materia sanitaria, sia pure all’interno di un quadro normativo di riferi-mento stabilito a livello centrale (materia concorrente). È iniziato, quin-di, un processo di riforma che dà attuazione al principio di sussidiarie-tà e si avvia a perfezionare il principio della corrispondenza tra la responsabilità del prelievo fiscale e quella dell’erogazione della spesa. Dal punto di vista degli strumenti fiscali per l’attuazione del decentra-mento, il decreto legislativo 56 del 2000 ha introdotto un federalismo fiscale che si fonda sulla compartecipazione delle Regioni a statuto ordinario al gettito delle imposte. In concreto, il decreto legislativo ha previsto che le Regioni debbano provvedere al finanziamento del servi-zio sanitario naservi-zionale tramite le risorse proprie derivanti dalla compar-tecipazione al gettito dell’Iva e dell’Irpef e dall’intero gettito Irap. Tale decreto istituisce, inoltre, il Fondo di solidarietà perequativa, il cui principio fondamentale è quello della solidarietà tra le Regioni al fine di assicurare a tutte la possibilità di garantire ai propri cittadini i livelli essenziali di assistenza sanitaria. Il Fondo di solidarietà perequativa risponde a una triplice esigenza: la prima è quella di colmare i divari regionali rispetto alla capacità contributiva, procedendo a un riallinea-mento del gettito fiscale delle singole regioni rispetto a quello medio nazionale; la seconda esigenza è quella di tenere in considerazione i fab-bisogni sanitari assai differenziati sul territorio (si pensi, ad esempio, all’invecchiamento della popolazione al centro-nord e al maggiore disa-gio sociale delle redisa-gioni del sud); infine, la terza esigenza risponde alla necessità di tener conto della cosiddetta “dimensione geografica”, in altre parole dei livelli di costo, considerati tramite la spesa media pro capite standardizzata (esclusa la spesa sanitaria) delle singole Regioni rapportata alla spesa media nazionale.
L’ultimo punto qualificante del decreto 56 del 2000 è l’abolizione del vincolo di destinazione, che consente alle Regioni di destinare autono-mamente l’ammontare delle risorse disponibili ai diversi settori di inter-vento (soprattutto sanità, trasporti, ambiente e istruzione). L’abolizione originariamente era prevista a partire dal 2004, ma è stata anticipata al 2001 dalla legge finanziaria.
Il nuovo quadro normativo tracciato dal decreto sul federalismo fiscale ha segnato un profondo cambiamento, in particolare per quanto riguar-da l’ammontare complessivo delle risorse destinate alla sanità, che dipenderanno dalle scelte delle singole Regioni e dalla loro disponibili-tà a finanziare, attraverso l’autonomia impositiva, i servizi sanitari. Viene, inoltre, stabilita definitivamente la completa responsabilità delle Regioni per gli eventuali disavanzi nella gestione finanziaria.
Il nuovo impianto normativo ha reso necessario un accordo tra Stato e Regioni che definisse i rispettivi ruoli, competenze e responsabilità. È evidente, infatti, come le politiche attuate dal livello centrale
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nino le autonomie locali nel governo della spesa. Si pensi, ad esempio, alle competenze del livello centrale in materia di rinnovi contrattuali o, in ambito farmaceutico, in materia di determinazione dei prezzi dei far-maci e dei prontuari terapeutici.
Un altro ordine di problemi è quello relativo alla salvaguardia dell’equi-tà del sistema sanitario pubblico, cioè il diritto di ogni cittadino, su tutto il territorio nazionale, alla cura del proprio stato di salute secondo i pro-pri bisogni. La crescente autonomia delle Regioni in materia sanitaria e la necessità di far fronte alla spesa con risorse proprie potrebbe mette-re in discussione, infatti, il principio di equità. Si è mette-reso, quindi, neces-sario un accordo che stabilisse i livelli di assistenza che ogni Regione è tenuta a fornire ai propri cittadini.
I contenuti dell’Accordo, noto come l’Accordo dell’8 agosto 2001, hanno avuto, quindi, un duplice scopo: assicurare il rispetto del Patto di stabilità interno e dirimere alcuni dei problemi aperti dal decentramen-to regionale.
