tecniche di indagine e la capacità dei rispondenti di dare informa-zioni coerenti;
3) una rilevazione sperimentale - impostata su un campione rappre-sentativo composto da 720 amministrazioni, suddivise in piccoli comuni (meno di 20.000 abitanti) e comuni più grandi (tutti com-presi nel campione) - volta a saggiare la possibilità di determinare un quadro statistico generale sull’offerta di servizi socio-assisten-ziali capace di legare, all’interno della medesima rappresentazione, dati sulla natura dell’offerta (tipologie di servizi, forme gestionali e di interazione con altre istituzioni presenti nel territorio di riferi-mento), sulle risorse umane ed economiche utilizzate per sostener-la, sui bacini sociali serviti, sulle forme di programmazione, valuta-zione e, più in generale, di rilevavaluta-zione di informazioni utili ai fini dell’organizzazione dei servizi socio-assistenziali.
Nonostante l’organizzazione dell’indagine fosse stata impostata in modo piuttosto rigoroso, si è dovuto constatare che, a parte alcune eccezioni meritorie, le amministrazioni interpellate non erano in grado di determinare, cioè di rappresentare in forma statisticamente trattabi-le, un quadro delle attività e dei servizi socio-assistenziali da esse offer-ti nei termini richiesoffer-ti. Le amministrazioni che sembravano essere più attrezzate ai fini dell’indagine erano quelle che operavano in un quadro di politiche sociali standardizzate sotto il profilo dell’ordinamento degli interventi (programmazione regionale; progetti comunali; monitorag-gio dell’avanzamento delle iniziative) e disponevano di un sistema abba-stanza consolidato di rilevazione della domanda di interventi, di tratta-mento delle informazioni relative alla loro implementazione, di valuta-zione delle attività svolte (non intesa in senso necessariamente tecnico), dei servizi erogati, degli effetti rilevati (soluzioni o recrudescenze, effet-ti collaterali).
Nel complesso tutte le amministrazioni trovavano una grande difficol-tà a fornire informazioni sui costi economici sostenuti, soprattutto se il costo doveva essere ripartito per tipo di utente e/o per tipo di servizio offerto, sia nel caso di servizi prodotti in economia (ricorrendo a strut-ture e risorse dell’amministrazione stessa), sia nel caso di servizi pro-dotti all’esterno e “acquistati” dall’amministrazione comunale, da altre amministrazioni pubbliche (ad esempio un’ASL) o da imprese o istitu-zioni private (ad esempio una casa famiglia di un ente morale), indipen-dentemente dalla dimensione dell’amministrazione.
Rispetto al momento in cui è stata svolta l’indagine sperimentale, nono-stante l’emanazione della legge 328, probabilmente la situazione non è cambiata molto, anche perché allo stato attuale solo alcune delle indica-zioni contenute nella legge sono state attuate.
L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE
Nella rilevazione svolta alla fine degli anni novanta sono emersi, tra le altre informazioni, i seguenti dati di riferimento:
1) nei Comuni italiani sono offerti complessivamente circa 95 mila servizi o interventi socio-assistenziali, la cui parte più consistente è offerta da comuni di media o piccola dimensione, localizzati nelle regioni settentrionali;
2) un terzo dei servizi erogati viene destinato ai minori (tuttavia, la gran parte dei servizi inglobati in questo dato riguardano gli asili nido, il cui costo viene solo in parte sostenuto dalle famiglie e, dun-que, possono essere considerati servizi di tipo socio-assistenziale), al secondo posto si trovano i servizi per gli anziani e al terzo gli interventi per i portatori di handicap, seguiti da altri soggetti “debo-li” (poveri senza casa, carcerati ed ex-carcerati). Di limitata entità sono i servizi offerti dai Comuni a tossicodipendenti ed etilisti: infatti queste categorie, in Italia, sono assistite soprattutto attraver-so il sistema sanitario;
3) nei Comuni italiani si offrono mediamente 52 servizi socio-assi-stenziali ogni 10 mila abitanti, tuttavia nei grandi Comuni la capaci-tà di offerta rilevata è molto meno consistente. In proposito, si osservano rilevanti differenze territoriali: nelle regioni centrali la media è pari a 67 servizi socio-assistenziali offerti ogni 10 mila abi-tanti, in quelle settentrionali essa è pari a 62, nelle regioni del mez-zogiorno scende a 30. Dunque, nei Comuni localizzati nelle regio-ni meridionali e insulari la capacità di offerta è pari alla metà di quella rilevata in media nei Comuni situati nelle regioni centrali e settentrionali;
4) considerando le forme di gestione nel loro complesso, la metà dei Comuni offre direttamente i servizi socio-assistenziali di cui si occupa. L’offerta in economia interessa una quota pari al 62% dei comuni delle regioni centrali, al 58% dei Comuni meridionali e insulari, mentre nei Comuni settentrionali prevale l’offerta indiretta o mista, nel senso che più spesso che in altre ripartizioni i Comuni ricorrono ad altre imprese o istituzioni private per organizzare l’of-ferta reale dei propri servizi socio-assistenziali. Tra le istituzioni cooperanti con i Comuni si trovano, al primo posto, le ASL e al secondo posto le cooperative sociali, le prime in misura relativa-mente più frequente tra i Comuni del centro e del nord, mentre le seconde tra i Comuni del sud e delle isole.
