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Il gruppo “Arte Migrante” è nato informalmente nel 2012, prendendo spunto da un progetto sviluppato a Latina47, che è stato poi riproposto a Bologna, prendendo la forma che si vede oggi, per iniziativa dell’allora studente di antropologia Tommaso Carturan, diventando con gli anni un vero e proprio movimento che coinvolge ora numerose città italiane, in particolare del Settentrione, nonché altre località fuori dall’Italia. È dunque presente nelle seguenti città e altre sono le città dove si sta avviando, per un totale di 28 (alcune non sono ancora ufficializzate o sono in fase di avvio, quindi non sono presenti in Figura 1): Bologna, Modena, Torino, Cuneo, Como, Reggio Emilia, Imola, Palermo, Padova, Settimo Torinese, Napoli, Trento, Rimini,

47 Il progetto si è tenuto a Latina nel 2010, nell’ambito di un progetto promosso dall’ONG Lvia (Lay Volounteer

International Association) in collaborazione con il Centro Studi Sereno Regis e Cem Mondialità, chiamato “Giovani e intercultura: un anno di dialoghi”.

78 Alessandria, Pisa, Parma, Alba e Latina; è presente anche sull'isola di Cipro e per un anno l’esperienza è stata presente in Spagna, a Saragozza.

Figura 1. Le sedi di Arte Migrante, Unione Europea e, in dettaglio, sedi dell’Italia Settentrionale

Fonte: Sito ufficiale di Arte Migrante48 (elaborazione con Google Maps)

79 Il significato del nome

Prima di descrivere la formazione, la crescita e le caratteristiche di questo progetto, è importante soffermarsi sul nome stesso, che unisce due parole, affiancandole e legandole: “arte” e “migrante”. La prima, arte, è qui intesa non tanto come tecnica performativa soggetta a giudizio estetico, ma più come espressione e condivisione del proprio sentire e della propria creatività, che si esplicita sia a livello individuale, sia nella partecipazione del gruppo stesso ai momenti artistici. La seconda parola, “migrante”, rimanda immediatamente ad un tema molto discusso e affrontato nei discorsi politici quotidiani (Carturan, 2013: 11). La questione immigrazione tende spesso ad investire e mostrare il suo lato fenomenologico e la sua influenza economica e politica (comunque in maniera parziale e banalizzata), accantonando però la questione sociale ed individuale. D’altra parte, nonostante spesso si cerchi di appiattire le storie e le vite di chi arriva, non si parla di mera “forza lavoro”, ma, anche se potrà sembrare ovvio e scontato, si parla di persone, persone con una storia e una memoria, persone con aspirazioni future, persone che cercano benessere nella loro quotidianità. Il nome stesso è stato anche fonte di curiosità per i nuovi arrivati, motivazione del loro stesso avvicinamento. A questo proposito, durante un’intervista svoltasi a Trento, l’utilizzo strategico del nome è stato confermato da uno dei partecipanti, dalla Guinea, che ha affermato:

“… Quindi ho iniziato. Perché facevo queste cose per integrarmi e sapere come si fa per l’italiano. Ed ero curioso, ho detto ma “Arte Migrante?” Primo, la cosa che mi ha interessato è il nome: “arte” io faccio arte, “migrante” io sono un migrante. “Cosa c’è dietro questa parola?” mi sono detto. Siccome è un contesto molto legato alle mie cose, ho iniziato così con loro. E quando ho iniziato facevo quello che potevo ogni serata e veniva bene, le persone apprezzavano quello che facevo.” (Alpha, partecipante di Arte Migrante Trento, dalla Guinea)49

Storia della nascita e dello sviluppo di Arte Migrante

Arte Migrante nasce da un’intuizione di uno studente (ai tempi) di antropologia, nel 2012, a Bologna. Tommaso Carturan, questo il nome del ragazzo, partecipa quell’anno ad un’iniziativa chiamata “Carovana della Pace”, portata avanti da Padre Alex Zanotelli, che vede la partecipazione di una cinquantina di ragazzi, attivisti da tutta Italia, ad un campo di attivismo sociale in Campania, sui terreni confiscati alla mafia. In quell’occasione, il gruppo partecipa ad uno spettacolo teatrale svoltosi nel carcere di Eboli. Tommaso racconta così la sua ispirazione:

