molto differenziati. Questo è un problema che l’attuale nuovo Titolo V della Costituzione lascia aperto. Non si capisce con esattezza che tipo di federalismo volesse il legislatore. Da un lato si costruisce una com-plessa impalcatura federalista, ma da un altro sembra che si temano le differenziazioni eccessive, con la conseguenza che viene lasciato a legis-lazione concorrente un numero notevole di materie, per le quali lo Stato deve intervenire fissando i principi generali. Allora tutto dipenderà dal grado di specificità e pregnanza di tali principi. Certamente con legisla-zioni cornice assai dettagliate e cogenti, i possibili vantaggi di efficien-za allocativa di un assetto federale si riducono alquanto.
In Italia un assetto istituzionale di tipo federalista per concretizzarsi richiede di risolvere una serie di trade-off, il compito per eccellenza della politica, che in gran parte non sono stati ancora affrontati.
Un problema, che nessuno in realtà si pone, è se esiste veramente in Italia questa forte domanda di differenziazione, una così accentuata diversificazione di preferenze, almeno in campo economico. Può esse-re utile, dunque, consideraesse-re qualche esperienza passata.
Un esempio interessante è rappresentato dalla liberalizzazione del com-mercio al dettaglio. Nella legge quadro, lo Stato fissava alcuni principi generali, volti a liberalizzare profondamente il settore (ad esempio si tendeva ad abolire le tabelle merceologiche e i piani commerciali). L’attuazione, i tempi, la graduazione degli interventi di liberalizzazione, i dettagli erano giustamente lasciati ai livelli di governo che avevano la più diretta responsabilità della pianificazione della gestione del territo-rio. Ma alla fine le Regioni si sono dimostrate da un lato lente e conser-vatrici, e dall’altro piuttosto convergenti nell’attenuare il processo di liberalizzazione del settore. Al riguardo si consideri un interessante recente studio dell’Isae, l’Istituto di studi e analisi economica del Ministero dell’Economia, in cui si cerca, con degli indicatori di sintesi, di classificare le Regioni secondo il grado di liberalizzazione che con-cretamente hanno introdotto nei rispettivi sistemi di commercio in det-taglio. Tranne le punte di alcune Regioni che sono andate molto avanti in questo processo, la maggior parte delle Regioni si colloca in una situazione intermedia e di forte similarità.
Un punto focale su cui riflettere è quello dei servizi pubblici locali2. L’attuale assetto del settore dei servizi pubblici locali ancora oggi non risulta conforme alle regole europee di liberalizzazione, concorrenza e sussidiarietà3. In gran parte si tratta delle aziende speciali (ex municipa-lizzate), i cui azionisti sono gli stessi Enti Locali che commissionano il servizio. Un risultato acquisito dalla letteratura economica è che da tale assetto gestionale derivano conflitti d’interesse, ampie aree di inefficien-za, strutture tariffarie non basate sui costi, rendite di monopolio, scarsi incentivi all’investimento e all’innovazione4.
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Nel giugno 2001, la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura di messa in mora per la nuova disciplina qua-dro in materia di servizi pubblici locali a rilevanza industriale, contenu-ta nell’art. 35 della legge finanziaria per il 2002, in quanto non in linea con i principi di pubblicità e di messa in concorrenza di contratti di appalto pubblico di servizi o di concessione di servizi. La norma con-testata, introduce elementi concorrenziali nella gestione dei servizi pub-blici locali, ma prevede anche forme di protezione degli attuali opera-tori pubblici, tali da ridurre le possibilità di effettiva realizzazione di un regime di mercato. Sulle caratteristiche dell’assetto previsto dall’art. 35 si possono fare alcune riflessioni critiche. Si prevede di mantenere la proprietà pubblica delle reti e degli impianti, che possono essere cedu-te solo a società costituicedu-te dagli Enti Locali che ne mancedu-tengono la mag-gioranza del capitale5. Ciò può essere forse opportuno nel breve perio-do, data la rilevanza sociale di tali servizi; dovrebbe però essere anche previsto che, in prospettiva, gli operatori privati possano intervenire con la realizzazione di reti di interconnessione, in particolare laddove l’operatore pubblico non sia in grado di soddisfare la domanda di capa-cità di interconnessione richiesta da nuovi bacini di utenza.
