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5. Differenti approcci di critica delle traduzioni

5.4. Armin Paul Frank: modello orientato al transfer

In terzo luogo, è stato contestato l’utilizzo dei “transemi”, in quanto ciò comporta la segmentazione di passaggi con la conseguente interruzione di quelle relazioni tra le frasi e i periodi che vanno oltre la semplice proposizione.

Infine, il principio stesso del tertium comparationis è messo in questione, in quanto un metodo che prevede di catalogare i mutamenti sulla base di un confronto con un paradigma, che a sua volta è il risultato di un’interpretazione da parte di un soggetto individuale, non potrebbe garantire l’oggettività necessaria ad un metodo scientifico.

5.4. Armin Paul Frank: modello orientato al transfer

Per comprendere la maniera in cui Paul Armin Frank intende la critica delle traduzioni, occorre, innanzitutto, conoscere l’orientamento delle sue concezioni teoriche a proposito della traduzione letteraria, rese note nel suo contributo dal titolo “Towards a Cultural History of Literary Translation. ‘Histories’, ‘Systems’, and Other Forms of Synthesizing Research”132.

La prima considerazione di fondo è che il testo tradotto dipende dal suo originale, lo rappresenta e lo sostituisce all’interno della letteratura, della lingua e della cultura di arrivo; la traduzione implica un’interpretazione scritta in una seconda lingua e, dunque, una ri-creazione, o ri-scrittura, del testo secondo i vincoli linguistici, letterari e culturali dettati dal sistema ricevente (Kittel, 1992:369). Inoltre, dal momento che il traduttore, nel produrre un testo che ancora non esiste, utilizza un’opera esistente in un’altra lingua e in un’altra letteratura, la “ricezione” e la “produzione” coincidono nell’atto del tradurre, cosicché la traduzione può essere considerata come “una ri-creazione recettiva interlinguistica e interletteraria” (Kittel, 1992:370).

Il testo tradotto, poi, è caratterizzato da una natura ibrida, poiché è costruito con i mezzi del sistema di arrivo, ma si rifà ad un testo originale e lo sostituisce nel contesto d’arrivo, distinto da una rete di relazioni differenti da quelle che dominano nel contesto originario del testo di partenza (Kittel, 1992:371). Tra tali relazioni, una indispensabile è quella che lega il testo tradotto con il suo originale. Essa, tuttavia, non rappresenta una relazione tra le caratteristiche del testo originale e del testo tradotto, stabilita a priori ed in modo definitivo. L’equivalenza, di fatto, non è una condizione prescrivibile, ma un “atto performativo”, per cui il traduttore, in un dato momento, considera la sua traduzione come completa, anche se non necessariamente perfetta, e ne autorizza la pubblicazione come la migliore realizzazione possibile del testo fonte, in presenza di specifiche condizioni di lavoro (Kittel, 1992:371)

132 A. P. Frank, “Towards a Cultural History of Literary Translation. ‘Histories’, ‘Systems’, and

Other Forms of Synthesizing Research”, in H. Kittel, Geschichte, System, literarische Übersetzung –

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Le relazioni concrete tra testo di partenza e testo di arrivo sono determinate, in primo luogo, dalle decisioni del traduttore, dalle sue scelte, cosicché le traduzioni possono essere considerate come “la manifestazione dell’ethos del traduttore” (Kittel, 1992:371), ovvero del modo in cui il traduttore mantiene il controllo delle condizioni in cui lavora. In secondo luogo, nel caso di testi letterari, le suddette relazioni dipendono anche da numerosi altri fattori, quali: lo stato della ricezione, ivi inclusi il punto di vista del traduttore, dei suoi contemporanei e dei suoi predecessori, sull’opera da tradurre; gli obiettivi del traduttore (o dell’editore) e la sua concezione del tradurre; il cosiddetto “translator’s desk” (i dizionari e le opere di riferimento utilizzate); l’eco di traduzioni precedenti (nella stessa lingua) o intermediarie (in lingue differenti), come anche di altre opere della letteratura di arrivo; l’influenza della grammatica e le convenzioni stilistiche della lingua di arrivo.