“… E in quel momento, in quella situazione, cantammo una mia canzone, perché io scrivo canzoni, sono cantautore. La canzone era sulla Palestina e la cantammo tutti assieme, questa mia canzone. E in quel momento mi resi conto che, insieme a tutti i carcerati, eravamo diventati una cosa sola, eravamo diventati tutti subito fratelli e sorelle. Lì, scoprii la forza e la potenza della musica e dell’arte, in particolare della sua capacità di unire

49 Tutte le interviste complete, svoltesi a Trento e dintorni nel periodo di aprile – maggio 2019, sono riportate

80 insieme e subito persone diverse, quindi creare una fratellanza istantanea grazie alla forza empatica della musica, diciamo. E quindi è lì che mi venne l’idea di usare l’arte e la musica, in generale, come strumento di amicizia, per creare relazione tra le persone, tra persone diverse in particolare.”

Al ritorno a Bologna da quest’esperienza, Tommaso condivide questa sua idea con un gruppo di amici e con il supporto del parroco locale e grazie alla conoscenza di alcuni senza fissa dimora e migranti, si decide di fare una serata assieme, di condividere attraverso l’arte le proprie storie e le proprie diversità, le proprie ricchezze. Dopo quella serata, nata come momento spontaneo ma anche saltuario, un signore senza fissa dimora che fa il manovale e amico di Tommaso, Bogdan, lancia una proposta. Vista la riuscita positiva della serata e la comunione nata da quell’incontro, egli propone di renderlo un incontro fisso, di fare di un evento una pratica sociale di incontro. Da lì, ogni mercoledì sera, dal 3 ottobre 2012, sempre più persone di ogni credo, provenienti da differenti condizioni sociali, insomma profondamente diverse tra loro, si ritrovano a stare insieme in cerchio, a condividere storie di vita e arte, la forza trainante, il collante di quest’esperienza. Non tutto è differente, una base in comune c’è, una base valoriale, ben riassunta nel manifesto:

“Diciamo che comunque alla base, ogni gruppo è guidato dalla voglia di creare condivisione e di entrare in relazione con l’altro, di porsi sullo stesso livello dell’altro, senza pregiudizi e senza razzismi, abbracciando la bellezza della diversità e dei talenti, delle culture. Perché ognuno di noi ha una bellezza da condividere con l’altro e su questo si fonda Arte Migrante, sulla condivisione.” (Tommaso Carturan)

La semplicità e spontaneità, dunque l’accessibilità di quest’esperienza, nata da un bisogno50 di stare in relazione con gli altri in una società materialista dove spesso si perde di vista l’umanità, porta ad un’espansione di Arte Migrante, sia dal punto di vista organico e contenutistico (Arte Migrante diventa sempre più frequentata e nascono anche dei laboratori e momenti più strutturati al di fuori della serata tradizionale), sia dal punto di vista di espansione territoriale – geografica. Infatti, tramite conoscenze dirette, attraverso quindi una rete amicale e familiare face-to-face, Arte Migrante viene dapprima condivisa con dei cugini di Tommaso di Modena, che decidono di riproporla nella loro città, per poi arrivare a Torino e via dicendo, fino ad arrivare ad oggi con i 28 gruppi creatisi (non tutti rimasti attivi), da Trento a Palermo, in ultimo Brescia che aprirà a giugno 2019.

