• Non ci sono risultati.

L’attuazione del federalismo tra vincoli di solidarietà finanziaria, stabilità e crescita

Nel documento Quaderni del MIPA (pagine 33-38)

ridica e politologica. Legate al disegno di ripartizione delle competenze che la nuova Costituzione propone, ci sono contraddizioni anche pesanti, come la politica della concorrenza che viene affidata alla pode-stà esclusiva dello Stato ma, al tempo stesso, un settore come quello dei servizi pubblici locali diviene di totale competenza regionale, per cui quando i Comuni dovranno fare i bandi di gara, non è chiaro a quali normative dovranno far riferimento. Per quanto riguarda le politiche del lavoro ad esempio, la nuova Costituzione non scioglie affatto i pro-blemi di equilibrio di competenza tra Stato e autonomie locali: al cen-tro chiaramente c’è e viene costituzionalizzato il principio di sussidia-rietà ma questo principio può essere anche molto vago. Si è cercato anche di quantificare queste massicce dimensioni del trasferimento di risorse, anche se molto dipende dalle ipotesi che si fanno sulle compe-tenze esclusive e sulle compecompe-tenze concorrenti che vengono riservate dalla nuova Costituzione, per cui, ad esempio, una competenza esclusi-va attribuita a livello regionale, non può significare ovviamente la can-cellazione di quella competenza a livello nazionale, ancorché a livello statale centrale l’intera podestà legislativa venga trasferita alle Regioni. D’altra parte è impensabile che, ad esempio, venga chiuso il Ministero delle Attività Produttive, che gestisce in gran parte attività patrimonio esclusivo delle Regioni. C’è un principio da tutelare che è quello di espli-citare e di preservare la tutela dell’unità giuridica ed economica del paese; anche da questo punto di vista appare del tutto giustificato il fatto che continuino a operare in modo efficace le amministrazioni cen-trali. È stato stimato, quindi, per quanto riguarda le competenze speci-fiche delle Regioni, di attribuire alle Regioni il 90% delle risorse attual-mente in capo allo Stato. Con considerazioni analoghe nelle competen-ze concorrenti e tenendo presente che le funzioni amministrative gestionali vengono in gran parte decentrate, si è ipotizzato che il 70% delle risorse attualmente presenti nel bilancio dello Stato venga sposta-to sui bilanci delle ausposta-tonomie locali. In quessposta-to modo, si ottiene un risul-tato di 92 miliardi di euro, entità di molti punti di PIL. Rimane, poi, il tema dei rischi di lievitazione delle spese nel trasferimento di compe-tenze, in relazione al quale non va dimenticato ciò che è successo nei quattro anni che sono passati dall’approvazione delle leggi delega a oggi, in cui dovevano essere trasferite circa 20 mila persone, ma ne sono state trasferite meno della metà alle Regioni e agli Enti Locali. Il fatto che vi siano più di 60 mila unità di persone che potenzialmente possono essere decentrate, rende perfettamente l’idea di quali possano essere i problemi pratici concreti del trasferimento del personale, e quindi anche di tutti gli oneri connessi a tale trasferimento. Spaventa soprattutto l’ipotesi, caldeggiata da alcune Regioni, per cui le Regioni in qualche misura prendano dal bilancio dello Stato i finanziamenti, ma

33

non assorbano tutta quella parte di personale che dovrebbe essere asso-ciata alla gestione di tali finanziamenti. I 90 miliardi di euro, che si aggiungono alle spese regionali già emesse e agli oneri dei trasferimen-ti derivantrasferimen-ti dalle leggi Bassanini, fanno sì che i meccanismi di finanzia-mento delle spese locali identificate dal decreto legislativo n.56, vengo-no messe in crisi, perché la compartecipazione regionale al gettito dell’Iva, l’addizionale Irpef, l’imposta sulla benzina, ovviamente non sono minimamente sufficienti per coprire queste nuove spese. Infatti, per coprire quegli ammontari di spesa si dovrebbe o assegnare tutta l’Iva alle Regioni e avere un’aliquota uniforme del 30% su Irpeg, Irpef e oli minerali, oppure si dovrebbe avere, anche in questo caso, un’ali-quota uniforme di compartecipazione attorno al 45-46%. Dunque, le modifiche sull’impianto dei meccanismi delle spese sono molto consi-stenti.

