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Sistemi informativi locali e nuovo welfare: il caso della Toscana

Nel documento Quaderni del MIPA (pagine 89-94)

finora poco utilizzate, risalta in tutta la sua importanza.

Nella prospettiva di una valorizzazione delle risorse informative pre-senti a livello locale la situazione toscana appare caratterizzata da espe-rienze molto avanzate. Infatti, la legge regionale 72 del 1997, di riordi-no dell’assistenza sociale, ha anticipato sotto molti aspetti la legge nazionale 328, approvata dal Parlamento nel novembre 2000. Uno dei punti più rilevanti consiste nel fatto che la legge 72 ha perseguito per tempo l’obiettivo di costruire un sistema informativo articolato a livel-lo livel-locale.

L’architettura informativa della Toscana prevede una responsabilizza-zione del livello locale nella valorizzaresponsabilizza-zione dei dati sociali. L’articolazione territoriale del sistema informativo è complessa: vi è anzitutto il Comune, il naturale titolare delle politiche sociali e, dunque, di dati amministrativi spesso poco utilizzati. Vi è, poi, un’entità di carat-tere non strettamente amministrativo, né informativo, bensì progettua-le e di programmazione, che è l’aggregazione di comuni confinanti, costituita dalla zona socio-sanitaria, con a capo la Conferenza dei sin-daci. Si tratta di un’innovazione molto efficace, che prevede la program-mazione congiunta da parte di più Comuni, che si raggruppano secon-do linee geografiche ricalcanti, da un lato, i tratti dei sistemi economici locali, dall’altro, i confini disegnati dalle specifiche storie amministrati-ve. In tutto vi sono in Toscana 34 zone. La Conferenza dei sindaci non ha, dunque, competenze specificamente informative, ma poiché deve produrre ogni anno una relazione sociale – allegata al Piano di zona - si deve misurare con problemi informativi rilevanti. A un livello territoria-le di ordine superiore vi sono, poi, gli Osservatori sociali provinciali, che detengono, invece, una specifica competenza informativa e svolgo-no una funzione di servizio nei confronti delle zone socio-sanitarie e delle Conferenze dei sindaci per quanto riguarda la produzione del basamento informativo, che serve per la programmazione “di zona”. Il coordinamento degli Osservatori provinciali è competenza, infine, di un Osservatorio regionale.

Questo quadro, finora, ha prodotto una serie di metodologie e di espe-rienze di Osservatorio provinciale differenziate, poiché le singole real-tà si sono organizzate dal basso, facendo riferimento a consulenti scien-tifici diversi – le Università toscane, l’Istituto Regionale per la program-mazione economica della Toscana, altri consulenti – quindi a visioni e competenze specialistiche non convergenti, per quanto riguarda la pro-duzione e l’utilizzazione dei dati. Accanto alla ricchezza di indagini sul campo, che hanno dato luogo a ricerche su segmenti di popolazione specifici, occorre segnalare che tutte le esperienze di Osservatorio sono state positive sul terreno della crescita della cultura della raccolta e del-l’interpretazione dei dati locali. Da un lato, si è soprattutto puntato,

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come nell’“area vasta” di Pisa-Livorno-Massa Carrara, alla riorganizza-zione e alla lettura dei dati locali prodotti dall’Istat, che costituiscono una sorta di giacimento informativo spesso inutilizzato a livello locale. Dall’altro, queste esperienze si sono mosse nella direzione di una valo-rizzazione dei dati amministrativi. Si tratta di un aspetto particolarmen-te inparticolarmen-teressanparticolarmen-te per molti motivi. I dati amministrativi, come ricorda il Piano nazionale per l’inclusione sociale, costituiscono una fonte essen-ziale per il monitoraggio e la valutazione sia dei bisogni sia delle politi-che sociali. Infatti, le fonti amministrative sono in grado di raggiunge-re anche i soggetti che sfuggono alle analisi campionarie, come i disa-bili e i dipendenti. Il ruolo degli Osservatori, in questa prospettiva, è stato importante, per radicare una nuova “cultura del dato” presso le diverse istituzioni che operano in ambito sociale, dai Centri provinciali per l’impiego ai Provveditorati agli studi, alle Prefetture, alle ASL. Gli Osservatori che hanno operato in questa direzione, siglando protocolli d’intesa con le istituzioni che producono dati provinciali, hanno di fatto stimolato la costruzione sistematica di serie statistiche come attività che si intreccia con quella più strettamente operativa.

