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3. Translation Quality Assessment

3.1. Katharina Reiss

Il primo contributo sistematico in questo ambito di ricerca traduttologico è fornito dalla studiosa tedesca Katharina Reiss, autrice del volume Möglichkeiten und Grenzen der

Übersetzungskritik (1971), che fonda le sue considerazioni sul concetto di equivalenza tra il testo

tradotto e il suo originale.

Il punto d’inizio delle sue riflessioni sulla valutazione dei testi tradotti corrisponde ad un’esatta definizione della traduzione e del compito del traduttore:

Traduire est un processus bipolaire qui s’accomplit dans un mouvement constant d’aller et retour entre le texte-source et le texte-cible. Le traducteur doit

112 S. Lauscher, “Translation Quality Assessment. Where Can Theory and Practice Meet?” in C.

Maier (ed.), Evaluation and Translation, The Translator, vol. 6, nr. 2, 2000, St. Jerome Publishing, Manchester, 2000, pp. 149-168.

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s’efforcer sans cesse de trouver des équivalences optimales en langue d’arrivée tout en revenant systématiquement au texte de départ pour s’assurer qu’elles sont adéquates.113 (Reiss, 1971/2002:16)

Pertanto, stando alla presente definizione di traduzione, incentrata sul concetto di equivalenza, ne consegue che anche la critica traduttiva, dal canto suo, deve operare secondo questo meccanismo di andata e ritorno tra il testo tradotto e l’originale. Di fatto, nel capitolo successivo del suo volume, la studiosa tedesca puntualizzerà che non esiste critica delle traduzioni senza il confronto tra i due testi e che una critica pertinente esige tale confronto per sfuggire a qualsiasi rimprovero di arbitrarietà e soggettivismo (Reiss, 1971/2002:23-23).

Per procedere all’analisi della traduzione e, dunque, indagare l’equivalenza tra l’originale e la traduzione, il primo dato da tenere in conto riguarda il tipo di testo con cui si ha a che fare, poiché da ciò dipende la caratterizzazione del linguaggio e della sua funzione all’interno del testo originale. Mentre nei testi pragmatici, la lingua è principalmente un vettore d’informazione, nei testi letterari essa serve soprattutto all’organizzazione artistica e alla trasmissione dei valori estetici – come puntualizza la Reiss (1971/2002:33). La tipologia testuale, quindi, rappresenta un elemento che il traduttore ha necessariamente preso in considerazione per determinare la scelta del metodo traduttivo da applicare. Di conseguenza, il critico non può non tener conto di questo particolare, per non incorrere nell’errore di giudicare una traduzione sulla base di criteri inappropriati rispetto al tipo di testo.

La seconda categoria che un critico deve considerare è quella linguistica: deve, cioè, individuare gli strumenti intralinguistici del testo originale ed esaminare il modo in cui sono stati resi nel testo d’arrivo, analizzando il processo traduttivo che consente di ricercare l’equivalenza delle unità traduttive identificate nel testo tradotto rispetto all’originale. Gli elementi da considerare sono di tipo a) semantico, b) lessicale, c) grammaticale e d) stilistico.

a) Il rispetto (o la violazione) delle istruzioni semantiche fornite dal testo originale svolge un ruolo chiave nella trasmissione del contenuto, del senso (Reiss, 1971/2002:74). Ignorare le polisemie, confondere le omonimie, scegliere in lingua d’arrivo delle equivalenze il cui campo semantico non ricopre quello delle unità traduttive, fare un’interpretazione erronea, modificare il testo per via di aggiunte o soppressioni: sono questi, secondo la Reiss i principali abbagli in cui si può imbattere un traduttore, e si offrono al critico come argomenti per esprimere un giudizio sulla traduzione. Per giudicare l’equivalenza semantica, di fatto, occorre basarsi sul contesto linguistico, in cui si trovano gli indizi univoci di ciò che l’autore ha inteso dire.

113 “Tradurre è un processo bipolare che si compie in un movimento costante d’andata e ritorno tra il

testo di partenza e il testo d’arrivo. Il traduttore deve continuamente sforzarsi di trovare degli equivalenti ottimali nella lingua d’arrivo facendo riferimento sistematicamente al testo di partenza, per assicurarsi che esse siano adeguate” [Trad. nostra].

