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5. Differenti approcci di critica delle traduzioni

5.2. Metodi di natura comparativa

5.2.1. Wolfram Wills

Uno dei primi riferimenti alla critica delle traduzioni è quello che Wolfram Wills inserisce nel nono capitolo (il penultimo) del suo volume Übersetzungswissenschaft. Probleme und

Methoden, del 1977, dove la critica delle traduzioni è definita “una sottodisciplina della ricerca

traduttologica applicata” (Wills, 1977/1982:217).

Il primo concetto determinante per la critica delle traduzioni, secondo Wills, è quello relativo alla competenza traduttiva. Si tratta di un concetto che implica varie sfaccettature: si può, infatti, distinguere la competenza linguistica da quella extralinguistica; ed all’interno della competenza linguistica, si può ancora individuare la competenza recettiva della lingua di partenza e la competenza riproduttiva nella lingua di arrivo (Wills, 1977/1982:218). Il concetto comprensivo di competenza è particolarmente necessario per la critica delle traduzioni, in quanto per ben comprendere il processo traduttivo, occorre essere consapevoli del fatto che ogni traduzione è soggetta al principio dell’individualità traduttiva, che ne fa un evento singolare ed irripetibile, nel senso che ogni traduzione dipende dall’abilità del traduttore di recepire il testo originale e dalle sue attitudini stilistiche, che non costituiscono dei fattori costanti, bensì degli elementi instabili che conducono a risultati differenti, qualora uno stesso traduttore traduca lo stesso testo un certo numero di volte in un certo arco di tempo (Wills, 1977/1982:219).

L’essenza della critica delle traduzioni, per Wills, consiste nella presenza di due testi, l’originale e la traduzione, che devono essere messi a confronto. Il critico, fondamentalmente, deve esaminare le concretizzazioni di questi due testi, prendendo in considerazione la loro relativa convergenza qualitativa riguardo a tre aspetti testuali: l’aspetto funzionale, l’aspetto costitutivo e quello recettivo (Wills, 1977/1982:220).

Nel far ciò, il critico deve portare a termine tre compiti (Wills, 1977/1982:220): 1. confrontare il testo originale e la traduzione;

2. ricostruire i processi psicolinguistici che conducono al testo di arrivo;

3. tentare di estrapolare una formula per la misurazione dell’adeguatezza intertestuale. La realizzazione di tali obiettivi è possibile solo se il critico combina due abilità: l’abilità di riconoscere espressioni equivalenti/non-equivalenti nel contesto della sua competenza intertestuale; e l’abilità di tradurre nel contesto della sua stessa competenza traduttiva (Wills, 1977/1982:220). In altre parole, il critico della traduzione deve operare a ritroso: deve volgere all’indietro la procedura

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traduttiva al fine di ritrovare, in maniera logica e coerente, i fattori che hanno contribuito alla produzione di un tale testo di arrivo. La difficoltà, tuttavia, consiste nel fatto che, nella maggior parte dei casi, il critico non è a conoscenza delle condizioni da cui è sorta la traduzione; egli, di fatto, agisce a partire dalla posizione determinata dalla sua personale concezione delle norme di equivalenza traduttiva e dalla sua attitudine rispetto alla ricezione del testo.

Il punto debole della critica delle traduzioni, legato alla mancanza di oggettività nel valutare il modo in cui il traduttore ha operato, potrebbe essere affrontato sviluppando una tassonomia di criteri traduttivi che garantiscano una sistematica descrizione, spiegazione e valutazione del testo di arrivo (Wills, 1977/1982:221-222).

Uno dei primi criteri da appurare è la definizione del binomio “norma/deviazione”, da cui deriva la distinzione di quattro tipi di relazioni rilevanti ai fini della critica delle traduzioni (Wills, 1977/1982:222):

1. La relazione tra norma e deviazione nell’ambito della langue;

2. La relazione tra norma e deviazione rispetto alle “norme d’uso” a livello linguistico e indipendentemente dalla situazione;

3. La relazione tra norma e deviazione rispetto alle “modalità di attualizzazione” che dipendono dalla situazione;

4. La relazione tra norma e deviazione nell’ambito della parole, ossia nei casi in cui la traduzione ha luogo come “processo di selezione tra variabili complesse”.