Un’esperienza, che ha già prodotto risultati importanti, è quella dell’Osservatorio di Arezzo, che, attraverso un uso “macro”, aggrega-to, dei dati amministrativi, ha ormai costruito serie annuali abbastanza lunghe di dati organizzati in sottoinsiemi riferiti ai singoli assi delle poli-tiche sociali: dal disagio giovanile, agli anziani, agli immigrati. La raccol-ta, l’aggregazione e la lettura a livello macro dei dati amministrativi si presentano come operazioni abbastanza elementari sotto l’aspetto tec-nico; proprio per questo tali fasi del lavoro hanno potuto essere “inter-nalizzate” da esperti dell’amministrazione provinciale di Arezzo, che ha in tale modo superato quella sorta di “dipendenza dal consulente”, che, invece, rappresenta un rischio quando si percorrono vie più difficili. Quest’esperienza, d’altra parte, ha consentito la stesura di sistematici Rapporti annuali, che costituiscono un prodotto essenziale per la veri-fica dell’effettiva coerenza del processo di produzione del dato. Tuttavia, i dati amministrativi possono essere utilizzati anche per scopi più ambiziosi. Essi sono una fonte essenziale per la ricostruzione delle “carriere assistenziali” dei soggetti, con uno sguardo “longitudinale” attento al corso di vita. Essi possono, dunque, costituire una base infor-mativa fondamentale per la progettazione di politiche davvero integra-te, come quelle politiche che sia la legge nazionale 238 sia la legge Toscana 72 pongono al centro della loro strategia. A tal riguardo, si può citare l’esperienza, ancora per certi versi a uno stadio progettuale, dell’Osservatorio di Pistoia.

Naturalmente, fino ad oggi, è apparsa più problematica la raccolta dei dati comunali, non soltanto per la notevole quantità e per le

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ni spesso limitate dei Comuni, ma anche perché le segreterie tecniche di zona non sempre hanno competenze adeguate e risorse sufficienti a svolgere questo ruolo. Per il rafforzamento di tali segreterie l’Osservatorio Sociale regionale ha chiamato in causa il Formez, e pre-sto si potrà trarre il bilancio di una prima fase di quest’esperienza. Una così grande autonomia di percorsi, ovviamente, ha prodotto anche alcune distorsioni. Infatti, la mancanza di coordinamento fra le espe-rienze di Osservatorio e il riferimento a consulenze scientifiche diffe-renziate hanno prodotto una dispersione di risorse in indagini diverse, ma finalizzate a rispondere a urgenze sociali affini (si pensi, ad esempio, al problema degli anziani, assai presente in tutto il territorio toscano). In questo quadro, occorre riconoscere che le stesse istituzioni preposte alla ricerca non svolgono un ruolo neutro: in assenza di un adeguato processo di coordinamento, la competizione fra le università, i centri e gli istituti di ricerca per accedere a questi nuovi spazi di indagine empi-rica può accentuare la mancanza di reciproca visibilità fra le varie espe-rienze che, nonostante abbiano come necessario ambito di analisi i sistemi locali, raggiungerebbero un maggior potenziale conoscitivo se potessero essere confrontate.

In alcuni casi è venuta meno anche la possibilità di responsabilizzare gli attori locali nella certificazione dei dati delle indagini promosse dall’Osservatorio regionale sulle politiche sociali. Di conseguenza, alcu-ne importanti iniziative della regioalcu-ne Toscana (come le indagini sul numero degli anziani assistiti con assistenza domiciliare e sulla spesa per assistito nei diversi territori) restano ancora in una fase sperimenta-le, ma di fatto di difficile utilizzazione. In effetti, in Toscana, occorre ancora chiarire quali siano le responsabilità dei diversi attori, quale sia il sistema di relazioni fra questi soggetti che li valorizzi e li coinvolga nella costruzione e nella certificazione di una base delimitata di dati essenzia-li alle poessenzia-litiche e omogenei per tutte le province toscane.

Un altro aspetto dell’esperienza degli Osservatori su cui occorre riflet-tere è la condivisione, per ora troppo frammentaria e parziale, della gerarchia delle rilevanze, che emerge dal dibattito sulle politiche sociali in corso nell’Unione Europea. In realtà, negli stessi assi delle politiche regionali della Toscana, nonostante la diffusa percezione dell’importan-za del tema, non figurano la povertà economica e l’esclusione sociale, e, dunque, alcune esperienze di Osservatorio mostrano un’attenzione ancora inadeguata alle diverse dimensioni dell’esclusione e al loro intreccio. Una maggior consapevolezza del dibattito europeo sugli indi-catori sociali consentirebbe di costruire una gerarchia delle rilevanze che stabilisca alcune priorità nella rilevazione dei dati. Un esempio importante sono i dati sugli abbandoni scolastici, prodotti dai Provveditorati agli studi. Infatti, soltanto alcuni Provveditorati offrono

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agli Osservatori provinciali questi dati.

