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5. Differenti approcci di critica delle traduzioni

5.5. Approccio critico orientato al sistema di arrivo: Gideon Toury

A proposito di Gideon Toury e della sua teorizzazione di un tipo di studio descrittivo della traduzione, molto è stato già detto nei paragrafi 5.5 e 5.6 del secondo capitolo del presente lavoro.

Nel paragrafo che segue, dunque, si riprende il discorso a partire dalla concezione della traduzione orientata al sistema di arrivo e si richiama l’attenzione sulle norme traduttive, al fine di rendere evidenti i legami tra l’approccio descrittivo della traduzione e il Translation Criticism.

La molteplicità delle norme traduttive, nella prospettiva della critica delle traduzioni, è seguita da due fattori: la specificità socio-culturale e l’instabilità delle norme stesse (Toury 1995:62). Ciò significa che ogni norma ha la sua valenza all’interno di una data realtà, nell’ambito

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di una determinata società e di un delimitato contesto culturale, e che l’eventuale validità di certe norme all’interno di culture differenti è solo una mera coincidenza, laddove non si tratti del risultato di continui contatti tra sistemi culturali differenti, che danno esito a manifestazioni di interferenza di valori. Inoltre, per loro naturale specificità, le norme sono instabili, mutevoli nel corso del tempo, con maggiore o minore rapidità.

Il comportamento delle norme si ripercuote nel processo del tradurre e l’esito globale è visibile nel prodotto della traduzione, di cui si occupa, in maniera retrospettiva, il critico delle traduzioni.

Le norme di per sé non sono direttamente osservabili; tuttavia Toury presenta due tra le maggiori fonti per la ricostruzione delle norme traduttive (Toury, 1995:65):

a) la fonte testuale: gli stessi testi tradotti, per tutti i tipi di norme, come anche inventari analitici delle traduzioni (ad es. testi “virtuali”), per varie norme preliminari;

b) la fonte extra-testuale: formulazioni semi-teoriche e critiche, quali le teorie traduttologiche “prescrittive”, le affermazioni fatte dai traduttori, dagli editori, e da altre persone coinvolte o interessate a tale attività, le valutazioni critiche di traduzioni individuali, l’attività di traduttori o “scuole” di traduttori, e così via.

Tra i due tipi di fonte esiste una fondamentale differenza: i testi sono prodotti primari di un certo comportamento regolato da norme e, pertanto, possono essere considerati come loro immediate rappresentazioni; i pronunciamenti normativi, al contrario, sono semplicemente sottoprodotti dell’esistenza e dell’attività delle norme. Come ogni tentativo di formulare una norma, essi sono parziali e non obiettivi, possono derivare da divergenze, perfino da contraddizioni, tra argomenti e richieste, da un lato, e comportamenti effettivi e risultati concreti, dall’altro, dovute alla soggettività, all’ingenuità, o anche alla mancanza di sufficiente conoscenza da parte di chi produce tali formulazioni (Toury, 1995:65-66).

Nonostante tali riserve, tuttavia, le formulazioni semi-teoriche e critiche non perdono la loro valenza di fonti legittime per lo studio delle norme. Esse devono essere considerate come pre-

sistematiche e devono essere accompagnate da spiegazioni che le collochino in un preciso e

delimitato contesto, devono essere messe a confronto tra loro e con i modelli costituiti dal comportamento reale e dalle norme ricostruite tramite esse (Toury, 1995:66).

Sarebbe comodo per il critico basarsi su norme isolate che descrivano il comportamento della traduzione; tuttavia, ciò non è fattibile, in quanto la traduzione è intrinsecamente multi-

dimensionale, nel senso che i fenomeni da essa implicati sono strettamente intrecciati e non

possono essere considerati isolatamente, neppure a fini metodici. Il critico della traduzione, dunque, non può agire in modo “paradigmatico”, elencando semplicemente le norme distinte o “normemes” (Toury, 1995:66); piuttosto, egli deve procedere in maniera “sintagmatica”, attuando l’integrazione di normemi appartenenti a vari tipi di problemi.

