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5. Le principali teorie contemporanee della traduzione

5.2. I contributi teorici relativi all’analisi delle modificazioni della traduzione

Ancora in relazione all’approccio linguistico della traduttologia, occorre considerare l’argomento dell’analisi delle modificazioni della traduzione, note anche con la denominazione inglese “translation shift”. Per avere una visione essenziale di questo modello, facciamo riferimento a tre contributi teorici fondamentali: Stylistique comparée du français et de l’anglais (1958[1977]) di Jean-Paul Vinay e Jean Darbelnet; A Linguistic Theory of Translation (1965) di J. C. Catford; e

Translation and original: Similarities and dissimilarities (1989, 1990) di Kitty van Leuven-Zwart.

Vinay e Darbelnet, rappresentanti della Scuola di Montreal di Stilistica, appartengono alla generazione di studiosi, sostenitori dell’approccio linguistico alla traduzione, che legano l’attività traduttiva all’osservazione del funzionamento di una lingua rispetto ad un’altra.

I due teorici canadesi considerano la traduzione come una “disciplina esatta”, per cui, sebbene non esista un’unica traduzione possibile di un determinato passaggio, ritengono che sia lecito supporre che, se conosciamo meglio i metodi che regolano il passaggio da una lingua all’altra, arriveremo ad un numero sempre maggiore di casi con soluzioni uniche (Vinay-Darbelnet: 1977:24). Il frutto delle loro ricerche è l’elaborazione di un metodo che, a partire da un grande numero di fatti linguistici, consente di confrontare le traduzioni al fine di individuare sul piano lessicale, sintattico e del messaggio, le leggi che regolano il passaggio da una lingua all’altra – francese e inglese, nel caso specifico.

Alla base del loro modello sta l’individuazione di due strategie e di sette procedimenti traduttivi. La prima strategia è quella della traduzione diretta, o letterale, che si attua quando il messaggio della lingua di partenza si lascia perfettamente trasporre nella lingua di arrivo; la seconda strategia è la traduzione obliqua, o libera, che al contrario, è il risultato della presenza, nella lingua di arrivo, di lacune che occorre colmare attraverso metodi equivalenti che comportano un cambiamento, più o meno rilevante, del piano lessicale o sintattico. I sette procedimenti da loro distinti sono: il prestito, il calco e la traduzione letterale, per quanto riguarda la traduzione diretta;

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la trasposizione, la modulazione, l’equivalenza e l’adattamento, per la traduzione obliqua59. Essi costituiscono, non tanto dei metodi di traduzione, ma delle categorie che definiscono i rapporti che esistono tra termini equivalenti in due diverse lingue. Vinay e Darbelnet, inoltre, introducono i concetti di démarche (preferenza che esprime una lingua tra due strutture ugualmente possibili) e di

charnière (parola o gruppo di parole che esprimono l’articolazione del discorso). Sebbene

l’approccio sia unicamente linguistico, nella teoria di Vinay e Darbelnet, come segnala Larose (1989:17)60, non manca il riferimento, seppur esiguo, all’importanza del contesto, inteso come una concezione particolare della vita in tutti i suoi aspetti.

Ciononostante, i critici rimproverano al modello dei due studiosi canadesi di tendere piuttosto verso un transcodage, ovvero verso un’equivalenza di nomenclatura, che non verso la traduzione propriamente detta, ossia verso un’equivalenza di messaggi, cosicché il metodo proposto mancherebbe dell’analisi esegetica del testo originale (Larose, 1989:15-16). Ciò che al contrario raccoglie il consenso dei teorici è piuttosto la distinzione tra “schiavitù” ‒ caso in cui la scelta, la forma e l’ordine delle parole sono imposti dalla lingua (Vinay-Darbelnet, 1977:14) ‒, e “opzione” ‒ il contrario di schiavitù, dunque una lingua ha la scelta tra due costruzioni con lo stesso senso(Vinay-Darbelnet, 1977:12).