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5) le modalità di valutazione dell’offerta sono in uso presso poco più di 2000 amministrazioni comunali su 8103 presenti in Italia (con una concentrazione rilevante tra i comuni situati nelle regioni cen-trali); tra queste, inoltre, solo un quarto dichiara di svolgere attività di valutazione su base regolare e, quindi, nella maggior parte dei casi i Comuni valutano la loro offerta solo occasionalmente; 6) se si considera il tipo di valutazione svolta, i Comuni sembrano
avvezzi alla valutazione ex ante della domanda di servizi più che ad altri tipi di valutazione (del processo di produzione o degli effetti degli stessi). Modalità di valutazione della domanda, in generale, sembrano essere più presenti nel caso di alcuni tipi di malattia, degli immigrati, dei nomadi, delle donne sole con figli e dei tossicodipen-denti.
A questo punto, è necessario svolgere alcune considerazioni che riguar-dano la possibilità di rilevare, in futuro, dati sempre più completi e attendibili sulle attività dei Comuni e, in particolare, sull’offerta di ser-vizi socio-assistenziali che a queste istituzioni locali sarà ricondotta in misura crescente. Vanno sottolineati due aspetti critici, cioè due fattori che possono mettere a rischio la possibilità di costruire non solo un quadro coerente di informazioni su queste attività, ma anche di farlo in pianta stabile, durevole nel tempo.
Il primo aspetto è collegato alla “eterogeneità istituzionale” che trova la sua origine nel fatto che nelle diverse regioni italiane, nel corso degli ultimi 25 anni, a partire dai primi tentativi di regionalizzazione del “sistema” sanitario (esempio in parte riuscito) e delle reti di offerta di servizi e/o interventi di assistenza sociale (esempio di “non-sistema”), si è consolidata una trattazione “opportunistica” delle politiche sociali. Opportunistica nel senso che le norme prodotte hanno teso spesso a sistemare le linee di azione, le soluzioni organizzative, le categorie obiettivo accreditabili localmente e in un certo momento. Per effetto di questo processo e dell’assenza di una legge quadro nazionale nel corso di questi anni, al di là delle apparenze terminologiche, è fiorita una nutrita produzione di norme regionali, esse stesse spesso al di fuori di un quadro regionale di riferimento, volta a definire, classificare e indi-rizzare solo provvisoriamente, a volte addirittura caso per caso, l’offer-ta locale di servizi socio-assistenziali. Purtroppo, quest’opera di “razio-nalizzazione normativa limitata” non è stata omogenea tra le diverse regioni (elemento non cruciale, poiché nella loro autonomia le regioni hanno la capacità e spesso è opportuno per esse delineare politiche rispettivamente divergenti), inoltre non è stata organizzata stabilmente (volatilità delle discipline organizzative), né si è ritenuto di definire
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(ovviamente per tutte le regioni) almeno alcune tipologie armonizzate di servizio, di attività, di risultato, alle quali fare riferimento in sede di analisi e di programmazione comune (nazionale, interregionale o regionale) e/o comparata delle politiche intraprese autonomamente in sede regionale e locale. Naturalmente, il medesimo processo ha condi-zionato anche l’effettiva disponibilità, per i cittadini, in quest’ultimo quarto di secolo, di servizi e/o interventi, a seconda che essi si trovas-sero a vivere in una o in un’altra regione, in questo o quel comune, ma questo è un problema che meriterebbe una trattazione specifica. Infine, è utile fare almeno un cenno alla cultura della valutazione o, meglio, ad alcuni fattori di debolezza della cultura della valutazione pre-senti nelle amministrazioni locali.