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Oltre a ciò, il critico non può aspettarsi che il comportamento del traduttore sia del tutto sistematico. Il suo processo decisionale, di fatto, può essere differente in base ai diversi tipi di problematiche traduttologiche, ma anche variare in modo irregolare nell’ambito di una singola problematica traduttiva. Ne consegue che l’uniformità nel comportamento traduttivo è una nozione graduata – e non polarizzata: totale eresia/assoluta regolarità – che si può definire solo alla fine dell’analisi traduttiva e non può essere data come presupposto (Toury, 1995:67).

La costituzione di un metodo per la critica descrittiva delle traduzioni, secondo Toury, deve partire dall’assunto che i testi presi in esame sono traduzioni, e non opere originali. Riconoscere che il testo analizzato non è frutto della cultura di arrivo, ma in essa si colloca in quanto traduzione, costituisce il fondamento della concezione traduttiva orientata al testo di arrivo. Ciò che più conta, per il nostro studioso, è sapere che il testo fonte esiste, che vi è un originale inserito nella propria cultura, ma non necessariamente esso deve costituire oggetto di studio per stabilire un confronto con il testo tradotto. Il metodo analitico concepito da Toury focalizza la sua attenzione, piuttosto, sulle costituenti del testo di arrivo, al fine di valutare l’accettabilità della traduzione nel sistema ricevente (Toury, 1995:70-71).

La prima fase di studio del testo tradotto prevede vari tipi di confronto, che forniscano considerazioni circa la sua accettabilità. Anche quando il testo originale non è fisicamente presente in questa fase comparativa iniziale, la sua presupposta esistenza è un fattore costantemente considerato. Il confronto più semplice, dunque, sarebbe quello tra varie traduzioni di quel determinato testo nella stessa lingua realizzate in un certo arco di tempo. Un simile confronto farebbe luce tanto sulla realizzazione superficiale della traduzione, sia sulla sua collocazione, o valenza, nella cultura di arrivo (Toury, 1995:72).

La difficoltà di questo metodo subentrerebbe qualora le traduzioni parallele a disposizione apparterrebbero a contesti temporali molto distanti tra loro, in quanto la lingua utilizzata per la traduzione porterebbe in sé delle modificazioni, poiché ogni lingua, per sua natura, è soggetta a costanti modificazioni (Toury, 1995:73).

Un altro possibile metodo comparativo sarebbe quello di porre a confronto differenti fasi dell’emergere di una singola traduzione, tentando di tracciare il modo in cui il traduttore vacilla tra differenti concezioni di accettabilità (Toury, 1995:73).

Infine, possono essere messe a confronto differenti traduzioni dello stesso testo in lingue diverse, al fine di valutare l’impatto di vari fattori sulla realizzazione della traduzione, prestando attenzione agli elementi con valore universale e a quelli che, invece, possiedono una certa specificità culturale o linguistica (Toury, 1995:73-74). Come Toury conferma, le differenze tra tradizioni linguistiche e culturali diverse sono più difficili da gestire rispetto alle differenze temporali interne alla stessa tradizione. Pertanto, il confronto verte, in questo caso, non tanto sui singoli testi tradotti, ma sulle analisi separate delle varie traduzioni (Toury, 1995:74).

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Avendo a disposizione il testo originale, il critico potrebbe indagare le relazioni traduttive attraverso una mappatura del testo di arrivo sul testo di partenza, che porterebbe ad assegnare lo status di “soluzione” traduttiva a vari costituenti del testo di arrivo, considerati “fenomeni traduttivi”. In tal modo ciascuna soluzione del testo di arrivo non si limiterebbe ad implicare semplicemente l’esistenza di un corrispondente “problema” nel testo originale; piuttosto, i due elementi (segmento sostituente + segmento sostituito) si determinerebbero a vicenda (Toury, 1995:77).

L’individuazione dei problemi traduttivi è, dunque, il risultato di un’analisi comparativa retrospettiva, uno dei cui risultati mostra come ciò che in una certa mappatura costituisce un problema traduttivo, non lo è, invece, rispetto ad un’altra coppia di testi messi a confronto, neppure quando si tratta di una differente traduzione dello stesso originale (Toury, 1995:78).