L’approccio teorico alla traduzione, che contraddistingue Frank, è il cosiddetto “transfer- oriented approach” (lett. approccio orientato al transfer), che dovrebbe rappresentare un gradino intermedio tra i due approcci traduttologici estremi, vale a dire l’approccio orientato al testo di partenza (source-oriented approach) e l’approccio orientato al testo d’arrivo (target-oriented

approach). Di fatto, l’obiettivo di Frank è quello di studiare la traduzione da una duplice

prospettiva, tendendo conto degli elementi relativi alla lingua e alla cultura di partenza, ma anche di quelli della lingua e della cultura di arrivo e, infine, prendendo in considerazione, altresì, la differenza tra i due sistemi linguistici e culturali implicati dalla traduzione.

In termini di critica delle traduzioni, dunque, tale modo di intendere il tradurre sfocia nell’idea di Frank che l’atto traduttivo presuppone differenti potenziali interpretazioni del testo originale e che le “deviazioni” riscontrabili nella traduzione non sono da considerare errori, ma un mezzo per penetrare in certi aspetti del testo originale, che altrimenti sarebbero inaccessibili (Hewson, 2011:10-11).

A parere di Frank133, lo studioso – filologo o storico della traduzione – che intende condurre un’analisi del testo tradotto deve partire con l’identificazione del traduttore, poiché può essere utile, ai fini della comprensione e della valutazione del risultato del suo lavoro, conoscere e studiare altre traduzioni da lui realizzate (Frank, 1994:14-15).

Secondariamente, mentre il traduttore ha a che fare essenzialmente con il testo originale, lo studioso della traduzione, prima di esprimere un qualsiasi giudizio in merito ai mutamenti riscontrabili in un testo tradotto, deve indagare l’esistenza di eventuali varianti testuali dell’originale, in base alle quali stabilire se i mutamenti in questione possono (o devono) essere accettati oppure contestati (Frank, 1994:15). D’altra parte, nel caso in cui esistano più varianti di un testo originale, stabilire se il traduttore abbia tenuto conto di un solo modello di partenza per la

133 A. P. Frank, “Bausteine einer Theorie der literarischen Übersetzungsforschung“, in Miscellany on Translation Criticism, FIT Commitee for Translation Criticism, Institute of Translation Studies, Faculty of

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realizzazione della traduzione, o se invece non si sia lasciato influenzare da altre edizioni, non è impresa facile. Il compito del critico, tuttavia, non si scontra soltanto con questa difficoltà: anche quando la variante del testo di partenza utilizzata per la traduzione è stata individuata con una certa sicurezza, non mancano complicazioni alle quali il critico deve prestare attenzione. Frank si riferisce a tali complicazioni con il termine di “filtro” (Frank, 1994:16) e ne descrive sei differenti tipi.

Il primo “filtro” consiste nell’opinione del traduttore rispetto al testo originale e al suo autore. Essendo la traduzione un atto interpretativo di un’opera originale ed il suo trasferimento in un altro sistema linguistico, letterario e culturale, si rispecchia in essa il modo in cui il traduttore ha compreso il testo di partenza e le condizioni in cui ha operato. Sarebbe, pertanto, un errore se il critico pretendesse di valutare una traduzione solo alla luce della sua personale comprensione del testo originale. Il suo compito, al contrario, è quello di studiare la traduzione da una prospettiva differente alla sua, ovvero porsi dalla parte del traduttore e ricostruire la recezione dell’opera da parte di quest’ultimo. Benché complesso, questo approccio può risultare molto utile ai fini di una critica delle traduzioni che intende conoscere e non solo giudicare la traduzione, in quanto consente di comprendere in profondità l’opera letteraria che vi sta alla base (Frank, 1994:16).

Il secondo “filtro” si sviluppa intorno al concetto di concezione della traduzione. Ogni traduttore opera sulla base del suo modo di concepire la traduzione. Talvolta, può sembrare che un traduttore cambi la propria concezione del tradurre persino nel corso della stessa traduzione; in tal caso, la traduzione presenterà delle caratteristiche che, a prima vista, un critico può considerare errori, mentre, ad una più accurata analisi, esse costituiscono gli indicatori utili all’interpretazione della concezione traduttiva del traduttore (Frank, 1994:16-17).