Per prevenire il rischio di sottoinvestimento è prevista, come principio generale, la separazione tra proprietà e gestione della rete; inoltre, in caso di subentro, l’entrante deve al gestore uscente un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati6. In tal modo, l’impresa che gestisce il servizio pur non essendo proprietaria degli asset (i quali tor-nano nella disponibilità dell’Ente Locale al termine del periodo di affi-damento) non è disincentivata dall’effettuare investimenti sulla rete, oppure non è costretta a imporre tariffe elevate per ammortizzarli nel periodo di affidamento. L’impresa uscente, tuttavia, non dovrebbe uti-lizzare questo tipo di strumento per limitare l’accesso ai potenziali con-correnti per un nuovo affidamento: un ammontare eccessivo dell’in-dennizzo potrebbe costituire una barriera finanziaria all’entrata. Nel caso in cui il servizio richiede reti indivisibili e non economicamen-te duplicabili, la separazione tra proprietà e gestione delle reti e la fun-zione di erogafun-zione del servizio consente di evitare forme gestionali inefficienti (ad esempio, in economia o tramite azienda speciale) e crea le condizioni per l’entrata nel settore di una pluralità di operatori priva-ti nell’erogazione di servizi. La normapriva-tiva italiana prevede che, qualora la gestione delle reti sia separata dall’attività di erogazione del servizio, la prima possa essere ceduta mediante affidamento diretto a società di capitali con partecipazione maggioritaria degli Enti Locali, o mediante gara con procedura a evidenza pubblica per “imprese idonee”.
Un’indagine effettuata da Confservizi (tab.1) mette in luce come la quota di public utility, che fa ricorso ad affidamenti diretti, sia molto
ele-L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE
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Regolazione, concorrenza e federalismo
vata, pari al 42,5% del campione.
È questo uno dei punti oggetto della messa in mora da parte della Commissione europea, in quanto l’affidamento diretto, sottraendo seg-menti del servizio al confronto concorrenziale e favorendo il permane-re di monopoli locali, non sapermane-rebbe coepermane-rente con l’obiettivo di cpermane-reapermane-re un mercato europeo dei servizi locali, in cui non vi siano discriminazioni tra operatori. Inoltre, il divieto a partecipare a qualsiasi gara indetta su territorio nazionale, impedirebbe agli affidatari di un dato servizio di superare i confini territoriali dell’Ente Locale in cui operano e di poter considerare ulteriori opportunità di mercato.L’art. 35 prevede la tra-sformazione delle aziende locali in Società per azioni, l’apertura al capi-tale privato al di sotto del 51% e la quotazione in borsa con la cessione di quote di minoranza da parte degli Enti Locali7. Tutto ciò non signi-fica però un’effettiva privatizzazione e, dunque, svuota di molto la pre-scrizione normativa secondo la quale il servizio, “da svolgere in regime di concorrenza”8, è erogato da società di capitali individuate mediante gara con procedura a evidenza pubblica. D’altra parte la gara come strumento di concorrenza “per” il mercato9risulta efficace:
1) se ripetuta nel tempo e a intervalli non molto lunghi; ciò perché la verifica temporale, quando costituisce una minaccia credibile, incentiva il gestore del servizio a operare in modo efficiente e favo-risce la contendibilità dei mercati10;
2) in presenza di una pluralità di imprese private nel settore, altrimen-ti verrebbe meno l’ualtrimen-tilità di ricorrere alla gara e si rischierebbe il verificarsi di posizioni di monopolio locale privato, anziché pubbli-co. Risulta a tal fine indispensabile favorire il processo di privatiz-zazione, non solo formale, delle public utilitiy11.
Caratteristiche del campione Proprietà del capitale Modalità di cessione Procedure di selezione del partner N. totale imprese intervistate: 437 N. totale imprese rispondenti: 255 Maggioranza privata: 4,3% Maggioranza dell'Ente Locale: 29,0% Selezione del partner: 71,7% Quotazione in borsa: 13,2% Azionariato diffuso: 5,7% Azionariato dipendenti: 9,4% Gara a evidenza pubblica: 57,5% Affidamento diretto: 42,5%
Tabella 1 Assetti proprietari e procedure di selezione del partner
Dallo studio di Confservizi risulta, invece, che il 66,7% delle 255 impre-se di impre-servizi pubblici locali intervistate è ancora interamente in mano pubblica, mentre solo in 10 aziende la maggioranza del capitale è in mano ai privati.
I rapporti degli Enti Locali sia con le società di gestione del servizio sia con le società di gestione delle reti vengono disciplinati da contratti di servizio. Il contratto è un importante strumento di regolazione, in quanto a esso compete specificare i contenuti del rapporto negoziale compatibili con i termini di aggiudicazione della gara. Tuttavia, nell’art. 35 non si considera la natura incompleta di un contratto e non si pre-vedono aggiornamenti periodici di tali contenuti.