Nel 2017, Arte Migrante Bologna diventa associazione ONLUS, mentre gli altri gruppi restano informali. La stabilità economica è ancora in costruzione e poco strutturata: Arte Migrante sopravvive grazie a qualche

50 Come afferma Tommaso nell’intervista: “È un’idea semplice e risponde ad un bisogno primario, che è il bisogno di non stare soli, ma stare in relazione con gli altri. Quindi risponde ad un bisogno che c’è nella società, di un bisogno anche di spendersi per gli altri e mettere la vita in gioco per gli altri, per dei valori importanti e giusti, come la condivisione e la lotta al razzismo. E quindi sì, diciamo che il valore guida di AM è l’amore per gli altri, per il mondo e per un mondo più giusto.”

81 finanziamento e autofinanziamento, alla partecipazione ad alcuni bandi, o facendo rete con altre associazioni.

Arte Migrante vede ora la presenza di un incontro solitamente settimanale o bisettimanale, ma anche di eventi organizzati in bar e locali, in centri di accoglienza per migranti, nei dormitori e nelle carceri. A Bologna e a Modena sono inoltre presenti dei laboratori artistici gratuiti, all’interno dei quali si condividono le proprie abilità e capacità, con l’intento di creare una conoscenza artistico-culturale partecipata e partecipativa. Infine, con l’espansione sempre maggiore di questo movimento, i partecipanti hanno sentito la necessità di conoscersi e avere una condivisione anche a livello nazionale: da questo desiderio comune, nel 2016, si è svolto il primo raduno nazionale, denominato “Campeggio migrante”, nel quale per alcuni giorni si sono svolti laboratori artistici e momenti di condivisione, per conoscersi e confrontarsi su temi quali l’educazione alla pace, i diritti umani, le migrazioni e le nuove povertà.

Obiettivi, valori e fondamenta etiche

Arte Migrante è un gruppo che si dichiara apartitico e aconfessionale, volto a mettere insieme, attraverso diverse forme d’arte, persone provenienti da diverse nazionalità e condizioni sociali. Il gruppo ha l’obiettivo di abbattere il muro dell’indifferenza, grazie alla condivisione, all’ascolto e al rispetto, in altre parole attraverso una comunicazione interculturale.

Arte Migrante, si è detto, non prende una posizione politicamente definita e netta (nonostante abbia una linea politica), in altre parole non appoggia un partito, tuttavia si basa certamente su dei valori che accomunano i diversi partecipanti, “… perché siamo tutte persone, non dico con le stesse idee, ma con gli stessi ideali sì, gli stessi valori di base” afferma in un’intervista Margherita, una delle prime partecipanti ad Arte Migrante Trento, nonché parte del coordinamento. Questi valori sono stati ben riassunti anche nel manifesto stesso, riportato ad inizio capitolo.

Innanzi tutto, la composizione eterogenea del gruppo, al quale partecipa e può partecipare chiunque, permette come unica via di comunicazione quella interculturale, basata sull’incontro, sul rispetto e l’ascolto, nonché sull’inclusione e l’accettazione delle diversità. Questo principio di non-discriminazione è alla base delle relazioni che si vanno a creare all’interno del gruppo. Inoltre, nonostante Arte Migrante sia nata con l’intento iniziale di includere i “nuovi arrivati”, i migranti (si pensi anche al nome stesso), non esiste tuttavia una categoria sociale individuabile che sia abbastanza ampia per descrivere il gruppo di Arte Migrante, essendo presenti nei diversi gruppi giovani e meno giovani, uomini e donne, studenti e lavoratori, italiani e non-italiani, con dimora e senza fissa dimora, abili e diversamente-abili, … . In altre parole, come descrive Mariluce (partecipante e organizzatrice di Arte Migrante Trento):

82 “Per me, alla base, quello che sento forte, è la condivisione al di là di qualsiasi barriera, culturale e di stile di vita. Mi riferisco anche a chi non ha una fissa dimora o a chi … qua da noi, non abbiamo persona diversamente- abili, forse sì un signore … ma in altre “Arte Migrante” sì, di più, anche persone con abilità diverse. Arte Migrante migra, è aperta a tutti. Vuole abbattere qualsiasi barriera, non solo italiano – straniero. Quindi non ci dobbiamo solo focalizzare su questo.”

