodi- filosofi e la descrizione del sistema educativo, tutti i tratti fondamentali nella Repubblica, sono scomparsi nelle Leggi.

Le Leggi, ad esempio, lasciano uno spazio considerevole alle credenze di tipo magico. E ciò perchè, se anche di credenze magiche e di riti magici non si parla moltissimo, quello che conta è che, quando se ne parla, ciò avviene o con un distacco quasi impercettibile o con un sostanziale assenso a questo genere di credenze e di riti. In qualche luogo, certo, l'allusione a credenze o pratiche magiche può essere solo incidentale e non significativa, ma in molti casi le cose stanno diversamente, come accade per l'argomento delle purificazioni. Nelle Leggi il significato magico-rituale della “purificazione“ è molto più scoperto, il termine ha ancora il suo significato letterale ed immediato. In una serie di circostanze vengono poi prescritte scrupolose purificazioni rituali, ad esempio:

Chi di sua mano con premeditata ingiustizia uccide un qualunque cittadino, sia ritenuto fuori dalla legge e si tenga lontano dai templi, dai mercati, dai porti, da ogni riunione pubblica affinchè non li contamini...267.

Si può osservare che prescrizioni del genere vigevano effettivamente ad Atene nel V-VI secolo a.C.; però è significativo che Platone le accetti e ne faccia esplicita menzione “calcando la mano” su questo tema.

E tuttavia, la posizione di Platone sull'argomento in questa opera è, come sempre, complessa: egli condanna infatti la magia, ma nello stesso tempo ammette chiaramente che le arti

magiche possono recare danno, ed appare chiaro anche che egli accorda ad esse un certo credito, almeno nel senso che ne riconosce una certa efficacia.

Passando ad un altro aspetto della religiosità delle Leggi, si deve osservare che, il frequente, anzi continuo richiamo alla religione nelle pagine del dialogo è prima di tutto e, soprattutto, un richiamo alla osservanza dei riti.

La religione è, (non si riduce a questo, ma lo è in prevalenza) un insieme di celebrazioni rituali che accompagnano, con una grande quantità di prescrizioni e proibizioni, ogni momento della vita pubblica e privata della città. In effetti, sono presenti all'interno dell'opera frequentissime espressioni di omaggio agli dèi e alla loro volontà, e infinite prescrizioni rituali.

Una volta stabilito che <<ogni uomo deve cercare di essere uno di quelli che seguono il dio>>, l'autore si domanda quale sia <<l'agire amico e caro alla divinità>>; e, dopo aver genericamente affermato che <<chi vorrà esserle amico, deve assomigliarle al massimo grado possibile>>, giunge a questa conclusione:

Ne segue necessariamente un nuovo argomento, il più bello e il più vero di tutti, che cioè per l'uomo retto il fatto di sacrificare e comunicare sempre con gli dèi con le sue preghiere, con le invocazioni e con ogni forma di culto è l'atto più bello e migliore e più efficace per rendere felice la vita, e il più conveniente alla nostra natura...268.

Tutti i momenti della vita della città sono contrassegnati da appositi riti: da quelli di fondazione a quelli per la scelta dei magistrati o per la celebrazione della vittoria. Altrettanto avviene per una serie di questioni di diritto privato: la consacrazione della proprietà, l'adozione, le perquisizioni (ognuno di questi è contrassegnato da un apposito rito).

Oltre alle numerose occasioni, alle quali ho già accennato, di purificazione rituale; una serie di prescrizioni rituali, ad esempio, accompagna i sacrifici, spesso con l'indicazione di numerosi particolari: agli dèi inferi si deve dare, scrive Platone:

la parte sinistra delle vittime immolate che devono essere di seconda qualità e in numero pari, poiché la parte destra di vittime di primo ordine, sacrificate in numero dispari, va agli dèi celesti269.

Queste considerazioni riguardo ad una presenza del rituale religioso nelle Leggi possono essere concluse con le prime parole dell'ottavo libro:

ATENIESE – A questo punto bisognerebbe dar ordine e legge alle feste dopo aver preso ispirazione dall'oracolo di Delfi, e bisognerebbe dire quali riti sacrificali si debbano eseguire e in onore di quali dèi, per il maggior utile morale e materiale dello Stato. Comunque penso che anche noi potremmo determinare per mezzo di leggi la data e il numero di questi riti. - CLINIA – Forse il numero. - ATENIESE – Cominciamo prima dal numero. Non dovranno essere meno di trecento sessanta cinque, in modo che non ci sia nessun giorno in cui un corpo di magistrati non sacrifichi a qualcuno degli dèi o dei dèmoni, per la città, per sé e per i propri beni.270

Oltre ai riti (o meglio, come cornice per essi), è la tradizione che riveste una grande importanza nelle Leggi.

Sia che il discorso tratti di argomenti religiosi, di argomenti politici o di qualsiasi altro genere di problemi, è sempre agevole notare l'alta considerazione che Platone ha per ogni genere di

tradizione; soprattutto nei confronti di ciò che è consacrato da un'antica origine e dalla credenza comune o collettiva.