Il primo elemento, sulla base dei dati rilevati, è connesso con il fatto che, seppure ci siano alcune centinaia di amministrazioni comunali, dis-locate soprattutto nell’Italia centrale, nelle quali la valutazione degli interventi socio-assistenziali viene svolta in modo regolare, i metodi, le tecniche e gli strumenti informativi (amministrativi e/o tecnici, comun-que trattabili statisticamente) utilizzati a tale scopo sono acquisiti in modo casuale, erratico e con limitatissimi punti di contatto “esterno”, sia con altre componenti dell’agire delle amministrazioni comunali stes-se (in particolare la componente organizzativa interna), sia con le com-ponenti ambientali (cittadini e organizzazioni presenti nel territorio e interessati, per ragioni e con scopi diversi, alle iniziative comunali), che tuttavia interagiscono con le amministrazioni comunali, condizionan-dole nella definizione delle strategie e nell’identificazione delle modali-tà di azione, dei target da raggiungere, degli effetti da provocare. Il secondo elemento su cui è opportuno sviluppare una riflessione più sistematica riguarda la difficoltà di rilevare informazioni sugli utenti dei servizi erogati e sugli specifici trattamenti/interventi a essi dedicati. In particolare si fa riferimento non tanto ai casi in cui tali informazioni non sono disponibili, ma ai casi in cui esse sarebbero disponibili, però, a causa di una certa cultura della gestione e uso “privatistico” delle informazioni a disposizione, esse non vengono condivise con coloro che, a scopi valutativi, potrebbero valorizzarle in sedi diverse dall’ordi-naria diagnostica e monitoraggio socio-psicologico o dalla manipolazio-ne amministrativa pura e semplice. Spesso si constata che, proprio a causa della carenza di cultura della valutazione, tra i gruppi professio-nali presenti all’interno delle amministrazioni locali si instaura una cul-tura del controllo delle informazioni a disposizione dell’uno o dell’altro, che sembra incardinarsi su una sorta di diritto di veto, per cui le infor-mazioni di cui si dispone, grazie alla funzione o alle attività svolte, non vengono condivise con nessuno né all’interno né all’esterno dell’ufficio. Tutto ciò determina un grave detrimento sia per l’azione del singolo e
per la sua comprensibilità in seno all’azione dell’amministrazione, sia per quanti potrebbero utilizzarla a partire da esigenze e per scopi diver-si da quelli meramente localistici (diver-si pendiver-si alla programmazione regionale o anche a quella ancora esplicabile a livello nazionale). In futuro la diffusione di sistemi di valutazione integrata degli interven-ti comunali nel campo dell’offerta di servizi socio-assistenziali non potrà prescindere dalla necessità di costruire sistemi generali armoniz-zati, coerenti e congruenti di rappresentazione dell’organizzazione, delle attività, dei costi e dei beneficiari degli stessi e neppure potrà pre-scindere dalla necessaria cooperazione di quanti, all’interno e all’ester-no delle amministrazioni comunali, controllaall’ester-no la produzione di base delle informazioni che nel sistema verranno trattate.
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1 U. Beck, Figli della libertà: contro il lamento sulla caduta dei valori, Rassegna italiana di sociologia, 1, 2000, pp. 3-28.
2 C. Trigilia, La crisi del modello socialdemocratico e i dilemmi della
sinistra, Il Mulino, 3, giugno 2002, pp. 411-427.
3 N. Negri, C.Saraceno, Povertà, disoccupazione ed esclusione
socia-le, Stato e mercato 2000, pp. 175-210; Y. Kazepov, Frammentazione e coordinamento nelle politiche di attivazione in Europa, in
“L’assistenza sociale”, aprile-giugno 2002, pp. 5-3.