Si ha l’impressione che le Regioni necessitino di entrate dinamiche, di imposte che “respirino” con la crescita dell’economia, con l’andamen-to del ciclo economico, e che, al tempo stesso, non siano concentrate su basi troppo mobili, perché, ovviamente, deve essere evitata l’espor-tazione di basi imponibili da regione a regione, che in qualche misura siano imposte in grado di riflettere, al meglio possibile, il rapporto con il territorio. Devono, dunque, essere evitate le imposte come l’Irpeg, che ancor più dell’Irap, è distribuita in maniera estremamente irregola-re a livello nazionale e che, quindi, sairregola-rebbe problematico sfruttairregola-re come una delle basi dei nuovi meccanismi di finanziamento a livello regionale. L’Iva e l’Irpef, invece, sembrano i canditati più accreditati per la coper-tura delle nuove spese.

Il tema del federalismo e della solidarietà è complicato dalla premessa politica che la spinta al forte decentramento e alla federalizzazione del paese è venuta da Regioni stanche di sostenere livelli di pressione fisca-le particolarmente efisca-levati.

Naturalmente tenendo conto del fatto che il bilancio pubblico, anche con il sistema federalizzato, dovrebbe comunque continuare a esercita-re un forte ruolo esercita-redistributivo a livello territoriale, la nuova Costituzione introduce, o meglio innova rispetto al decreto legislativo n.56, il meccanismo di un fondo perequativo, che saggiamente viene in qualche misura “sottomesso” alla gestione dello Stato: questo, nono-stante non possa specificare alcun vincolo di destinazione per i fondi che vengono trasferiti, tuttavia mantiene la possibilità di canalizzare risorse aggiuntive alle Regioni.

È chiaro, però, che le regole, che governano la funzione redistributiva territoriale, sono destinate a cambiare. Da questo punto di vista, il pro-cesso dovrebbe esser svolto secondo tre criteri: gradualità, “condizio-nalità” e “premialità”. Il criterio della gradualità del processo era stato

L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE

già sottolineato nel meccanismo del fondo perequativo del D.L. 56 e deve essere conservato e preservato anche con il nuovo federalismo. La “condizionalità” è intesa nel senso più tradizionale del termine, per cui le Regioni meno sviluppate devono avere accesso al fondo perequativo a condizione che alcune politiche vengano messe in atto, soprattutto politiche di contenimento della spesa e di efficienza nella raccolta delle entrate. Un ulteriore meccanismo vicino al primo ma non identico, è quello della “premialità”, secondo il quale alle Regioni che sono in grado di costituire un trake record particolarmente efficace di rispetto degli equilibri di bilancio, potrebbe essere garantito un maggiore acces-so al fondo perequativo.

Infine, due considerazioni sui meccanismi istituzionali che in qualche misura devono sovrintendere ai rapporti tra Stato e Regioni. Analizzando le esperienze di altri paesi, che presentano una struttura federale molto accentuata, si scopre che alcune istituzioni funzionano in modo interessante, come ad esempio in Germania il Consiglio di programmazione finanziaria e la Commissione del debito pubblico, che sono composti in maniera paritetica tra Stato e autonomie locali. Nel caso dell’Italia, lo Stato potrebbe conservare, proprio per questioni di rappresentanza internazionali soprattutto in sede comunitaria, una sorta di ruolo da primus inter pares, mentre il Consiglio di programma-zione finanziaria, come è in Germania, dovrebbe avere il compito di condividere la pianificazione dei flussi finanziari più rilevanti, quindi dovrebbe essere coerente con gli obiettivi di equilibrio del bilancio pub-blico, e dovrebbe anche assicurare lo scambio di informazioni tra Stato e Regioni. Il monitoraggio dei flussi finanziari è molto difficile, infatti i sistemi di contabilizzazione attuali consentono con enorme difficoltà di capire dove si ramifichino le spese dello Stato, o il momento in cui un euro di finanziamento transita dallo Stato alle Regioni e poi, magari, dalle Regioni al circolo esterno alla pubblica amministrazione; tutto ciò è individuabile con grande difficoltà e senz’altro non in tempo reale, quindi uno dei compiti del Consiglio di programmazione dovrebbe essere anche quello di condividere delle regole comuni, la cui definizio-ne gedefinizio-nerale spetterebbe, peraltro, allo Stato sulla base della nuova Costituzione. In conclusione, nel momento in cui Regioni e Comuni si vedono affidata, in maniera più esplicita, anche la capacità di indebita-mento esterno, se pure limitata alle spese in conto capitale, soprattutto per un Paese come il nostro con un 110% di rapporto debito PIL, è necessario che esista un quadro ordinato e coerente di emissioni dei titoli, che possa ottimizzare la politica del debito pubblico.

