Queste due attività sono, nella pratica della regolazione, molto conna-turate tra loro, soprattutto nei servizi a rete: se si vuole aprire alla con-correnza un servizio a rete precedentemente fornito da un’impresa monopolistica, mantenendo necessariamente l’unicità della rete, non è più sufficiente imporre solo una tariffa all’intero servizio, ma bisogna imporre una tariffa specifica all’uso della rete. Occorre, inoltre, impor-re che l’uso della impor-rete sia aperto ai concorimpor-renti senza discriminazione e poi occorre regolare il gioco dei concorrenti che si avvalgono della rete, con regole simili a quelle che valgono negli altri settori dove una rete non c’è. Infatti, affinché la concorrenza sia esercitata efficacemente, il monopolio della rete deve essere appositamente regolato per consenti-re una libera competizione nella fornitura del servizio.
Alla nuova regolazione si aggiunge la tutela dei diritti dei cittadini nei confronti del servizio di pubblica utilità, con garanzie di universalità, qualità ed equità.
Questo nuovo, stimolante e problematico approccio al problema non è stato ancora pienamente metabolizzato; la transizione non è ancora completata, ma i segnali di cambiamento si vedono le imprese rivendi-cano la libertà di scegliersi il fornitore, di entrare nel trading. Alcuni prin-cipi sono ormai di dominio comune, mentre solo ieri non lo erano. La vicenda italiana è molto simile a quella degli altri paesi europei: tempi diversi di attuazione, ma la vicenda è comune, nasce da una scel-ta a livello europeo.
Anche per disegnare una nuova visione del sistema economico dentro un sistema politico federale bisogna partire dal livello europeo, non da quello nazionale.
Alcuni principi fondamentali sono stati introdotti dalle direttive euro-pee: il livello minimo comune di apertura del mercato imposto agli stati membri, le percentuali di consumo per le quali deve valere, a una certa data, il diritto di scelta del fornitore da parte del cliente, il rispetto di alcuni canoni, come, ad esempio, la separazione amministrativa e con-tabile della gestione delle reti dal resto del servizio. Attualmente si pro-cede verso una nuova direttiva europea che imporrà una separazione legale, una società separata per la gestione della rete.
Inoltre, all’imposizione di livelli minimi si accompagna, a livello euro-peo, un’interdipendenza di fatto, che si rileva nelle cronache e nelle polemiche quotidiane. In effetti il concetto di reciprocità definito e garantito dalle direttive europee è molto più limitato e circoscritto e consente queste contraddizioni.
Essendo l’interdipendenza molto forte, per evitare i conflitti e far fun-zionare la concorrenza si dovrebbe procedere sempre di più verso la fissazione di requisiti minimi a livello europeo. A livello pratico, in effet-ti, questo è quello che succede. Le due direttive sull’elettricità e il gas
L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE
hanno incontrato difficoltà di attuazione anche in altri paesi. È quindi necessario rafforzare la spinta, perché la gestione dell’intera questione richiede molto lavoro applicativo, tecnico, culturale. In primo luogo occorre orientare le imprese e l’opinione pubblica verso l’accettazione di questo nuovo disegno. La concezione tradizionale di servizio pubbli-co è forte e fa da argine politicamente alla resistenza al cambiamento. Comunemente si è contrari alla liberalizzazione perché si ritiene che il servizio pubblico sia meglio tutelato dall’azienda pubblica, dallo Stato. Le difficoltà, quindi, sono anche di carattere culturale.
L’utilità dell’istituzione di un’autorità di regolazione indipendente è emersa a livello europeo perché è stato riconosciuto che tali organismi riescono ad affrontare i temi percependone la complessità tecnica, ed essendo “giovani” (nascono nell’ultimo quindicennio) sono meno gra-vati dalla tradizione di difendere l’impresa nazionale, sia essa pubblica o privata, e quindi si dimostrano più motivati a innovare, a promuove-re la liberalizzazione e la concorpromuove-renza.
A livello europeo ormai si è creata una consuetudine di lavoro che pro-cede in questa direzione. A tal proposito si può osservare una strategia interessante della Commissione europea che, di fronte alle resistenze dei Ministri dell’Industria o dell’Energia e degli Apparati statali, si appoggia agli organismi di regolazione e ha istituito occasioni periodi-che di incontro in cui imprese, regolatori e ministeri sotto la sua guida affrontano problemi tecnici. In realtà lo spirito non è solo tecnico, ma anche quello di portare avanti il disegno della liberalizzazione.