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b) Relativamente alle istruzioni lessicali, il criterio di confronto tra l’originale e la traduzione consiste nell’adeguatezza, essendo che le strutture lessicali di due lingue non sono mai perfettamente sovrapponibili. Il critico dovrà, pertanto, constatare, a livello lessicale, se le istruzioni che figurano nell’originale sono state trasposte nella traduzione in maniera adeguata, vale a dire si tratta di verificare se il traduttore – in base al tipo di testo – ha fornito una soluzione adeguata ai problemi posti dalla terminologia specializzata, dai socioletti, dai falsi amici, dagli omonimi, dai termini “intraducibili”, dalle metafore, dai giochi di parola, dalle espressioni idiomatiche, dai proverbi, etc. (Reiss, 1971/2002:79).

c) Nel caso delle istruzioni grammaticali fornite dal testo originale, una traduzione deve essere giudicata in funzione del criterio della correttezza, secondo due principi. In primo luogo, poiché il sistema grammaticale differisce sostanzialmente da una lingua all’altra, è il sistema morfologico e sintattico della lingua di arrivo che deve essere rispettato, a meno che qualche caratteristica propria al tipo di testo o un criterio extralinguistico non faccia contravvenire a tale principio. Secondariamente, una traduzione sarà detta grammaticalmente corretta quando sarà redatta in maniera corretta nella lingua d’arrivo e le strutture grammaticali del testo fonte saranno state comprese e rese in modo adeguato quanto alle loro implicazioni semantiche e stilistiche (Reiss, 1971/2002:81).

d) Per quanto concerne lo stile, infine, il critico dovrà esaminare se la traduzione corrisponde esattamente al testo originale. In base al tipo di testo, occorre verificare se la traduzione ha tenuto conto dell’uso che il testo originale fa dei differenti livelli linguistici (lingua corrente, registro elevato, stile raffinato) e se ha rispettato il grado di permeabilità tra i suddetti livelli, che cambia da una lingua all’altra. Inoltre, occorre assicurarsi che la traduzione abbia tenuto conto dello stile standard, dello stile personale dell’autore e dello stile tipico della sua epoca.

Una volta analizzato l’aspetto intralinguistico, il critico deve passare ad esaminare la componente extralinguistica, ovvero il contesto situazionale del testo originale, e la sua ripercussione a livello semantico, lessicale, grammaticale e stilistico. Il critico, così come il traduttore, deve essere in grado di cogliere i riferimenti alla micro-situazione del testo originale, nella quale l’autore, per mezzo di elementi extralinguistici, riduce l’elaborazione linguistica di ciò che intende dire, dal momento che le circostanze dell’enunciazione sono sufficienti al lettore appartenente alla stessa comunità linguistica per comprendere ciò che l’autore ha lasciato implicito. Il critico, quindi, deve “porsi all’interno della situazione”, come fa il lettore iniziale, al fine di giudicare se il traduttore ha fatto la scelta giusta, non solo dal punto di vista lessicale, ma anche semantico (Reiss, 1971/2002:91-92).

Della componente extralinguistica, che il traduttore prima, e il critico poi, devono essere in grado di dominare, fanno parte fattori quali:

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b) il riferimento al tempo: il testo tradotto deve riportare, finché possibile, il marchio dell’epoca in cui il testo originale è stato redatto (Reiss, 1971/2002:9498);

c) il riferimento al luogo: il traduttore s’imbatte nella necessità di trovare degli equivalenti adeguati all’intenzione di una comunità linguistica, alla quale gli elementi legati al luogo del testo fonte non “dicono niente”, poiché il pubblico di arrivo non possiede la rappresentazione della realtà a cui si fa riferimento nel testo di partenza; ne consegue che il critico deve essere in grado di ricostruire le riflessioni che hanno portato il traduttore a fare una certa scelta lessicale (Reiss, 1971/2002:98-102);

d) riferimento al ricevente: il traduttore deve fare in modo che il lettore della lingua d’arrivo possa integrare il testo nel suo proprio universo culturale e comprenderlo a partire dal suo punto di vista; il critico, a sua volta, deve porsi di fronte alla stessa esigenza e valutare la scelta del traduttore in funzione del ricevente (Reiss, 1971/2002:103-107);

e) il marchio del soggetto parlante: il traduttore ed il critico devono tenere in conto gli elementi (visibili sul piano lessicale, grammaticale e stilistico) connessi all’identità dell’autore, alla sua epoca e alla sua corrente letteraria, nonché alla caratterizzazione soggettiva dei suoi personaggi (Reiss, 1971/2002:107-108);

f) le implicazioni di ordine affettivo (umore, sarcasmo, disprezzo, ingiurie, esclamazioni di sorpresa, di stupore, d’ammirazione, diminuitivi, etc.), rispetto alle quali il critico deve accertarsi che esse abbiano trovato un’eco sufficiente nel testo tradotto (Reiss, 1971/2002:109-112).