Wills considera relativamente non problematica l’analisi degli errori, basata sul binomio giusto/sbagliato, dove la competenza del traduttore e del critico sarebbero alla pari. Maggiormente intricato sarebbe, invece, l’approccio rivolto all’uso linguistico individuale, in cui la ricostruzione della lingua del testo tradotto implica il fattore dell’attività creativa e dell’innovazione stilistica.

Un tentativo di oggettivazione della critica delle traduzioni sarebbe, apparentemente, da ricercare nell’ambito delle norme d’uso comunicativo, poiché, secondo Wills, tra la lingua di partenza e la lingua d’arrivo sembra esistere un considerevole numero di modelli linguistici comportamentali e di regole restrittive, cosicché l’effetto comunicativo di una traduzione sarebbe determinato dall’attualizzazione, da parte della lingua d’arrivo, di inventari interlinguisticamente correlabili (Wills, 1977/1982:222). Tuttavia, la ricorrenza di tali modelli interlinguistici comporta due aspetti, uno positivo, l’altro negativo: l’aspetto positivo consiste nel fatto che, nell’ambito dei modi d’esprimersi standardizzati o “normalizzati” dal punto di vista comunicativo, il critico della traduzione può investigare la competenza comunicativa con un ampio grado di oggettività; l’aspetto negativo, invece, è legato al fatto che, soffermandosi sui modelli interlinguistici, si rischia di cadere nel riduzionismo, mettendo in atto tecniche di riproduzione testuale meccaniche, incentrate su modelli comportamentali associativi, che tendono a sorvolare sulle procedure traduttive motivate da scelte stilistiche (Wills, 1977/1982:223).

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Del resto, però, la critica delle traduzioni si può opporre al riduzionismo senza compromettere la sua oggettività: ciò è possibile mettendo a confronto le molteplici possibilità traduttive di uno stesso testo. A tal fine, Wills offre una griglia utile alla schematizzazione di tale confronto, nella quale compaiono i tre livelli linguistici – sintassi, semantica e pragmatica – da qualificare sulla base dei seguenti attributi: sbagliato, inappropriato, indefinibile, corretto, appropriato (Wills, 1977/1982:226).

Tale griglia costituirebbe un tentativo di fornire maggiore rigore metodologico alla critica delle traduzioni e potrebbe suggerire le seguenti conclusioni in materia: in primo luogo, la traduzione è un processo dinamico, che include la componente creativa ma anche la formulazione non creativa, per cui consente solo in parte l’applicazione di criteri traduttivi e critici intersoggettivi; in secondo luogo, le considerazioni traduttive e critiche possono raramente, se non in nessun caso, raggiungere il livello del rigore delle scienze naturali, poiché il tradurre è un caso di uso linguistico che limita il raggio di applicabilità dei risultati traduttivi e critici; inoltre, la traduzione non può essere esaustivamente indagata senza tenere conto della persona del traduttore; infine, l’approccio linguistico rimane, comunque, fondamentale per l’analisi delle traduzioni, in quanto consente al critico di differenziare, sistematizzare e valutare i fattori linguistici e situazionali e le regole che agiscono nel processo traduttivo. Con la sua prospettiva macrotestuale, la critica delle traduzioni intenderebbe bilanciare gli aspetti positivi e quelli negativi del lavoro del traduttore e, possibilmente, fornire espliciti criteri di accettabilità rivolti ad una metodologia traduttiva basata sulla linguistica del testo, e dunque distinguere tra una verità generale e del testo e gli aspetti veritieri legati all’individualità del traduttore (Wills, 1977/1982:227).