Nel contesto nazionale, dove l’attuazione del cosiddetto federalismo si va definendo, i temi evidenziati finora si ribaltano e incontrano molte difficoltà applicative. L’estensione del principio di competenza concor-rente a gran parte delle norme riguardanti il settore dell’energia è fonte di grandissima preoccupazione, perché la competenza concorrente implica una notevole incertezza su chi si assumerà le responsabilità delle decisioni e su quanto equilibrato o squilibrato possa risultare l’as-setto finale.
Per governare questo processo occorre tenere presenti due esigenze fondamentali. Una è quella di assicurarsi che il servizio venga fornito anche in assenza di un soggetto pubblico incaricato dal potere politico. Per ottenere la garanzia del servizio, senza mortificare la libertà di impresa, bisogna affidarsi al buon funzionamento del mercato e, quin-di, predisporre il contesto favorevole al buon funzionamento del mer-cato. Infatti le imprese investono se l’investimento è conveniente. Occorre, dunque, verificare se la redditività dell’investimento è assicu-rata dalle norme per le attività soggette a tariffa o dall’equilibrio di mer-cato per la parte in cui vi sono prezzi liberi.
Questo è il mestiere del regolatore dell’energia, non molto diverso da
165
quello di un regolatore finanziario che deve garantire che la gestione dei patrimoni, l’operare in borsa o l’esercizio del credito avvenga in modo ordinato, tale da non danneggiare i risparmiatori né coloro che hanno bisogno di indebitarsi per svolgere attività economica.
Il buon regolatore è quello che consegue il risultato con il minor nume-ro possibile di imposizioni dirette, agendo essenzialmente sul contesto. Solo un contesto stabile e trasparente di regole - nel senso di affidabi-le, non volubiaffidabi-le, in cui gli operatori capiscano che cosa succede, e veda-no la ragionevolezza delle veda-norme - rassicura gli investitori e rende meveda-no rischiosi gli investimenti.
Tale compito del regolatore non può essere troppo frammentato tra il livello europeo e quello nazionale, perché gli investimenti nel settore dell’energia fanno riferimento a un mercato ampio. La normativa in questa materia può difficilmente essere diversificata a livello locale. L’altro elemento da considerare importante è l’aspetto tecnico, ovvero l’interdipendenza fisica. La rete nazionale di trasporto dell’elettricità è, in realtà, solo un frammento della rete europea; gli scambi europei, oggi non ancora molto sviluppati, vanno intensificandosi anche per opera degli accordi tra organismi di regolazione che tendono a renderli possi-bili. La rete nazionale deve essere regolata e gestita almeno a livello nazionale.
Le reti di distribuzioni sono invece locali. Si può anche immaginare che nei canoni d’uso comuni ci possano essere delle piccole differenze, ma queste devono rimanere piccole in ottemperanza a un principio di equi-tà sociale: il principio di garantire l’universaliequi-tà del servizio e una certa uniformità nei prezzi e nei diritti.
Un altro vincolo deve essere ricordato: quello della normativa ambien-tale. Anche questa è definita prevalentemente a livello nazionale. Ad esempio il protocollo di Kyoto stabilisce i livelli di emissione comples-sivi: non è possibile che il monitoraggio e la gestione delle politiche atte a rispettare questi livelli non siano unitari. Invece altri aspetti dell’impat-to ambientale sono locali.
I livelli di competenza devono essere aderenti alla realtà del singolo problema. Bisogna considerare, caso per caso e funzione per funzione, in quali termini si pone il problema: la politica atta a rispettare il proto-collo di Kyoto non può che essere nazionale, mentre la protezione con-tro le emissioni gassose che danneggiano l’ambiente nell’ambito di pochi chilometri può essere articolata localmente. Complessivamente è necessario mantenere una forte enfasi sui livelli qualitativi del servizio perché, se scade la qualità, l’intero passaggio alla concorrenza rischia di non essere più accettato dalla gente. La liberalizzazione di tali servizi deve essere accompagnata da una forte garanzia non solo di manteni-mento, ma anche di miglioramento dei livelli qualitativi.