Questa comunicazione interculturale porta alla comprensione stessa delle persone, diventando non più una questione estetica o tecnica, bensì un vero fondamento etico (Lorenz, 2010: 135). La possibilità di comunicare deriva quindi da una mutua buona volontà di incontrarsi e comprendersi, di condividere anche uno sforzo:

“Diciamo che, probabilmente, coloro che si avvicinano ad Arte Migrante sono ragazzi che hanno comunque, come gli italiani che partecipano, un’apertura, la volontà di mettersi in gioco e una visione più aperta, … È un’esperienza che ti mette in gioco a tutto tondo. Le persone con cui entri in contatto hanno un terreno comune, le barriere sono più facili da far svanire perché entrambe le parti si mettono in gioco.” (Mariluce)

Un altro dei principi cardine è quello della non-violenza che, nella sostanza, è profondamente legato alla comunicazione sopradescritta: se la violenza (qui intesa come fisica e verbale) dominasse l’incontro, significherebbe quindi che la paura dell’altro avrebbe preso il sopravvento e dimostrerebbe l’incapacità del gruppo di ammettere e sostenere l’ambiguità e l’instabilità insita nell’incontro con l’altro (Lorenz, 2010: 136). Questi principi sono inoltre supportati da una visione del mondo che vede nella diversità e nell’altro la fonte d’energia, il motore per portare avanti la società stessa, attraverso il dialogo e la pace. Il raggiungimento della coesione sociale e dell’integrazione nelle società europee non si sostanzia infatti nella ricerca di somiglianze, ma nella valorizzazione della diversità di qualunque tipo (culturale, etnica, o in termini di interessi e abilità), che costituisce il vero materiale da cui le entità sociali derivano la loro forza e la loro energia per formare legami coesivi (Lorenz, 2010: 19).

Il cerchio come pratica d’ascolto

Nonostante Arte Migrante sia caratterizzata dal raggruppamento spontaneo e da un’”anarchia generativa”, essa ha una struttura e utilizza delle pratiche sia simboliche, sia di facilitazione comunicativa, andando a strutturare quindi un metodo di lavoro, “può esserci spontaneità anche con il metodo … Il metodo può essere educativo, può essere un metodo per stare insieme” (Matteo, partecipante e coordinatore di Arte Migrante). In particolare, per facilitare la comunicazione, è stata adottata la pratica del cerchio, figura geometrica che sta alla base di un’intera pedagogia comunicativa, denominata “Circle Time”(Roffey, 2006). Il cerchio, infatti, elimina la gerarchia e predispone uno spazio che permette la parità dialogica, dove ognuno sta sullo stesso livello.

“Infatti, il punto più importante, secondo me, è il cerchio, che porta tutti a vedersi, a guardarsi tutti negli occhi, a sedersi per terra quasi sempre e non sulle sedie. Sentirsi tutti sullo stesso piano, sì.” (Margherita)

83 Di più, il cerchio risulta essere uno degli strumenti comunicativi più funzionali (si pensi al suo utilizzo anche negli asili e nelle scuole primarie) perché rende i componenti del gruppo attivi e co-partecipi nella costruzione di un dialogo, facilitando ancora di più la comunicazione interculturale. Questo posizionamento spaziale permette dunque fluidità e favorisce lo scambio, la reciprocità, il confronto e la negoziazione. Si mette così in discussione il tradizionale sistema organizzativo spaziale, permettendo a tutti di farne parte, indipendentemente da chi tu sia.

Questa decisione (come spiega Tommaso Carturan, fondatore di Arte Migrante, nell’intervista):

“è venuta molto naturale. Quando abbiamo fatto la prima serata abbiamo pensato che la cosa giusta fosse mettersi in cerchio e fare una serata in cerchio. Poi, probabilmente io sono stato anche scout, quindi indirettamente sono stato anche influenzato dalla mia esperienza scoutistica. Però diciamo che c’è venuto proprio naturale la prima sera metterci in cerchio e condividere, che era l’intento della prima serata, raccontarci un po’ le nostre vite e condividere proprio una serata assieme. Quindi non è stata programmata o progettata.”

