5. Le principali teorie contemporanee della traduzione
5.1. L’approccio linguistico nello studio della traduzione
Come più volte sottolineato, l’avvio della fase scientifica dello studio della traduzione si segnala in concomitanza alle prime ricerche sulla traduzione automatica, che crea repentinamente la necessità di affrontare il problema dal punto di vista della linguistica. Il dibattito verte su due concetti-chiave: significato ed equivalenza.
Tra i primi ad occuparsi della questione è Roman Jakobson che, nel suo articolo “On linguistic Aspects of Translation” (1959)45, richiama l’attenzione sul fatto che la scienza del linguaggio si serve, in modo implicito o esplicito, della traduzione per interpretare un campione linguistico. Il linguista strutturalista, inoltre, descrive tre tipi di traduzione: endolinguistica (o riformulazione, ovvero interpretazione dei segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua); interlinguistica (o traduzione propriamente detta, cioè interpretazione dei segni linguistici per mezzo di un’altra lingua); e intersemiotica (o trasmutazione, ossia interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici) (Nergaard, 1995:53). Jakobson si dedica, inoltre, alla questione dell’equivalenza di significato: partendo dalla constatazione che “non esiste equivalenza assoluta tra le unità codificate”, giunge alla conclusione che “la traduzione implica due messaggi equivalenti in due codici diversi” ed afferma che “l’equivalenza nella differenza è il problema centrale del linguaggio e l’oggetto fondamentale della linguistica” (Nergaard, 1995:54). Jakobson supera in modo pragmatico anche il dogma dell’intraducibilità, sostenendo che “Ogni esperienza conoscitiva può essere espressa e classificata in qualsiasi lingua esistente. Dove vi siano delle lacune la terminologia sarà modificata e ampliata dai prestiti, dai calchi, dai neologismi, dalle trasposizioni semantiche e, infine, dalle circonlocuzioni” (Nergaard, 1995:56).
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Sull’opinione se la traduzione debba essere considerata come un’operazione che rientra nei confini dell’analisi linguistica, si riscontrano i pareri divergenti dei traduttori e degli studiosi. Il più fervente sostenitore del principio che la traduzione è innanzitutto un’operazione linguistica è Andrej Venediktovič Federov (Introduzione a una teoria della traduzione, 195346), il quale specifica che il punto di vista linguistico nell’analisi della traduzione non esclude gli altri, ma li precede e li condiziona, perché qualsiasi fatto di traduzione implica innanzitutto un fatto di lingua. Alla sua teoria si oppone Edmond Cary, nel suo volume La traduction dans le monde moderne (1956), secondo cui la traduzione non è un’operazione linguistica, ma un’operazione sui generis, impossibile a definirsi in altro modo che per se stessa, irriducibile a qualunque altro campo scientifico.47 In disaccordo con Federov sono, altresì, gli studiosi sovietici, sostenitori dell’approccio letterario, mentre parere favorevole è espresso da Georges Mounin, il quale condivide l’idea che “la traduzione non è mai un’operazione unicamente né totalmente linguistica, ma è prima di tutto e sempre un’operazione linguistica”, poiché, aggiunge Mounin, la traduzione “deve in primo luogo desumere dalla linguistica generale quelle risposte che essa fornisce o può fornire ai suoi problemi specifici: che cos’è il senso di un enunciato linguistico? che cosa sono gli imponderabili della lingua detta “affettiva”, o della lingua estetica che scoraggiano i traduttori?”(Mounin, 1965:70-74).
Le questioni di significato, equivalenza e traducibilità diventano, dunque, una costante del dibattito traduttologico negli anni ’60 e stanno alla base dell’approccio scientifico con cui gli studiosi affrontano la traduzione. Tra questi si segnalano, in particolare: Eugene Nida (Toward a
Science of Translating, 1964)48, ideatore dei concetti di equivalenza formale ed equivalenza dinamica49 e del principio dell’effetto equivalente50, rappresentante di un approccio linguistico
46 Titolo originale: V vedenie v teoriju perevoda, Moscou, Institut des littératures en langues
étrangères.