La durata degli affidamenti nella fase transitoria, che di norma deve essere non inferiore a tre anni e non superiore a cinque, può essere incrementata, sotto specifiche condizioni, fino a dieci anni12. La Commissione europea ha considerato con sfavore la lunghezza del periodo transitorio. Il termine previsto non può essere giustificato dalla necessità di proteggere gli attuali gestori da potenziali competitor e dal mercato o di fornire loro il tempo e il modo per “irrobustirsi” (median-te fusioni o l’aumento di par(median-tecipazione privata al capitale). Per affron-tare il problema di un soddisfacente bilanciamento tra la crescita imprenditoriale e dimensionale delle imprese esistenti e la creazione di un mercato competitivo, sarebbe, invece, preferibile un meccanismo di disincentivi economici – mediante la riduzione di trasferimenti dal bilancio dello Stato – per gli Enti Locali che ostacolano la crescita delle imprese13.
In conclusione, la critica che si può fare alle disposizioni dell’art. 35 è di non perseguire contestualmente i due obiettivi fondamentali: priva-tizzare le aziende pubbliche e liberalizzare il mercato. L’uno non può realizzarsi senza l’altro, se si vuole evitare la sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati. La riforma risulterebbe incompleta anche se si favorisse una mera trasformazione delle aziende speciali in società di capitali, a discapito di un’effettiva privatizzazione.
Infine, va menzionato un problema a volte sottovalutato, ma importan-te, quello della dimensione minima efficiente delle imprese che svolgo-no i servizi pubblici locali. Spesso la gestione, la proprietà locale porta-no per ragioni di localismo a dimensioni inefficienti. Uporta-no dei casi emblematici è quello del settore idrico, in cui vi è un ampio potere affi-dato agli Enti Locali, e per il quale gli sforzi legislativi, fatti in questi anni per cercare di razionalizzarlo, hanno avuto risultati importanti ma non definitivi. In Italia il settore idrico è caratterizzato da una grande frammentazione, circa dieci anni fa c’erano circa 13.500 fornitori del servizio in circa 9.000 comuni italiani. Certamente non era solo un pro-blema italiano, infatti, anche in Germania vi era un’analoga situazione.
L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE
In Italia anni fa fu approvata una legge che doveva spingere gli Enti Locali a una razionalizzazione: l’obiettivo era non solo di favorire la gestione da parte di operatori privati, ma anche di superare la dimensio-ne comunale di fornitura del servizio. Ma le resistenze sono state forti, perché le amministrazioni pubbliche hanno spesso preferito preservare la natura locale del servizio.
Il federalismo può essere una grande occasione per riformare e sempli-ficare lo Stato e l’intera Amministrazione Pubblica, purché si sappiano evitare gli aspetti deteriori della vocazione italiana al localismo, alla de-istituzionalizzazione della società (l’immagine è del prof. De Rita).
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1 Come è il caso del recente decreto recante “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI S.p.A., nonché delega al governo per l’emanazione del codice della radiote-levisione” (A.C. 3184).
2 Questa parte della relazione è stata preparata con l’aiuto della dott.ssa Grazia Sgarra del Centro Studi Confindustria.
3 La normativa europea di riferimento è costituita dagli articoli 43 e 49 del Trattato dell’Unione Europea e dalle direttive 92/50/CE (e suc-cessive modifiche) sull’aggiudicazione degli appalti pubblici di servi-zi e 93/38/CE sui cosiddetti serviservi-zi esclusi.
4 Cfr. L. Robotti (a cura di), I servizi pubblici locali in uno scenario
com-petitivo, in Economia pubblica, suppl. n.3, 1977.
5 Legge n. 448/2000; l’art. 35 dovrebbe sostituire l’art. 113 del “Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali” (Decreto legisla-tivo n.267/00).
6 Il punto 13 del primo comma prevede inoltre che tali società ponga-no le reti e gli impianti “a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest’ultima, a fronte di un canone stabilito dalla com-petente Autorità […]”. Tali società possono essere autorizzate anche a gestire i servizi o loro segmenti “a condizione che siano […] prati-cate tariffe non superiori alla media regionale” (punto 14 comma 1). 7 Punto 9 del primo comma.
8 Qualora sia prevista dalle discipline di settore (punto 3 comma 1). 9 Lettere (a) e (b) punto 4 del primo comma.
10 Art. 35, punto 6 comma 1 “Non sono ammesse a partecipare alle gare […] le società che, in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto […]”.