Ancora maggiori sono i problemi legati all’impatto della nuova discipli-na costituziodiscipli-nale sulla regolazione dei mercati. È superfluo ricordare che, nel giudizio più comune, la regolazione non indica l’insieme delle discipline pubbliche dell’economia, ma, in modo più ristretto, quel gruppo di funzioni pubbliche nei rapporti economici connotato dai seguenti elementi fondamentali: l’indipendenza dell’autorità pubblica regolatrice, l’affidamento alla stessa di un unico compito, la posizione di neutralità e di terzietà della stessa autorità rispetto ai rapporti inter-privati oggetto del suo intervento, la natura condizionale dei precetti di cui si compone l’intervento pubblico del mercato, il principio del giu-sto procedimento, come principio regolatore dell’azione delle autorità di regolazione, lo scopo perseguito di apprestare protezione a interessi collettivi, non pubblici.
Si conviene anche sulla morfologia delle funzioni di regolazione. Se ne identificano tre tipi. In primo luogo, vi sono i casi nei quali la regola-zione mira a garantire l’apertura dei mercati. L’esigenza di un interven-to pubblico si avverte particolarmente nei casi di liberalizzazione par-ziale dei mercati o di strozzature, barriere tecniche, risorse scarse che ne intralciano il funzionamento. In queste ipotesi, vi sono imprese che detengono posizioni dominanti sul mercato, in quanto titolari di infra-strutture e di beni essenziali per lo svolgimento dell’attività. Si conferi-scono, allora, poteri precettivi e di controllo ad autorità di settore, per-ché queste impongano alle imprese in posizione dominante responsa-bilità speciali e misure asimmetriche.
Un secondo tipo di regolazione intende assicurare il funzionamento dei mercati in ragione delle loro particolari caratteristiche tecniche e strut-turali. In questi casi, la disciplina pubblica stabilisce le modalità di asse-gnazione delle risorse scarse, senza le quali sarebbe impossibile svolge-re l’attività, e organizza lo svolgimento delle transazioni, quando queste (come è il caso dell’energia elettrica) richiedano meccanismi complessi di negoziazione.
Il terzo tipo di regolazione ha, invece, contenuti sociali e mira a garan-tire la fruizione diffusa e uniforme di servizi essenziali. L’esempio più importante si ha nella disciplina che impone obblighi di servizio pub-blico o universale.
Fino a oggi, il problema della distinzione tra le attività di regolazione e quelle di tutela della concorrenza ha rivestito scarsa rilevanza pratica, costituendo l’oggetto di ipotesi ricostruttive e di proposte di normativa riguardanti l’assetto delle autorità indipendenti. Con la riforma costitu-zionale, invece, il problema assume una rilevanza positiva, proprio in ragione della menzionata riserva al legislatore statale della competenza in materia di tutela della concorrenza. In merito si sono sostenute due diverse tesi. Da un lato, si è sostenuto che la regolazione costituisce
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anch’essa attività pubblica di tutela della concorrenza, da intendersi in senso dinamico come processo concorrenziale. Nella tutela della con-correnza, pertanto, sarebbe possibile distinguere due diversi gruppi di funzioni pubbliche, quello della tutela della concorrenza in senso stret-to, diretto alla definizione delle regole generali del gioco concorrenzia-le (antitrust, concorrenza sconcorrenzia-leaconcorrenzia-le, diritti di proprietà intelconcorrenzia-lettuaconcorrenzia-le) e quel-lo di regolazione, di tipo eccezionale, finalizzato a correggere i cosid-detti fallimenti del mercato. Accogliere una tale accezione estensiva della formula costituzionale della tutela della concorrenza introduce un elemento di semplificazione nell’interpretazione della nuova disciplina. La regolazione, infatti, seguirebbe la sorte della tutela della concorren-za e rimarrebbe riservata allo Stato, con la conseguenconcorren-za di lasciare sostanzialmente inalterato il quadro normativo in materia.