L'impressione complessiva che si ricava dalle Leggi è di una religione dal carattere arcaico e tradizionalista, che appare in un netto e inconciliabile contrasto con le peculiarità che Platone ha sempre attribuito alla religione nelle altre sue opere. Gli dèi si curano degli uomini e sono, quindi, un bene per gli uomini, e meritano di essere presi come modello. Le divinità regolano, in generale, i rapporti tra gli uomini a partire da quelli sociali fino ad arrivare a quelli economici. Sono gli dei, infatti, a dare agli uomini le leggi271: li puniscono, a volte, durante la

loro esistenza terrena e sicuramente nell'Ade272.

In questo senso, tuttavia, può insorgere una difficoltà: la tradizione mitologica contraddice l'intento di Platone perchè, come abbiamo già visto per la Repubblica, moltissimi miti contraddicono una rappresentazione edulcorata degli dèi. L'uomo, afferma l'autore, schiavo degli dèi, è in completa balia della loro volontà, come se fosse un giocattolo nelle loro mani273. In ogni caso, benchè la descrizione delle caratteristiche degli dèi rimane talvolta

piuttosto generica, Platone dice che il dio è principio e fine di ogni cosa, e, in trasparente polemica con la celebre affermazione di Protagora, sostiene che il dio è “misura di tutte le cose”274.

Platone talvolta, cerca di andare oltre queste affermazioni generiche, e di definire con maggior precisione gli attributi fondamentali della divinità. Scrive, allora, che gli dei:

conoscono, vedono e odono ogni cosa, e non è possibile che resti ad essa nascosta alcuna cosa che possa esser percepita e conosciuta275.

271 PLAT. Leg. I 634d-e, IX 930e.

272 PLAT. Leg. IX 807d.

273 PLAT. Leg. I 644d, VII 803c.

274 PLAT. Leg, IV 716b.

Afferma che le divinità <<possono fare tutte le cose,quante hanno la possibilità di fare mortali e immortali>>276. Sebbene l'autore non torni poi ulteriormente su questo concetto, la

limitazione che ne consegue per il potere divino è evidente.

Se molte volte nelle Leggi si parla del dio o degli dei in forma impersonale, senza designarne specificatamente qualcuno, è anche vero che in parecchi luoghi le divinità della religione tradizionale sono espressamente designate per nome. In questo senso viene ribadita, senza possibilità di fraintendimento, l'adesione (pur, peculiare come si vedrà) alla religione concretamente esistente, che è nelle Leggi, una delle istituzioni fondamentali, anzi, il perno essenziale di tutto l'ordine sociale e politico.

Al contempo, la nuova città, in linea con gli insegnamenti della Repubblica, dovrà bandire la cattiva religione mitologica dei poeti la quale, a causa dei suoi negativi insegnamenti, ha perversi effetti sull'educazione dei cittadini.

E' in questo quadro peculiare, al crocevia tra tradizione e riforma, che si iscrive la nuova prospettiva del dialogo sulla religione. La città deve fondare le proprie istituzioni e la propria educazione su una nuova teologia, che risponda ai dettami della ragione filosofica: si tratterà, secondo le Leggi platoniche, di una teologia fondata sulla credenza nella divinità degli astri, e nell'esistenza di una provvidenza divina che garantisce l'ordine del cosmo ed è perciò normativa rispetto all'esistenza umana. Platone penserà di dotare la teologia, formulata nel decimo libro delle Leggi, di un organo di controllo, il “Consiglio Notturno”, in grado di punire con la morte il reato di empietà277. Di fronte alle diverse spinte disgregatrici – settarie e

filosofiche – la polis reagisce, a difesa della religione del pantheon e questo significa, in sostanza, (e le Leggi sono proprio il riflesso di questo modus vivendi della religione) che l'osservanza della religione olimpica e della sua ritualità era diffusamente avvertita come solidale insieme all'esistenza stessa della polis e del suo assetto politico.

“Credere negli dèi” significava del resto, anche nella polis storica, non tanto un atto spirituale

di fede o un ossequio teologico, ma un senso immediato di appartenenza alla comunità politica, e, tale credenza contribuiva ad essere un buon cittadino ateniese. Proprio per questo, la polis si riservò sempre il diritto di legiferare sul culto degli dei e sulla composizione del proprio pantheon: l'ammissione dei nuovi dei, come accadde con l'ingresso di Asclepio in Atene nel 420 a.C., e massicciamente in epoca ellenistica con il riconoscimento di divinità di origine orientale oppure legate al culto dei nuovi monarchi, non violava l'ordine e la stabilità della città solo se veniva comunitariamente e pubblicamente sancita. Si comprende allora come il rifiuto di questa comunità religiosa potesse comportare, per la coscienza comune, una autoesclusione dal corpo civico, dallo stesso consorzio umano che con esso si identificava. Credere nella religione olimpica avrebbe dunque continuato a significare, per tutti, quell'osservanza dei riti comuni e quella partecipazione al sapere narrativo dei miti, i quali rappresentano il marchio di appartenenza a una comunità, a una cultura, a una civiltà, al pari dell'uso della lingua greca, della conoscenza di Omero, degli usi costituiti della vita sociale.