Condiviso da altri studiosi è anche il concetto di unità di traduzione, ovvero i segmenti in cui il testo da tradurre può essere frammentato, che Vinay e Darbelnet indicano con i sinonimi “unité de pensée, unité lexicologique” (lett. unità di pensiero, unità lessicologica), e che definiscono come “il più piccolo segmento dell’enunciato la cui coesione di segni è tale che essi non devono essere tradotti separatamente” (Vinay-Darbelnet, 1977:16), distinguendo tra unità funzionali, semantiche, dialettiche e prosodiche, laddove il primo tipo sembra corrispondere con le segmentazioni sintagmatiche tradizionali della grammatica strutturalista, mentre la distinzione delle restanti tre tipologie implica la possibilità che uno stesso elemento linguistico possa appartenere a più di una categoria. Dall’ottica d’indagine dei due teorici canadesi è da escludere l’intento descrittivo di valutare la traduzione; viceversa è possibile individuare qualche tentativo prescrittivo sulla maniera di ben tradurre.

Nella terminologia di Vinay e Darbelnet non compare ancora il termine “shift”, che viene invece introdotto da John Cunnison Catford nel suo volume A Linguistic Theory of Translation (1965), un compendio delle conferenze tenute alla Scuola di Linguistica Applicata dell’Università

59 Per la definizione dei concetti ivi riportati facciamo riferimento al “Glossario dei termini tecnici

impiegati nell’opera”, elaborato dagli stessi autori e inserito tra le prime pagine del volume (Vinay/Darbelnet, 1977:4-16), dove i sette procedimenti sono così definiti: prestito – parola che una lingua prende in prestito da un’altra, senza tradurlo; calco – prestito di un sintagma straniero per mezzo della traduzione letterale dei suoi elementi; trasposizione ‒ procedimento per mezzo del quale un significato cambia categoria grammaticale; modulazione – variazione ottenuta cambiando il punto di vista, la focalizzazione e molto spesso la categoria di pensiero; adattamento – utilizzazione di un’equivalenza riconosciuta tra due situazioni. [Trad. nostra]

60 R. Larose, Théories contemporaines de la traduction, deuxième édition, Presses de l’Université

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di Edimburgo. Catford definisce la traduzione come “la sostituzione del materiale testuale in una lingua (LP) con materiale testuale equivalente in un’altra lingua (LA)” (Catford, 1965:20) e distingue differenti tipi di traduzione:

a) sul piano sintagmatico: la traduzione integrale (full translation), per cui ogni parte del testo nella lingua di partenza (LP) è sostituito dal materiale del testo nella lingua d’arrivo (LA) (Catford, 1965:21), e la traduzione parziale (partial translation), ovvero assenza di traduzione, sia perché la traduzione è impossibile, sia per aggiungere colore locale al testo;

b) sul piano del livello del linguaggio: la traduzione totale (total translation), ossia “sostituzione della grammatica e del lessico della LP con la grammatica e il lessico equivalente della LA con la conseguente sostituzione della fonologia/grafologia della LP con (non equivalente) fonologia/grafologia della LA” (Catford, 1965:22), e la traduzione restrittiva (restrictive

translation), che consiste in un transfer parziale degli elementi della lingua di partenza nella lingua

di arrivo, come nel caso della translitterazione;

c) sul piano delle suddivisioni del linguaggio: la traduzione indipendente dai segmenti della lingua di partenza, e la traduzione ad essi legata (opposizione tradizionale tra traduzione libera e traduzione letterale).

Catford analizza il linguaggio dal punto di vista della comunicazione, ponendosi sul piano delle lingue da tradurre, e non sul livello del “discorso circostanziato”, cosicché i suoi esempi consistono in segmenti di testo decontestualizzati. Il suo metodo descrittivo e comparativo, rivolto all’individuazione dei cosiddetti “translation shifts”, ovvero “deviazioni dalla corrispondenza formale nel processo di passaggio dalla LP alla LA”(Catford, 1965:73), si basa sulla distinzione di due tipi di modificazioni: gli shift di livello, ovvero i cambiamenti che occorrono quando un elemento grammaticale della lingua di partenza viene reso nella lingua di arrivo attraverso un elemento lessicale; e gli shift di categoria, suddivisi in ulteriori quattro sottotipi (strutturali, di classe, di unità o rango e intra-sistemici), che riguardano, rispettivamente, le strutture grammaticali, le parti del discorso, il livello sintattico e la scelta di termini del sistema della lingua di arrivo, che non corrispondono all’originale.