Il terzo “filtro” è rappresentato dai supporti ai quali il traduttore può ricorrere nell’atto del tradurre, in particolare i dizionari. La complicazione è qui costituita dal fatto che tali risorse invecchiano con il passare del tempo, nel senso che certi termini possono assumere significati e connotazioni stilistiche differenti in epoche differenti, cosicché l’utilizzazione di tali supporti alla traduzione è regolata da una logica temporale e contestuale al testo (Frank, 1994:17-18).

Le consuetudini e le norme di scrittura del sistema ricevente costituiscono il quarto “filtro”. Se si osservano le traduzioni in modo superficiale, la maggior parte di esse presentano, indifferentemente dal testo di partenza, alcuni caratteri stilistici identici. Se, invece, si guardano alla luce del traduttore o di certi passaggi di testo, si individuano gli stessi profili individuali dei traduttori, tanto che, talvolta, si può stabilire il modo di scrivere di un traduttore, come se questo si fosse orientato ad una “stilistica di minoranza”. Al contrario, vi sono casi in cui, il fatto che un traduttore cambi casa editrice o addirittura rinunci al lavoro, si può interpretare come il rifiuto da parte del traduttore di accettare la stilistica imposta dall’editore (Frank, 1994:18-19).

Un ulteriore “filtro” ha a che fare con la questione della ricezione del testo tradotto da parte del pubblico di arrivo. Vi sono casi in cui il traduttore avverte l’impressione che ciò che traduce

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risulta talmente estraneo ai nuovi lettori, da dover ricorrere ad una spiegazione, piuttosto che ad una mera traduzione. Questo accade con quei testi che contengono una forte dose di umorismo, non facilmente comprensibile per il nuovo pubblico, o anche con i testi che i traduttori devono conformare alle richieste della censura che agisce nel sistema di arrivo (Frank, 1994:20).

L’ultimo “filtro”, infine, è costituito dalle traduzioni precedenti a cui il traduttore può fare riferimento. In tal caso si possono distinguere quattro tipi di relazioni testuali tra la nuova traduzione e le precedenti: (a) acquisizione (Übernahme); (b) esclusione (Meidung); (c) parafrasi, perlopiù nel senso di un ampliamento (überbietende Weiterschreibung); e (d) ampliamento perfezionato (vervollkommnende Weiterschreibung) (Frank, 1994:20-21).

Le considerazioni di Armin Paul Frank nell’ambito dell’Übersetzungskritik sono il risultato dell’analisi condotta sull’attività di traduzione letteraria dall’inglese (americano) al tedesco. Uno dei punti-chiave di tale studio consiste nel mettere in luce ciò che effettivamente i traduttori fanno nell’atto del tradurre: restituiscono il “senso” dell’originale, nel modo in cui da loro è stato colto; tentano di riprodurre lo stesso modello testuale; cercano di esprimere gli elementi della realtà rappresentata nel testo (“inferenti”) in una maniera che ritengono simile al modo in cui i lettori della traduzione intenderebbero tali inferenti; formulano la traduzione tenendo conto delle differenze interlinguistiche, interletterarie, interculturali, delle norme di scrittura del sistema di arrivo, delle costrizioni politiche ed economiche del loro Paese, delle precedenti traduzioni; inseriscono, omettono o spostano parole, frasi, paragrafi, persino capitoli (Frank, 1994:21-22). Tale enumerazione – evidentemente non esaustiva – offre una sintesi della molteplicità di strategie che il traduttore ha a disposizione, mettendo in luce come il potenziale interpretativo di una traduzione dipenda necessariamente dalle potenziali interpretazioni del testo di partenza.

È per questa ragione che, secondo Frank, ai fini dello studio della traduzione, l’analisi delle differenti interpretazioni possibili risulta più interessante rispetto all’indagine delle equivalenze ricostruite (Frank,1994:21-22).