L’ipotesi alternativa, e più diffusa, invece, è quella che considera la rego-lazione un tipo di funzione pubblica che, pur riguardando, al pari di quella di tutela della concorrenza, il funzionamento del mercato, risponde, però, a finalità diverse e, in parte, alternative rispetto alla prima. Mentre nel caso della regolazione, si tratta di sostituire regole esogene all’autonoma conformazione dei rapporti tra i soggetti, nel caso della tutela della concorrenza, si tratta di assicurare che tali rappor-ti siano rispettosi di criteri generali di comportamento, diretrappor-ti a evitare l’abuso del potere di mercato.
Se si accoglie questa interpretazione, si deve conseguentemente conve-nire che il nuovo testo costituzionale pone una serie di problemi. Se ne indicano di due tipi.
Il primo deriva dall’inclusione tra le materie di potestà concorrente di due grandi servizi a rete, di tipo economico, sottoposti a un regime di regolazione amministrativa: l’ordinamento della comunicazione e la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia. Questa dislocazione di compiti pone problemi rilevanti, per ragioni tec-niche e per ragioni politiche. Per ragioni tectec-niche, perché strutture uni-tarie sono sottoposte a discipline differenziate: l’esempio più importan-te riguarda la disciplina delle reti, che hanno, invece, quale loro princi-pale caratteristica quella dell’interconnessione e dell’integrazione. Per ragioni politiche, perché le Regioni costituiscono tuttora il polo debole delle istituzioni nazionali: non hanno apparati amministrativi efficaci e hanno vertici politici precari.
Per dare risposta a questi problemi, sono state prospettate diverse ipo-tesi, tutte accomunate dalla ricerca di soluzioni che circoscrivano i mar-gini di intervento delle Regioni. La prima, più semplice sul piano con-cettuale, ma anche la più complicata sul piano effettuale, è quella della riforma del testo costituzionale per espungere le materie in questione dal novero delle potestà concorrenti.
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Una seconda ipotesi fa leva sui principi fondamentali. Infatti, si asseri-sce che le Regioni, differentemente da quanto si è stabilito nel vigore del precedente testo costituzionale, non possano dettare disposizioni, in assenza di un’enunciazione espressa di principi fondamentali: ma si tratta di soluzione di difficile praticabilità sia in ragione del contrario principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale e nella norma-tiva da circa un trentennio, sia in ragione del fatto che anche nel dise-gno di legge per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla nuova norma costituzionale si legge che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nel-l’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti”. Ora, inve-ce, si attribuisce ai principi fondamentali un contenuto così pervasivo da restringere in modo consistente l’autonomia regionale1.
Una terza ipotesi fa leva sugli altri strumenti per mezzo dei quali lo Stato può circoscrivere di fatto la competenza regionale: per esempio, la riserva di legge statale in materie quali l’ordinamento civile, la deter-minazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la tutela dell’ambiente, le opere dell’ingegno, ecc.
Una quarta ipotesi fa leva sui vincoli derivanti dall’ordinamento comu-nitario. Questi sono rilevanti, sia perché la normativa comunitaria nelle due materie indicate (energia e comunicazioni) è particolarmente importante, sia perché l’articolo 120, comma 2, Cost. prevede un inter-vento sostitutivo del governo per i casi del mancato rispetto della nor-mativa comunitaria.
Infine, si ricorda che la potestà regionale deve tenere conto di due ulte-riori vincoli: quello della libera circolazione delle persone e delle cose (articolo 120, comma 1) e quello della tutela dell’unità economica (arti-colo 120, comma 2), per la garanzia del quale, ancora una volta, può esercitarsi l’intervento sostitutivo del governo.