Catford assegna grande importanza al funzionamento dei microsistemi linguistici, tanto che, a parere di Robert Larose (1989:111), egli talvolta dimentica che ogni lingua è sui generis e che l’equivalenza dei testi non risiede nella concordanza biunivoca della forma del contenuto delle lingue in presenza, indipendente dal senso con cui essa si trova in rapporto arbitrario, ma su quello dei messaggi.

Il teorico inglese riconosce il ruolo chiave dell’equivalenza in traduzione e pone un’importante distinzione tra “corrispondenza formale” ed “equivalenza testuale”: la “corrispondente formale” è ogni categoria della LA di cui si può affermare che nell’economia della LA occupa, quanto più possibile, lo ‘stesso’ posto che la data categoria della LP occupa nella LP” (Catford, 1965:32); mentre, una “equivalenza testuale” è ogni forma della LP (testo o porzione di

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testo) che risulta essere l’equivalente di una data forma della LP (testo o porzione di testo)” (Catford, 1965:27).

A partire dall’equivalenza testuale, Catford sostiene che la traduzione è possibile, almeno parzialmente, se certe caratteristiche situazionali sono comuni alle due lingue: nella traduzione totale, i testi o le unità della LP e della LA sono equivalenti della traduzione quando sono “intercambiabili in una data situazione” (Catford, 1965:49). Limiti alla traducibilità si presentano, invece, nei casi in cui è impossibile trovare i tratti linguistici e i tratti funzionali pertinenti: nei primi Catford include le situazioni di ambiguità e di polisemia; nei secondi ascrive i fatti di cultura. Nonostante l’approccio prevalentemente linguistico, nella teorizzazione di Catford s’impone l’idea che l’equivalenza in traduzione dipende, non solo da meri criteri linguistici, ma anche da fattori comunicativi, quali la funzione, la rilevanza, la cultura, la situazione. In particolare, è interessante segnalare che, tra i tratti situazionali essenziali per la scelta degli equivalenti nella lingua d’arrivo, Catford enumera l’idioletto, le varianti dialettali, i livelli linguistici e le differenze di registro e di stile.

Il tentativo più dettagliato di realizzare un modello di analisi delle modificazioni della traduzione è stato condotto da Kitty van Leuven-Zwart nell’ambito delle sue ricerche dottorali. Il suo contributo, inizialmente pubblicato in olandese come tesi di dottorato (1984), ha visto un’ampia diffusione nella versione abbreviata in inglese che consiste di due articoli nella rivista

Target.61 Alla base di tale modello stanno alcune delle categorie proposte da Vinay e Darbelnet (1958[1977]) e Levý (Die literarische Übersetzung, 1969), alle quali la studiosa olandese fa riferimento nella sua analisi descrittiva delle traduzioni integrali dei testi letterari in prosa. Il metodo in questione si pone, in particolare, due obiettivi: il primo è quello di stabilire descrizioni intersoggettivamente valide e verificabili del modo e del grado in cui la traduzione differisce dall’originale; il secondo obiettivo è quello di utilizzare tale descrizione come un modello per la formulazione di ipotesi riguardanti l’interpretazione dell’originale da parte del traduttore e le strategie adottate durante il processo di traduzione (Leuven-Zwart, 1989:154).

Leuven-Zwart ritiene che nelle traduzioni integrali le modificazioni avvengano su due piani: quello microstrutturale (livello sintattico, semantico, stilistico e pragmatico); quello macrostrutturale (livello delle unità di significato che trascendono frasi/periodi/sintagmi, in cui gli

shift riguardano attributi e caratterizzazioni dei personaggi, la natura e l’ordine dell’azione e il

tempo e lo spazio degli eventi). Al fine di garantire risultati veritieri, lo studio del livello microstrutturale deve precedere la ricerca a livello macrostrutturale. La studiosa olandese, pertanto, struttura il suo metodo secondo due componenti, una comparativa e una descrittiva. Il modello

61 K. van Leuven-Zwart, “Translation and Original, Similarities and Dissimilarities, I”, Target 1,

John Benjamins B.V., Amsterdam, 1989, pp. 151-181; e “Translation and Original, Similarities and Dissimilarities, II”, Target 2, 1990, pp. 69-96.