Con tale Accordo sono state definite le risorse finanziarie disponibili e sono stati assunti degli impegni bilaterali tra Stato e Regioni.
Si è concordato che il fabbisogno per il settore sanitario, compatibil-mente con le condizioni di finanza pubblica e il miglioramento qualita-tivo e quantitaqualita-tivo del servizio, debba attestarsi al 6% del PIL. In tale prospettiva e con l’obiettivo di mantenere un quadro dei finanziamenti stabile nel tempo, si è definito per il triennio 2002-2004 un finanzia-mento pari a quello del 2001 incrementato di anno in anno in ragione dell’andamento del PIL previsto dal Documento di programmazione economica e finanziaria 2002-2006.
Al fine di consentire alle Regioni la gestione della spesa e il manteni-mento dei tetti prefissati, il governo si è impegnato ad adottare misure atte a definire i meccanismi con i quali contenere la spesa, nonché mec-canismi di monitoraggio delle prescrizioni. Il governo, inoltre, si è impegnato a porre in essere interventi normativi atti a razionalizzare la struttura dell’offerta e a definire misure di contenimento della spesa far-maceutica.
In materia di contratti collettivi del personale sanitario, il governo si è impegnato a rinegoziare con le parti sociali la quota di risorse destina-te all’adeguamento del podestina-tere d’acquisto del personale dipendendestina-te. Alle Regioni, invece, è demandata la contrattazione relativa alle risorse da destinare alla remunerazione degli incrementi di produttività o a risor-se provenienti da eventuali maggiori dotazioni finanziarie legate alla crescita economica.
I suddetti punti dell’Accordo sono stati espressamente legati alla defi-nizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e al relativo monito-raggio, al fine di verificare l’effettiva erogazione degli stessi e la loro
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corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti.
Con l’individuazione dei LEA si ribadisce il principio secondo il quale ogni Regione deve assicurare ai propri cittadini un certo numero di tipologie di prestazioni, considerate necessarie per il perseguimento dei fini di un sistema sanitario pubblico, al tempo stesso si stabilisce che tali prestazioni debbano essere erogate assicurando adeguati livelli di quali-tà. La definizione dei ruoli, delle competenze e delle responsabilità tra Stato e Regioni, ha costituito negli anni passati motivo di forti polemi-che, legate al condizionamento delle politiche regionali da parte del livello centrale.
La ferma presa di posizione delle Regioni in relazione alla finanziaria sottolinea il fatto che l’attuale impianto normativo non sembra aver risolto i conflitti tra i due livelli di governo.
Riaffiorano, infatti, le vecchie polemiche riguardo l’incertezza sulle risorse realmente disponibili per le Regioni. Ne è un esempio la manca-ta ripartizione delle risorse da destinare al servizio sanimanca-tario nazionale per il 2002. Si aggiungono poi i ritardi con cui il governo assegna i fondi già stanziati in precedenti finanziarie che hanno comportato una grave crisi di liquidità delle Regioni e l’inevitabile ricorso alle anticipazioni di tesoreria da parte delle Aziende sanitarie e alla corresponsione degli interessi sul ritardato pagamento delle formature. Tali inadempienze da parte del governo centrale incideranno pesantemente, secondo le Regioni, sul volume di spesa complessiva, rendendo difficile il control-lo della spesa e il pareggio di bilancio.
Altro punto di forte conflitto è costituito dalla sospensione della possi-bilità, per Regioni e Comuni, di utilizzare la propria leva fiscale sull’ad-dizionale Irpef. Tale provvedimento, presente nella finanziaria del 2003 costituirebbe, secondo le Regioni, un’evidente limitazione dell’autono-mia impositiva che influirebbe sulla corretta gestione delle amministra-zioni regionali.
Il processo di decentramento, dunque, apre in prospettiva problemati-che vecchie e nuove. Le vecchie problematiproblemati-che sono costituite dalla corretta definizione dei bisogni, punto decisivo nel passato per la distri-buzione del finanziamento tra le Regioni, rimasto un problema nel nuovo impianto laddove si definiscono i fabbisogni di spesa e i livelli di contribuzione al fondo perequativo.