In conclusione, occorre che il critico prenda in considerazione le ripercussioni delle determinanti extralinguistiche sull’organizzazione linguistica del testo originale, così come ha fatto il traduttore al momento di tradurre.

Tuttavia, la studiosa tedesca, alla fine del suo capitolo dedicato alle “possibilità” della critica delle traduzioni, mette in chiaro il fatto che il traduttore ed il critico possono, talvolta, giungere a conclusioni divergenti, dal momento che, nonostante l’estremo rigore metodologico, la critica delle traduzioni non può mai essere del tutto esente da elementi soggettivi. Ciononostante, secondo la Reiss, questa condizione non mette in questione né la legittimità, né il valore della critica delle traduzioni (Reiss, 1971/2002:112).

I limiti intrinseci alla critica delle traduzioni sarebbero, invece, altri, di natura duplice: da un lato la contingenza soggettiva del processo ermeneutico e, dall’altro, la struttura della personalità del traduttore. Ne risulta che è necessario condurre la critica di una traduzione tenendo conto della categoria personale, la quale impedisce al critico di imporre dei giudizi perentori. Il suo compito, di fatto, si limita a proporre una lettura (interpretazione) contro un’altra lettura, rispettivamente, una concezione artistica contro un’altra concezione artistica, a metterle a confronto e far emergere i loro effetti sull’originale e sulla versione di arrivo.

Sebbene il giudizio sia, di fatto, relativo, e tale deve essere, la critica non manca di oggettività, in quanto opera sulla base di criteri pertinenti, ossia tenendo conto di elementi di

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carattere personale. Dopotutto, essa potrà portare al risultato di stimolare nel lettore della critica ulteriori riflessioni e opinioni personali, che saranno ancora differenti rispetto alle interpretazioni precedenti – del traduttore e del critico (Reiss, 1971/2002:143).

Il modello di Katharina Reiss ha esercitato una forte influenza, soprattutto in Germania e Austria, in ragion del fatto che sottolinea il ruolo attivo svolto dal traduttore nel processo traduttivo e fornisce un modello complessivo e sistematico per l’analisi del testo tradotto e la valutazione delle traduzioni. La presa in esame delle componenti linguistiche ed extralinguistiche, assieme alla determinazione delle funzioni testuali, fanno sì che il giudizio qualitativo implichi sia il livello micro- che macrotestuale, ponendo, così, l’accento sul fatto che la valutazione della traduzione non può più limitarsi ad una mera questione di confronto parola per parola tra il testo tradotto e il suo originale, ma deve coinvolgere i fattori connessi al contesto sociale e non-linguistico.

Tuttavia, in termini di applicazione pratica, l’approccio di Reiss soffre di una certa vaghezza a proposito del concetto di “equivalenza”, sdoppiato in una duplice definizione che differenzia l’equivalenza “potenziale” dall’equivalenza “ottimale” (Reiss, 1971/2002:70). Stando alla distinzione saussuriana di langue e parole, la studiosa tedesca sostiene che tra due lingue esiste una serie di relazioni a livello della langue, per cui il processo traduttivo consisterebbe nella scelta tra le varie equivalenze potenziali, al fine di giungere alla individuazione dell’equivalenza ottimale, al livello della parole, scelta che, a sua volta, sarebbe dettata dal contesto linguistico (Reiss, 1971/2002:71).

Di fronte a questo modo di agire, tuttavia, Carol Maier polemizza sul fatto che la scelta dell’equivalente ottimale dipenderebbe dalla soggettività del traduttore, il quale si affiderebbe al criterio dell’appropriatezza di un certo elemento linguistico nel sistema culturale di arrivo. Mancherebbe in questa pratica, pertanto, una definizione chiara e rigorosa di ciò che può essere ritenuto appropriato nel sistema linguistico in cui si traduce, ed inoltre, si porrebbero dei limiti e delle preclusioni nei confronti del potenziale creativo ed innovativo del linguaggio, in particolare riguardo ai neologismi e alle metafore, la cui resa sarebbe difficile da valutare secondo i parametri dell’equivalenza elaborati da Reiss (Maier, 2000:152).