47 Cary ritiene che la traduzione letteraria non è un’operazione linguistica, ma un’operazione
letteraria ed aggiunge che si tratta di un’arte, irriducibile a nessun’altra, condividendo questa concezione con altri teorici quali Savory (1957), Toper (1979), Newmark (1982) e Steiner (1978). Cfr. E. Cary, La traduction
dans le monde moderne, Librairie de l’Université Georg S.A. Genève, 1956, p. 18.
48 E. Nida, Toward a Science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures Involved in Bible Translating, E. J. Brill, Leiden, 1964.
49 “L’equivalenza formale focalizza la sua attenzione sul messaggio in sé, sia nella forma che nel
contenuto. [...] Il messaggio nella lingua di arrivo dovrebbe corrispondere il più possibile con i diversi elementi della lingua di partenza” (Nida, 1964:159). L’equivalenza formale è dunque fortemente orientata alla struttura del testo di partenza, che esercita una massiccia influenza nel determinare la correttezza e la precisione. Essa si riferisce per lo più alle traduzioni scolastiche volte all’apprendimento della lingua e delle sue strutture. L’equivalenza dinamica è basata su quello che Nida definisce “il principio dell’effetto equivalente”, per cui “la relazione tra ricevente e messaggio dovrebbe essere sostanzialmente la stessa di quella che è esistita tra i recettori dell’originale e il messaggio”(Nida 1964:159). Quest’approccio orientato al ricevente considera essenziali ai fini della naturalezza l’adattamento della grammatica, del lessico e dei riferimenti culturali; la lingua del testo di arrivo non deve essere influenzata dalla lingua originale, e l’estraneità del testo di partenza risulta minimizzata.
50 Per Nida, il successo della traduzione dipende soprattutto dal raggiungimento dell’effetto
equivalente. Questo principio fa parte delle quattro condizioni indicate da Nida come essenziali per la traduzione: “avere senso; trasmettere lo spirito e lo stile dell’originale; avere una forma d’espressione naturale e semplice; produrre un responso simile” (Nida, 1964: 164).
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sistematico che, nonostante le critiche rivoltegli da teorici tra cui Lefevere, van den Broeck, Larose, Gentzler, ha esercitato una forte influenza su altri importanti traduttologi, quali Peter Newmark, teorico della traduzione semantica e comunicativa51 e Werner Koller, sostenitore del concetto di corrispondenza ed equivalenza52. La nozione di equivalenza continua ad essere illustrata nel corso degli anni ’70 ed oltre da definizioni che ne mettono in evidenza tanto la centralità all’interno del campo di studi della traduzione (cfr. Andrew Chesterman53, 1989; Michel Ballard54, 2001), quanto la sua problematicità (cfr. Mona Baker55, 1992; Susan Bassnett56, 1980). Ad una definizione prescrittiva di equivalenza si oppone la moderna prospettiva di indagine descrittiva, rappresentata dal suo fautore, Gideon Toury, il quale, considerando come data l’equivalenza tra il testo di partenza e il testo di arrivo, insiste piuttosto nell’identificazione della rete di relazioni tra i due testi.57
Anche dalla recente analisi di Anthony Pym58, il quale ritiene che l’equivalenza, intorno agli anni ’50, sia non solo lo scopo della traduzione, ma anche il parametro attraverso cui le scienze del linguaggio potrebbero analizzare le traduzioni, si deduce una palese problematizzazione del concetto di equivalenza, che dovrebbe fare i conti con l’esistenza di un concetto rivale,
51 Newmark considera illusorio il principio dell’effetto equivalente postulato da Nida e ritiene che il
divario tra la lingua di partenza e la lingua di arrivo rimane una costante nel dibattito sulla traduzione, sia a livello teorico che pratico. La soluzione che Newmark propone per ridurre tale divario consiste nella definizione di traduzione “semantica” e traduzione “comunicativa”: la traduzione comunicativa mira a produrre sui suoi lettori un effetto quanto più vicino a quello ottenuto sui lettori dell’originale; la traduzione semantica intende rendere, tanto più quanto le strutture semantiche e sintattiche della seconda lingua consentono, l’esatto significato contestuale dell’originale. Cfr. P. Newmark, Approaches to Translation, Pergamon Press, London, 1981, p. 39.