L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE
Anche questo tipo di interventi non può essere frammentato, per esi-genze di praticabilità tecnica. La disciplina dell’interruzione dell’elettri-cità, ad esempio, è complicatissima: si cerca di monitorare e poi far ridurre, anno dopo anno, i minuti di interruzione per utente, introdu-cendo incentivi e penalità in modo che le imprese abbiano uno stimo-lo a investire per migliorare il sistema. Ma è un sistema di tale comples-sità e di tale impegno per le aziende che difficilmente potrebbe essere articolato anche per zone geografiche.
Al contrario altri aspetti della qualità del servizio, quali la disponibilità dell’azienda a intervenire in caso di disservizio commerciale, il tratta-mento della morosità dell’utente, il distacco e il riallacciatratta-mento, la disponibilità e velocità nel rispondere ai reclami, e tutti gli altri aspetti che rivelano la cura per la clientela, possono essere regolati a livello regionale e non vi è motivo per non consentire a un’amministrazione regionale di andare più avanti delle altre. La competizione tra istituzio-ni non danneggia nessuno se non urta contro vincoli tecistituzio-nici.
L’obiettivo è quello di uscire dalle incertezze del potere normativo con-corrente per passare a un quadro più certo che veda una migliore iden-tificazione delle responsabilità in questa fase di difficile transizione dal monopolio al mercato liberalizzato.
Più che ragionare in astratto si tratta di esaminare le funzioni una per una: un lavoro che nella precedente legislatura non è stato fatto, ma che, a qualche livello e in qualche sede, ora occorre fare, in modo che l’at-tuazione del federalismo in questo piccolo ma delicato settore sia più concreta e funzionale alla fase di trasformazione. Il rischio di inceppar-la o di distorcerne gli effetti sarebbe altissimo. L’esperienza delinceppar-la California è quella alla quale bisogna guardare per evitarne gli errori: i processi di trasformazione devono essere accompagnati con molta cura.
167
L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE
168
Il federalismo introduce anche un altro problema, di grande interesse e importanza: il problema della concorrenza nella regolamentazione e nella normazione.
Rispondere in un senso o nell’altro su questo tema significa, infatti, aver preliminarmente dato una risposta chiara alla domanda su quali dovreb-bero essere gli obiettivi della riforma federalista in atto in Italia. Il dilemma principale al riguardo è noto: federalismo solidale o competi-tivo, con poca o molta perequazione, con poca o molta libertà di nor-mare diversamente le stesse materie?
L’economia non fornisce risposte univoche, su quale sia l’assetto statua-le migliore, ma sul federalismo propone qualche conclusione chiara. Una è che il principale vantaggio del governo locale è nella possibilità di soddisfare il maggior numero di preferenze rispetto a un governo centralizzato. Quindi se vi sono preferenze differenziate, fortemente differenziate, vi è una convenienza ad avere processi politici e decisio-nali differenziati, altrimenti i risultati in termini di benessere economi-co diventerebbero incerti.
Si noti che nella concreta situazione italiana, la concorrenza nella rego-lamentazione è forse la sola cosa di cui si possono occupare le Regioni. Questo perché l’altra via classica di concorrenza tra amministrazioni pubbliche, su cui si è molto soffermata la teoria economica, cioè la con-correnza sulla quantità dell’offerta di servizi pubblici e correlativamen-te sul livello di imposizione fiscale, nell’attuale situazione di finanza pubblica, lascia agli Enti Locali, alle Regioni, agli enti subregionali pos-sibilità di manovra molto ristretti. L’Italia, nel complesso, deve attuare una politica di bilancio volta a ridurre il disavanzo in misura consisten-te e a creare, per ridurre il debito, un avanzo al netto degli inconsisten-teressi con-sistente; questo fatalmente riduce gli spazi di manovra di spesa in tutta l’articolazione del sistema pubblico, dallo Stato alle Regioni. Se, quindi, possibilità di differenziazioni ci sono, non ci sono dal lato di quantità dell’offerta dei servizi e del livello della pressione fiscale, ma dal lato della regolamentazione di determinati aspetti della vita economica, lad-dove esistano delle diverse vocazioni locali su specifiche materie. Ad esempio, riguardo all’ambiente e agli impegni del protocollo di Kyoto, se due territori hanno vocazioni economiche diverse, per cui in uno si privilegia lo sviluppo del turismo e in un altro lo sviluppo di attività industriali, non è differenza di poco conto se le istituzioni di questi due territori possano, sugli standard ambientali, legiferare fissando standard