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comparativo è rivolto alla classificazione degli shift all’interno delle frasi, dei periodi e dei sintagmi, a livello microstrutturale, ricercando le indicazioni relative all’interpretazione e alla strategia; tali shift dipendono dalla scelta consapevole o meno del traduttore e possono occorrere in ciascuno dei livelli – semantico, stilistico o pragmatico – che sostanzialmente riguardano il significato. Il modello descrittivo, invece, si focalizza sugli effetti degli shift microstrutturali su livello macrostrutturale, ovvero sul piano dei personaggi, degli eventi, del tempo, del luogo e di altre componenti significative del testo (Leuven-Zwart, 1989:155).

Il metodo comparativo prevede innanzitutto la scelta, casuale, dei passaggi nel testo originale e la loro suddivisione in “unità testuali comprensibili” (comprehensible textual units) chiamate “transemi” (transemes), che possono essere di due tipi: “transemi di circonstanza” (state

of affairs transemes) (quelli costituiti da un predicato e i suoi complementi); e “transemi satelliti”

(satellite transemes) (che consistono in una specificazione avverbiale, privi, dunque, di predicato) (Leuven-Zwart, 1989:155-156).

I transemi del testo originale vengono confrontati con i transemi corrispondenti nel testo tradotto, attraverso tre passaggi: dapprima si stabiliscono le similarità per mezzo della definizione di un comune denominatore detto “architranseme” o ATR, che può essere di tipo semantico (se i

transemi condividono certi aspetti del significato descrittivo) o di tipo pragmatico o situazionale (se

certi aspetti dei due transemi di applicano solo in una particolare situazione) (Leuven-Zwart, 1989:157); in secondo luogo, si confronta ogni singolo transeme con l’ATR; infine, si stabiliscono le relazioni tra i due transemi, che possono essere di tipo sinonimico (quindi non si crea nessuno

shift nella traduzione), iponimico (che comporta uno shift denominato modulazione62), di contrasto (che implica la modificazione63) o ci può essere assenza di relazione (per cui si ha un effetto di mutazione64) (Leuven-Zwart, 1989:159).

Il modello descrittivo è da considerarsi complementare a quello comparativo: esso, di fatto, è inteso a descrivere le conseguenze degli shift microstrutturali, indagati dal modello comparativo, sul livello macrotestuale. Affinché avvengano shift macrostrutturali, sono necessari più shift microstrutturali della stessa natura o simile. In altre parole, solo quegli shift microstrutturali che mostrano una certa frequenza e consistenza portano degli shift nella macrostruttura, ossia nella

62 “Nel caso della modulazione la relazione tra i due transemi è iponimica: rispetto all’ATR, un

transeme mostra un aspetto di disgiunzione, mentre l’altro manifesta congiunzione. Se l’aspetto di disgiunzione occorre nel transeme del testo di arrivo, il cambiamento è detto modulazione/specificazione; se l’aspetto della disgiunzione si manifesta nel transeme del testo di partenza, allora il cambiamento è detto modulazione/generalizzazione. [...] L’aspetto di disgiunzione può essere semantico o stilistico” [Trad. nostra].(Leuven-Zwart, 1989:159-160).

63 “Nel caso della modulazione, la relazione tra i due transemi è di contrasto. Ciò significa che ogni

transeme ha un aspetto di disgiunzione, in base al quale ognuno ha un rapporto iponimico con l’ATR. L’aspetto di disgiunzione implicato nella modificazione può essere semantico, stilistico o sintattico”. [Trad. nostra].(Leuven-Zwart, 1989:165).

64 “Questa categoria di cambiamenti riguarda i casi in cui è impossibile stabilire un ATR, per via

della mancanza di ogni aspetto di congiunzione. È fatto di tre sottocategorie: aggiunta di proposizioni o periodi, cancellazione di proposizioni o periodi, e cambiamento radicale di significato” . [Trad. nostra]. (Leuven-Zwart, 1989:168-169).

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tessitura del testo, che trascende i sintagmi, le frasi, i periodi, ma di essi si serve per costruire unità di significato più ampie che riguardano la natura e l’ordine degli eventi, gli attributi dei personaggi e le loro relazioni, il tempo e lo spazio, l’atteggiamento del narratore nei confronti del mondo letterario, e così via (Leuven-Zwart, 1989:171). Tale modello di analisi dei testi letterari tradotti, dunque, prende in prestito concetti fondamentali dalla narratologia65 e dalla stilistica66, nell’intento di intrecciare il concetto di “livello del discorso” (l’espressione linguistica del mondo letterario) e di “livello della storia” (la narrazione del testo, incluso il punto di vista del narratore), con tre le “metafunzioni” linguistiche (interpersonali, ideazionali e testuali) nel corso dell’analisi del testo tradotto (Leuven-Zwart, 1989:172). Uno degli esiti di tale analisi, dimostra, ad esempio, che ogni volta che si verifica una modulazione sintattico-pragmatica, la funzione interpersonale del livello del racconto ne risente.