Altra problematica che l’attuale normativa condivide con quella passa-ta è rappresenpassa-tapassa-ta dalla definizione dei livelli essenziali, recentemente oggetto di un decreto, ma che lasciano aperta la necessità di un attento monitoraggio per verificarne la reale uniformità su tutto il territorio nazionale. A quest’ultimo riguardo appare assai preoccupante la forte carenza di informazione statistica disponibile, per i cittadini e gli opera-tori del settore, sui dati relativi all’attività assistenziale erogata o sulle
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condizioni di salute della popolazione. Le uniche informazioni proven-gono da indagini campionarie come quelle condotte dall’Istat all’inter-no del progetto Multiscopo.
Sul fronte delle nuove problematiche deve essere annoverata quella del-l’equità, cioè il diritto di ogni cittadino, su tutto il territorio nazionale, alla cura del proprio stato di salute. Uno sviluppo economico non uni-forme su tutto il territorio potrebbe causare il venir meno del principio di pari opportunità tra le Regioni più ricche e quelle più povere rispet-to alle cure sanitarie.
Infatti non è certo che le Regioni meno ricche riescano ad avere una crescita del PIL in grado di poter sostenere la copertura del fabbisogno di spesa sanitaria. A tale proposito il dato relativo alla composizione del fabbisogno finanziario del 2000 evidenzia come le Regioni del sud con-tribuiscano al finanziamento solo in minima parte con risorse proprie: si va da un minimo del 24% (Calabria) a un massimo del 38% (Abruzzo), mentre al centro-nord tale copertura varia tra il 43% (Umbria) e l’81% (Lombardia).
La scommessa che sarà necessario vincere è quella di riuscire a mante-nere in piedi un meccanismo redistributivo, fondato sul principio di solidarietà tra le Regioni, in grado di sopperire al minor gettito delle Regioni più povere. A tale proposito si ricordi che il decreto 56/2000 prevede che il processo di perequazione tra le Regioni duri solo fino al 2013, periodo entro il quale si dovrebbe assistere a un definitivo riequi-librio dei differenziali regionali esistenti.
Infine, tra le nuove problematiche aperte dalla riforma c’è la competi-zione che si instaurerà tra i diversi settori di intervento pubblico (ambiente, istruzione, sicurezza, ecc.). Infatti, l’abolizione del vincolo di destinazione dà facoltà alle Regioni di allocare le risorse di cui dispon-gono come meglio credono, incentivando o disincentivando i diversi settori di intervento. L’unica garanzia per quanto riguarda il sistema sanitario è rappresentata dall’obbligo del rispetto dei LEA che ogni Regione deve assicurare ai propri cittadini.
Il nuovo impianto normativo dovrebbe risolvere, quasi certamente, il problema del ripianamento dei disavanzi a posteriori, che, infatti, ha costituito negli anni passati un elemento di iniquità. La costante sotto-stima del finanziamento ha prodotto, in Italia, un meccanismo perver-so, per il quale la spesa sanitaria veniva finanziata con un ammontare di risorse stabilito a priori da un accordo tra Stato e Regioni e suddiviso tra queste ultime in base a criteri legati anche ai bisogni della popola-zione. Successivamente, a consuntivo, i disavanzi di spesa venivano ripianati a piè di lista senza considerare i reali bisogni della popolazio-ne, creando, quindi, un meccanismo che non rispondeva più ai criteri equitativi necessari.
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Infine, c’è un ulteriore elemento che caratterizza il dibattito all’interno del settore sanitario. Si tratta dell’istituzione dei fondi integrativi, previ-sti già all’interno della riforma ter.
Fiscalità propria (%)
Fondo Sanitario Nazionale (%) Totale di cui Irap di cui addiz.