52 Il teorico tedesco esamina il concetto di equivalenza in traduzione in rapporto a quello di
corrispondenza relativo alla linguistica contrastiva, la quale mette a confronto due sistemi linguistici e descrive, in maniera contrastiva, le differenze e le analogie; viceversa, l’equivalenza si riferisce a coppie di passaggi equivalenti del testo originale e del testo tradotto, esaminati al fine di verificare se le condizioni rilevanti del testo di partenza (contenuto, forma, stile, funzione, etc.) sono mantenute nel testo di arrivo. (Koller, 1979: 186-187). Koller distingue cinque tipi differenti di equivalenza: denotativa (equivalenza del contenuto extralinguistico di un testo), connotativa (altrimenti detta equivalenza stilistica, correlata alla scelta lessicale), testo-normativa (regolata dal tipo di testo), pragmatica (detta anche equivalenza comunicativa, orientata al lettore), formale (o equivalenza espressiva, basata sulla forma e lo stile del testo). Cfr. W. Koller,
Einführung in die Übersetzungswissenschaft, Quelle & Meyer, Heidelberg, 1979, pp. 187-191.
53 “L’equivalenza è ovviamente un concetto centrale nella teoria della traduzione”. [Trad. nostra].
Cfr. A. Chesterman, Readings in Translation Theory, Finn Lectura, Helsinki, 1989, p. 99.
54 “La nozione di equivalenza è nel cuore della nuova concezione, realista, della traduzione; essa
rappresenta la natura della relazione che si può sperare di stabilire tra un testo e la sua traduzione” [Trad. nostra].Cfr. M. Ballard, Le Nom propre en traduction, Paris, Ophrys, 2001, p. 29.
55 “L’equivalenza è influenzata da una varietà di fattori linguistici e culturali ed è, pertanto, sempre
relativa”.[Trad. nostra]. Cfr. M. Baker, In Other Words: A Coursebook on Translation, Routledge, London/New York, 1992, p. 6.
56 “La traduzione implica molto di più della sostituzione delle unità lessicali e grammaticali tra le
lingue... una volta che il traduttore abbandona la stretta equivalenza linguistica, i problemi di determinare l’esatta natura del livello di equivalenza desiderata iniziano ad emergere” [Trad. nostra]. Cfr. S. Bassnett- McGuire, Translation Studies, Routledge, London/New York, 1980, p. 25.
57 Cfr. G. Toury, In search of a Theory of Translation, The Porter Institute, Tel Aviv, 1980, p. 57. 58 A. Pym, “Western translation theories as responses to equivalence”, 2009, basato su un discorso
tenuto nel quadro dell’Innsbrucker Internationale Ringvorlesung zur Translationswissenschaft, Universität Innsbruck, March 12, 2008. Consultato in formato elettronico, sul sito http://usuaris.tinet.cat/apym/on- line/translation/2009_paradigms.pdf, in data 15.06.2012.
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l’indeterminatezza. Rispetto al passato, inoltre, secondo Pym, i più recenti modelli di studio della traduzione si concentrano su aspetti e problemi, che le teorie dell’equivalenza avevano ignorato. Le nuove tendenze di studio alle quali Pym accenna sono: la teoria funzionale (nota anche come
Skopostheorie), che indaga il ruolo dominante del testo di partenza; il relativismo storico e
culturale (che sfida ogni equazione di equivalenza assoluta); la localizzazione (che in modo ingannevole offusca le divisioni tra traduzione e adattamento); e la traduzione culturale (che vede la traduzione nei termini di processi interpersonali, piuttosto che come questioni di testi).