Uno dei maggiori obiettivi del confronto tra segmenti corrispondenti del testo tradotto e dell’originale è sempre stata l’identificazione dei mutamenti (shift) rispetto al testo di partenza. Toury ritiene che sia stata assegnata eccessiva enfasi a tale nozione, ma soprattutto contesta il tipo di ragionamento negativo in materia di mutamenti traduttivi, che finisce per trascurare gli elementi rilevanti di una particolare traduzione. La sua convinzione è che se si comprende fino in fondo cos’è la traduzione, andando oltre la definizione di buona e cattiva traduzione, dunque studiando il tradurre in termini positivi, si possono individuare i fattori determinanti nello stabilire le relazioni traduttive tra i due testi esaminati (Toury, 1995:84-85).

Sebbene l’indagine rivolta all’individuazione dei mutamenti sia praticata di frequente, Toury ritiene che questa non debba essere fine a se stessa: assieme alla definizione delle relazioni traduttive, l’identificazione dei mutamenti costituisce, infatti, una delle tappe lungo il percorso descrittivo della traduzione, per cui, attraverso tali “procedure di scoperta”, il critico giunge alla formulazione di “ipotesi esplicative”, le quali richiedono, alla base, una definizione del concetto di traduzione (Toury, 1995:85).

È il ramo teorico della disciplina (Theoretical Translation Studies) a fornire al ramo descrittivo (Descriptive Translation Studies) l’apparato per descrivere tutti i tipi di relazione che possono sussistere tra il testo originale e la traduzione. Subentra qui il concetto di “equivalenza traduttiva”, la quale assume ora una valenza differente rispetto ad altre teorie traduttologiche134. Non si tratta, infatti, di una semplice relazione tra testo di partenza e testo di arrivo stabilita sulla base di un determinato genere di costante, ma di un concetto “funzionale-relazionale”, vale a dire,

134 La nozione di equivalenza, nella concezione di Toury, di per sé riveste un’importanza relativa.

Essenzialmente, può servire a definire un concetto complessivo di traduzione soggiacente al corpus testuale in analisi, tenendo conto delle costrizioni (contraints) che hanno agito sul tradurre, e del processo decisionale (decision-making) attuato in funzione delle costrizioni. Inoltre, la nozione di equivalenza può essere utile al fine di spiegare – in ordine inverso rispetto a quello delle procedure di ricerca descritte in precedenza – l’intera rete di relazioni traduttive, le singole coppie “problema+soluzione” (per esempio, rappresentando effettive unità di traduzione in funzione delle norma dominante di equivalenza nella traduzione), e le rappresentazioni linguistico-testuali delle soluzioni di traduzione, per questo definite come fenomeni traduttivi di superficie (Toury, 1995:86).

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un sistema di relazioni che permette di distinguere una traduzione appropriata da una inappropriata, in virtù della performance linguistica adeguata rispetto alla cultura in questione (Toury, 1995:86).

Toury aggiunge il concetto di equivalenza “potenziale”. Tale concetto deriva dall’idea che ogni tipo di relazione tra originale e traduzione può entrare a far parte della nozione di equivalenza traduttiva, per cui l’intera serie delle possibili relazioni, che può funzionare ai fini di un’analisi descrittiva della traduzione, costituisce l’equivalenza “potenziale”, la quale appartiene alla sezione teorica della disciplina. Tuttavia, quando qualsiasi parte di tale equivalenza potenziale serve a descrivere alcuni fenomeni osservabili, si produce un’equivalenza “attualizzata” (o “realizzata”), che trova posto all’interno degli studi descrittivi della traduzione. Metodologicamente, ciò significa che il critico constata l’esistenza di equivalenza tra il testo originale e la traduzione; da accertare è la maniera in cui si giunge a tale assunto, ovvero indagare ciò che rimane invariato e ciò che viene trasformato dal processo traduttivo (Toury, 1995:86).

Trattandosi di traduzioni letterarie – ossia traduzioni il cui prodotto è accettabile come letterario nella cultura ricevente135 – l’area di studio del critico non è mai il testo come entità in sé, ma ciò che il testo può rivelare a proposito del processo che ha portato alla sua realizzazione: le opzioni a disposizione del traduttore, le scelte da lui effettuate e le costrizioni che hanno determinato tali scelte.