Irpef Piemonte 61 56 5 34 Valle d’Aosta 71 65 6 20 Lombardia 81 75 6 18 Bolzano 82 76 6 15 Trento 71 66 5 24 Veneto 66 61 5 32 Friuli V.G. 63 58 5 34 Liguria 45 41 4 54 Emilia Romagna 67 61 6 33 Toscana 55 50 5 43 Umbria 43 39 4 56 Marche 51 47 4 44 Lazio 66 62 4 30 Abruzzo 38 35 3 58 Molise 30 28 2 62 Campania 28 26 2 65 Puglia 29 26 3 67 Basilicata 30 28 2 58 Calabria 24 22 2 66 Sicilia 28 26 2 65 Sardegna 35 32 3 60
Tabella 1. Composizione del fabbisogno finanziario a livello regionale
Senza entrare nel merito della discussione (che poggia su alcuni nodi fondamentali quali: fondi integrativi o sostitutivi, obbligatori o volonta-ri, privati o pubblici), qualunque sia la scelta, l’impatto sul sistema sani-tario sarà rilevante in quanto si assisterà a un’operazione che, da un lato agirebbe sulle entrate delle Regioni, almeno per la parte di assistenza integrativa o sostitutiva richiesta alle strutture pubbliche (intramoenia, camere a pagamento negli ospedali, ecc.), dall’altro, agirebbe sulle entra-te dei privati presenti sul mercato sanitario, aumentando di conseguen-za la base contributiva per le Regioni.
D’altro canto la probabile deducibilità dall’imponibile Irpef dei premi, che i cittadini dovrebbero pagare per i fondi, comporterebbe una mino-re entrata fiscale. In conclusione, il saldo delle entrate e la possibile diversità di sviluppo a livello regionale dei fondi potrebbero aprire con-tenziosi rispetto alle aliquote di compartecipazione al fondo di solida-rietà, derivanti dalle mutate capacità fiscali.
In conclusione, il processo di riforma avviato è destinato a modificare sostanzialmente il sistema di welfare, che verosimilmente sarà diverso all’interno delle varie Regioni. Sarà importante, in quest’ottica, lo svi-luppo economico dei prossimi anni e soprattutto il controllo dei diffe-renziali territoriali, in quanto da questi dipenderà l’equità e l’universali-smo di parte del sistema di protezione sociale.
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1 Cfr. R. Perez, Il Patto di stabilità e crescita: verso un Patto di
flessi-bilità?, in “G.d.a”, n. 9/02, p. 997 ss.; G. della Cananea, Il Patto di sta-bilità e le finanze pubbliche nazionali, in “Riv. dir. fin. sc. finanze”, n.
4/01, p. 559 ss.
2 Va, inoltre, osservato che la rispondenza dei conti pubblici ai para-metri di Maastricht non è favorita dalla circostanza che i cittadini pos-sono godere, nei paesi di appartenenza, dei benefici della spesa pubblica, ma, come imprenditori o investitori finanziari, scegliere un altro paese dove pagare una parte dei tributi, impoverendo il paese di origine dove la prestazione è percepita. Infatti, in questo modo, si riduce la possibilità di finanziare la spesa pubblica attraverso l’impo-sizione tributaria. Cfr. G. Muraro, Federalismo fiscale e sanità, con-ferenza tenuta alla Siep (Società italiana di economia pubblica), Università di Pavia, 4-5 ottobre 2002.
3 La proposta è stata commentata da Francesco Giavazzi su “Il Corriere della sera” dell’8 febbraio 2003.
4 Cfr. “Il Sole 24 Ore” del 5 novembre 2002.
5 Così Pedro Solbes, Commissario europeo per gli Affari monetari su “Il Sole 24 Ore” del 14 settembre 2002.
6 F. Pizzetti, Il “patto di stabilità interna”: una nuova via obbligata nei
rapporti tra Stato centrale e sistema dei soggetti periferici?, in “Le
regioni” n. 5/98, p. 1373 ss. 7 Cfr. G. della Cananea, op. cit.
8 Così, le disposizioni del Patto costituiscono una integrazione e una accelerazione dell’art. 104 (ex art. 104C) e del protocollo sulla pro-cedura per i disavanzi eccessivi.
9 In Italia è stato denominato “Patto interno di stabilità”.
10 Il bilancio italiano, stando al protocollo sui disavanzi pubblici ecces-sivi, comprende, infatti, il conto della Pubblica Amministrazione, nel