Dalle sue analisi, la studiosa olandese trae anche conclusioni circa la strategia traduttiva, rilevando una preponderante tendenza della traduzione orientata al testo di arrivo. Simili considerazioni sono la dimostrazione che il modello proposto da van Leuven-Zwart va oltre i limiti del semplice confronto linguistico tra l’originale e la traduzione, a cui, invece, sottostanno i contributi di Vinay e Darbelnet e di Catford. Non sfugge, tuttavia, a certe obiezioni e critiche dovute, in primo luogo, alla sua complessità, ovvero alla difficoltà di collocare i vari tipi di mutamento in una delle otto differenti categorie e trentasette sottocategorie di shift, non del tutto chiaramente differenziate; e secondariamente, l’utilizzo dell’Architranseme come misura di equivalenza incontra il problema della soggettività che soggiace generalmente alla questione del

65 Leuven-Zwart, in particolare, fa riferimento alla classificazione tripartita di Bal dei differenti

“livelli testuali”: “livello della storia” (costituisce il livello più profondo e più astratto ed è paragonabile al concetto di ‘fabula’ dei formalisti russi; consiste di elementi astratti come gli eventi, i protagonisti, spazio e tempo); “livello del racconto” (è paragonabile alla nozione di ‘soggetto’ dei formalisti, e può essere considerato la concretizzazione degli elementi astratti del livello della storia: nel livello del racconto, eventi astratti diventano azioni concrete ed eventi che si verificano in un certo ordine, in un certo tempo e in un certo spazio fittizi. La nozione astratta di protagonisti fa strada a personaggi specifici che svolgono il loro ruolo nel mondo letterario. Una nozione importante rispetto al livello del racconto è il concetto di focalizzazione, che deve essere inteso come il punto di vista da cui è presentato il mondo letterario); “livello del discorso” (è definito come l’espressione linguistica del mondo letterario così com’è creato nel livello del racconto. La distinzione tra il livello del discorso e quello del racconto è di notevole importanza: il mondo letterario come è dato nel livello del racconto, può essere espresso da mezzi diversi. Una nozione importante è anche quella del concetto di narratore, il mezzo attraverso cui la comunicazione tra il lettore e il mondo letterario si stabilisce. Per l’analisi della prosa letteraria, il narratore è la nozione centrale: l’identità del narratore e il grado e il modo in cui questa identità si sviluppa, sono decisivi per gli specifici attributi del testo narrativo) (Leuven-Zwart, 1989:171-173).

66 Nel modello descrittivo di van Leuven-Zwart viene ripreso il concetto di “funzione” così com’è

stato elaborato da Leech e Short (Style in Fiction: A Linguistic Introduction to English Fictional Prose, 1981), secondo la concezione che i mezzi linguistici possono adempiere tre funzioni: la funzione

interpersonale (il modo in cui il narratore, in quanto focalizzatore, stabilisce la comunicazione tra il parlante

e l’ascoltatore); la funzione ideazionale (il modo in cui l’informazione relativa la mondo letterario è fornita, attraverso particolari scelte semantiche); la funzione testuale (il modo in cui l’informazione è strutturata e organizzata nel linguaggio, ovvero l’ordine sintattico, il quale si può basare su due principi, la segmentazione, cioè la suddivisione dell’informazione in sintagmi, frasi e periodi, e la coesione, ossia il modo in cui queste parti sono tenute insieme). Queste tre funzioni sono interrelate e operano simultaneamente in ciascuna espressione linguistica, per cui ogni espressione linguistica si caratterizza per il modo in cui le tre diverse funzioni sono realizzate (Leuven-Zwart, 1989:109).

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tertium comparationis, un invariante in rapporto al quale due porzioni di testo vengono raffrontati

per misurare le variazioni. La debolezza di tale metodo consisterebbe nell’assenza di oggettività nella misurazione.