Una volta superate quelle barriere artificiose, sia simboliche sia spaziali, ostacoli di comunicazione, si potranno quindi condividere le proprie storie e la propria arte in un contesto più libero: il cerchio diventa contenitore di esperienze personali e gruppali, ponendo il focus sulle persone nella loro globalità e permettendo un apprendimento dell’altro basato sulla semplicità e sulla complessità allo stesso tempo. Gli individui si attivano, ricodificano e ricostruiscono i significati attribuiti alla realtà.

L’arte, “il nostro grido alla vita”

I principi sopradescritti, volti a sostenere un nuovo movimento, un nuovo stile di vita e approccio alla realtà, sono portati avanti attraverso un canale di condivisione imprescindibile: l’arte. Nonostante vi siano differenze in ogni gruppo di Arte Migrante, l’arte resta il cuore di ogni esperienza e di ogni contesto del movimento.

“Se non ci fosse l’arte saremmo delle persone non dico annoiate, ma un po’ a disagio che non saprebbero come approcciarsi no? Alla fine, si usa l’arte perché è un linguaggio universale che va diretto al cuore delle persone e ti unisce senza bisogno di stare lì a dirsi chissà cosa. È un modo diretto per sentirsi parte della stessa esperienza e condividere qualcosa.” (Angela, partecipante e coordinatrice di Arte Migrante Trento)

“Credo che l’arte sia sempre stata il legame un po’ per tutto.” (Margherita)

L’arte permette quindi di esprimersi e relazionarsi, lasciando aperti dei canali “universali” di accesso al dialogo, anche laddove la lingua non è in comune.

“L’arte ti lascia un segnetto, ti aiuta con l’espressione quando non hai altro strumento di parola, inizi a conoscere quello che volevi conoscere … come realizzare un sogno, diciamo.” (Jacarya, partecipante di Arte Migrante Trento, dal Mali)

84 “L’arte mi è molto utile per comunicare agli altri le cose. Anche quando non parlavo bene …” (Mamudu, partecipante di Arte Migrante Trento, dal Gambia)

“Con la musica ho sempre avuto la porta aperta.” (Alpha)

Di più, come già detto in precedenza, l’arte è qui intesa nel suo aspetto performativo ed espressivo, non tanto come fattore estetico, quindi per interagire con gli altri, seppur all’interno del gruppo vi siano persone competenti anche a livello tecnico. L’arte risulta quindi essere ciò che rende pulsante e vivo il gruppo, è quella novità continua che riesce a stimolare e dare idee, che rende ogni serata differente dalle altre. La spontaneità del gruppo e la presenza di persone sempre nuove porta ad un’esperienza partecipativa, dove ogni persona è parte indispensabile per la creazione di una serata non solo artistica, ma che diventa essa stessa un’opera d’arte nel suo insieme.

“L’elemento artistico che non ho trovato da nessun’altra parte, circolando tra diverse realtà artistiche e di condivisione (…), è che Arte Migrante è all’oscuro. È una camera artistica all’oscuro. Tu entri nella serata e la serata si costruisce da sé. Nessuno sa che attività, che espressione artistica, che contributo artistico ti darà la persona che hai accanto nel cerchio. Quindi durante la cena ognuno crea la sua lucina all’interno della serata e, paradossalmente, arrivano artisti qualificati che sanno fare arte a livelli anche professionali (…) e poi c’è la condivisione totalmente disinteressata: “io ti presento quello che ho da darti perché lo voglio fare in questo determinato momento e non perché mi hai chiamato qui e sono bravo a fare questa determinata cosa e la devo insegnare”. È solo presentarti il mio mondo in modo diverso, magari più bello e che ti arricchisce.” (Elio, partecipante di Arte Migrante Trento)

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