35

Giuseppe Vitaletti

È certamente notevole l’importanza dei controlli di efficienza nei riguardi delle spese e delle funzioni trasferite a livello locale. La Commissione tecnica per la spesa pubblica si deve occupare principal-mente del monitoraggio dei servizi degli Enti Locali, proprio per evita-re che l’aumento di questi comporti una lievitazione della spesa pubbli-ca. Probabilmente, l’aumento delle funzioni locali drammatizzerà gli squilibri territoriali nel gettito delle imposte attribuite, d’altra parte verrà certamente in evidenza il problema relativo alla conformità tra tipo di prelievo e tipo di spesa finanziata. A titolo d’esempio, si consi-deri l’imputata principale nella situazione italiana, cioè l’Irap. Tale impo-sta non solo si distribuisce assai male sul territorio, ma soprattutto è pagata dalle imprese. A favore delle imprese sono previste molteplici tipologie di intervento pubblico: la regolazione della concorrenza, la politica economica nel suo complesso, le grandi infrastrutture, gran parte dei servizi pubblici indivisibili. Si tratta, però, di funzioni di spesa che si collocano a livello nazionale, o addirittura a livello sovranaziona-le: ovviamente, infatti, la produzione non può essere regolata che in minima parte a livello locale. Volendo, dunque, dare al prelievo anche il senso di corrispettività rispetto ai servizi resi dalle amministrazioni pubbliche, evoluzione indispensabile nell’attuale contesto di economia globalizzata e di moltiplicazione dei livelli di governo, un’imposta come l’Irap assume un significato importante come fonte di finanziamento dei livelli di governo che regolano la produzione. Nella suddetta logica, la sua applicazione italiana agli Enti Locali, quale fonte principale di finanziamento della sanità, cioè di un servizio pubblico ai cittadini e non alle imprese, non sembra corrispondere a una corretta impostazio-ne.

L’IMPATTO DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE

37

Federalismo fiscale tra solidarietà e competizione

Le regole di bilancio sono essenziali per evitare che le decisioni opera-te autonomamenopera-te da ciascun enopera-te deopera-terminino effetti negativi sugli altri enti e sugli altri livelli di governo. Se il governo centrale dovesse ripetutamente intervenire per sanare i disavanzi degli enti decentrati, si comprometterebbe inevitabilmente l’effettivo decentramento delle responsabilità. Ne soffrirebbe inoltre la trasparenza dei flussi redistri-butivi.

Il passaggio da una finanza decentrata “derivata”, come quella che ha caratterizzato l’Italia negli scorsi decenni, a una finanza autonoma richiede un ripensamento delle regole di bilancio di Regioni, Province e Comuni. Alcune linee guida di tale revisione sono indicate nel nuovo testo della Costituzione, che, ad esempio, per la prima volta menziona esplicitamente la golden rule, ma non precisa ancora vari aspetti.

Le regole di bilancio vanno definite assieme alle modalità di finanzia-mento degli enti decentrati, ivi comprese quelle di carattere perequati-vo, e a procedure che assicurino informazioni esaustive, tempestive e trasparenti. Nel disegnare il nuovo insieme di regole, inoltre, è necessa-rio tenere conto dei limiti che la normativa europea pone alle soluzioni adottabili in ambito nazionale.

Un confronto fra le regole di bilancio definite a livello europeo, mediante il Trattato di Maastricht e il Patto di stabilità e crescita, e le regole degli stati federali, indica che le prime sono nel complesso molto più restrittive delle seconde. Infatti, in ambito europeo le regole sono basate su parametri numerici predefiniti; il rispetto dei parametri è richiesto non soltanto ex ante ma anche ex post; i margini di flessibilità sono predefiniti e riguardano solo eventi eccezionali; non sono previste deroghe per gli investimenti pubblici; la violazione delle regole compor-ta sanzioni monecompor-tarie predefinite. Il maggior rigore a livello europeo è dovuto al fatto che il Patto di stabilità e crescita si applica a un insieme di stati sovrani, per cui vi è una maggiore esigenza di formalizzare ex

ante delle norme, e all’assenza di uno Stato federale che possa, in ultima

istanza, porre rimedio a eventuali squilibri.

Nel valutare le implicazione delle regole di bilancio europee per la finanza decentrata si possono individuare tre aspetti problematici5. Il primo aspetto riguarda l’asimmetria dei vincoli e degli incentivi. Le regole di bilancio europee fanno riferimento alle amministrazioni pub-bliche. L’esistenza di più livelli di governo non vi ha alcun ruolo. Il punto di contatto con l’Unione Europea è il governo nazionale, che è responsabile per le sanzioni eventualmente comminate nell’ambito

Nel documento Quaderni del MIPA (pagine 33-38)