La seconda serie di problemi riguarda la sorte delle autorità indipenden-ti che operano nei settori di competenza concorrente ora indicaindipenden-ti (si aggiunge anche quello della previdenza integrativa e complementare). In primo luogo, ci si può chiedere se, nel nuovo assetto, sia legittima costituzionalmente la disciplina statale riguardante autorità amministra-tive operanti in questi settori. Una risposta affermativa è stata data argomentando dalle norme che riservano allo Stato la disciplina degli organi dello Stato, dell’ordinamento e dell’organizzazione amministra-tiva dello Stato, degli enti pubblici nazionali. Ma resta da capire come possano combinarsi tra loro l’istituzione di un ente e l’attribuzione a esso di compiti e risorse con la norma che impone allo Stato, nelle materie di competenza concorrente, di limitarsi a dettare principi fon-damentali, da svilupparsi da parte delle Regioni. Diverso peso ha
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mento di quanti ricordano i casi nei quali l’Unione Europea attribuisca specifiche funzioni ad autorità centrali nazionali (per esempio il caso della direttiva sulle comunicazioni). In questi casi, infatti, il vincolo deri-vante dall’obbligo comunitario sarebbe proprio per l’accentramento della funzione e legittimerebbe, di conseguenza, l’intervento esclusivo dello Stato.
Ultimo problema riguarda sempre le autorità indipendenti ed è il seguente: ci si chiede, cioè, come possono conciliarsi tra loro, in questi stessi settori, l’attribuzione con legge di poteri regolamentari alle auto-rità indipendenti, con la riserva alle Regioni delle potestà regolamenta-ri, sancita dalla Costituzione stessa in tutte le materie diverse da quelle riservate allo Stato.
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“Titolo V” e limiti per il legislatore nazionale derivanti dai vinco-li comunitari e internazionavinco-li in materia di concorrenza
Il tema dei limiti che la garanzia della concorrenza, ormai ampiamente riconosciuta nell’ordinamento comunitario e nel diritto internazionale dell’economia, pone alla legislazione nazionale, sia statale che regionale, assume particolare rilievo in Italia, a seguito della modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione.
Il nuovo Titolo V, innanzitutto, dispone in modo esplicito quel che già risultava dalla giurisprudenza costituzionale. Ciò avviene là dove il nuovo articolo 117, al primo comma, stabilisce che il legislatore nazio-nale, statale o regionazio-nale, è tenuto a rispettare la Costituzione e i vincoli che derivano dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazio-nali.
È noto che il principio di libera concorrenza e le regole che ne discen-dono - le quali vietano comportamenti di imprese finalizzati ad altera-re l’equilibrio competitivo, come le intese altera-restrittive, gli abusi di posizio-ne dominante e le concentrazioni limitative della concorrenza - costi-tuiscono un’acquisizione consolidata del diritto comunitario e stanno penetrando anche in alcuni accordi internazionali, come quelli stipulati nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio. La legislazio-ne dello Stato e delle Regioni, dunque, è tenuta al rispetto del principio e delle regole di concorrenza derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Il diritto comunitario detta norme sulla concorrenza che hanno imme-diata applicazione nell’ordinamento nazionale: è così per gli articoli 81, primo comma, e 82 del Trattato, che vietano le intese restrittive e gli abusi di posizione dominante. In questi casi, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale, le norme interne, statali o regionali, che siano in contrasto con disposizioni comunitarie aventi efficacia diretta, sono soggette a disapplicazione. Come ha chiarito la Corte di Giustizia in una recente pronuncia su un rinvio pregiudiziale relativo a un caso italiano, le stesse Autorità nazionali di concorrenza procedono alla disapplicazione, ove la norma interna imponga o faciliti un comporta-mento d’impresa restrittivo della concorrenza e la decisione di disappli-care sia adottata a seguito di una procedura formale per l’accertamento dell’illecito anticoncorrenziale in applicazione degli articoli 81, primo comma, e 82 del Trattato. Nel caso di specie, le norme interne da disap-plicare affidavano a un consorzio il potere di ripartire le quote di pro-duzione tra le imprese aderenti, offrendo supporto a una forma