Un secondo aspetto rilevante, in questo senso, è l’eccessiva separazio-ne fra Osservatori sul lavoro e Osservatori sociali provinciali, che impe-disce di rendere effettivo il processo di integrazione fra politiche del lavoro e politiche assistenziali, pilastro essenziale del nuovo welfare. Per concludere, occorre insistere contemporaneamente su due temi, seguendo un percorso concreto e incrementale, per valorizzare piena-mente le potenzialità informative disponibili a livello locale. Un primo aspetto essenziale è costituito dalla costruzione e dalla condivisione di una “base minima di dati”, scelti secondo una gerarchia delle rilevanze che ha origine nella gerarchia fra le voci più significative del program-ma di politica sociale. A questo scopo, la produzione dei dati dovrebbe restare una competenza specifica delle istituzioni locali che li detengo-no, mentre le segreterie tecniche di zona, con l’aiuto degli Osservatori provinciali, dovrebbero collaborare alla loro certificazione attraverso la diffusione di una “cultura del dato” che è per ora debole. In sede di programmazione/concertazione delle politiche, inoltre, dovrebbe avere luogo un confronto sui dati, che renda responsabili i loro produttori delle eventuali distorsioni. Infatti queste ultime non sono sempre neu-tre o casuali, ma possono invece costituire “effetti perversi” delle poli-tiche. Ad esempio, tornando al caso dell’assistenza domiciliare, si può osservare che il fatto che la regione Toscana distribuisca fondi a para-metro in base alla presenza degli anziani può spingere le singole zone socio-sanitarie a “dimostrare” con i dati l’esistenza di corrispondenti politiche per gli anziani.

Al di là di quest’obiettivo “minimo”, ma importante, è necessario guar-dare con maggiore attenzione alle singole esperienze di Osservatorio, per valorizzare e far circolare, con il metodo del “coordinamento” aper-to e dell’individuazione di “buone pratiche” informative, le esperienze di ricerca che siano in grado di avvicinarsi a una visione più “micro”, che fornisca un’immagine realistica, plasmata intorno alle storie indivi-duali e di gruppo.

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Osservatori sociali e sistemi informativi sociali

Una discussione pubblica sul tema dei sistemi informativi applicati alla programmazione di politiche sociali, in senso lato, o, più in dettaglio, di interventi socio-assistenziali è particolarmente utile e importante, vista la complessità del tema (nella trattazione del quale si intrecciano, spes-so in forma confusa, non spes-solo aspetti tecnici o di contenuto, ma anche più generali fattori o tensioni connesse con la determinazione delle forme e dei luoghi istituzionali all’interno dei quali collocare gli inter-venti stessi) e considerata, oltretutto, la sistematica carenza di informa-zioni quantitative, comparabili e armonizzate, che solitamente caratte-rizza le analisi che lo riguardano.

Anche all’Istat, nel 1999-2000, si è tentato di colmare, almeno in parte, questo deficit informativo e, inoltre, si è saggiata empiricamente la pos-sibilità di rilevare informazioni statistiche sistematiche e standardizzate (sotto il profilo definitorio e classificatorio) sull’offerta di servizi socio-assistenziali da parte dei Comuni. Nel corso del medesimo progetto, si è cercato di capire a che punto fosse il processo di adozione, all’inter-no delle amministrazioni comunali, di strumenti programmatori e di valutazione degli interventi, valutando in che misura essi fossero soste-nuti da sistemi informativi capaci di rilevare, trattare e produrre elabo-rati sulle attività svolte, sui servizi erogati, sulle risorse utilizzate, sugli utenti.

All’avvio del progetto la consapevolezza del fatto che, in generale, le amministrazioni comunali erano al centro dell’offerta di una pluralità di servizi, della promozione di un’ampia varietà di iniziative, dell’organiz-zazione diretta o mediata di interventi della natura più disparata in favo-re di numerose categorie sociali “deboli” o a rischio di esclusione socia-le, era connotata, in gran parte, in forma generica. Infatti si avevano a disposizione informazioni parziali, spesso lacunose, non omogenee su ciò che effettivamente le amministrazioni locali sviluppavano. Inoltre, non erano scontati neanche i profili dei dispositivi istituzionali e delle modalità organizzative che presidiavano l’offerta di tali interventi. Per queste ragioni, il connesso progetto di indagine fu organizzato in diver-se fasi di impostazione metodologica e comprendeva:

1) lo studio preliminare di alcuni casi notevoli, volto anche a stabilire quali caratteristiche avessero i frame istituzionali che guidavano l’of-ferta dei servizi nelle diverse regioni italiane da parte dei comuni; 2) una successiva rilevazione esplorativa tesa a saggiare la tenuta delle

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