“Avendo tanti laboratori diversi tra loro, sicuramente questo, in quindici anni di carriera,
è il laboratorio che mi ha emozionato di più, perché vai a toccare con mano il desiderio e la difficoltà,
la drammaticità ma anche la forza della vita, tutto questo, attraverso il teatro. Il risultato scenico è un montaggio laboratoriale che nella sua semplicità, in un’ottica lungimirante,
vuole intrecciare le prospettive risonanti di migrazione nostra e altrui in quell’imprescindibile senso di vita e senso civico
che ritroviamo tra passato e presente,
con la forte volontà di vivere bene insieme l’essere cittadini di Trento: in una parola … CIVES!”
– Michele Torresani, educatore teatrale e regista di CIVES –
Il progetto CIVES (dal latino, letteralmente “cittadino”) viene definito come un “Laboratorio Teatrale Interculturale di Cittadinanza Attiva”. CIVES nasce da una proposta di cittadinanza attiva, frutto di una co- progettazione coordinata da A.T.A.S. – Associazione Trentina Accoglienza Stranieri – con il sostegno del Comune di Trento e con la collaborazione dell’Equipe Teatro della Società Cooperativa Sociale Progetto 92, che, nel pratico, ha condotto il laboratorio e la successiva creazione del prodotto finale. L’iniziativa è nata nel 2016, vedendo la realizzazione di tre edizioni, ed è stata promossa dal CINFORMI – Centro Informativo per l’immigrazione della Provincia Autonoma di Trento – che ha inserito la proposta teatrale in un ventaglio di molteplici attività di formazione ed inclusione per i richiedenti asilo, nell’ambito dell’accoglienza. Il progetto è stato pensato quindi per i richiedenti asilo presenti nelle macro e microstrutture alloggiative attivate a Trento e dintorni.
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Da Migrantes a CIVES: continuità e cambiamenti nelle tre edizioni
Le prime due edizioni, che prendono il nome di Migrantes e Migrantes2, sono state due edizioni simili tra
loro, anche se progressive ed evolutive. Infatti, dalla prima alla seconda, ci sono stati degli sviluppi, dove tuttavia la base concettuale, tematica e lo scopo erano in continuità. Nelle prime due edizioni, si trattava di un’attività per richiedenti asilo proposta e promossa dall’educatore teatrale del Progetto 92 Michele Torresani57, volta alla formazione e allo svago, con la creazione poi di un prodotto finale, uno spettacolo, da portare ad un pubblico per far emergere le storie dei migranti e sensibilizzare. L’edizione 2018 – 2019, si è avviata con dinamiche istituzionali, uno scopo e anche degli elementi strutturali differenti:
“(…) i primi due progetti comunque sono nati da una proposta di Michele, come attività da fare con i richiedenti asilo, mentre quest’ultima edizione era un’altra cosa (…) il Comune di Trento ha deciso di utilizzare una parte del bonus gratitudine58 proprio per i richiedenti asilo. Quindi si è fatto partire di nuovo un progetto, ma più con
l’idea di inclusione (…) un percorso di altro tipo, con il tema della “cittadinanza attiva” e del bene comune, del vivere in un contesto e come si sta in tale contesto … quindi abbiamo chiesto di nuovo a Michele che sapevamo come lavorava.” (Silvia Volpato, coordinatrice dell’Area Relazioni di Comunità, A.T.A.S.)59
Dalla prima alla seconda edizione, quindi, le differenze sono state poche. Nella seconda edizione, si sono aggiunti allo spettacolo finale i risultati di due workshop, uno di composizione rap e uno di danza tradizionale africana, tenuti da due esperti, Samba Sagna e Nana Motobi, che hanno collaborato con Michele. A questo proposito, Silvia nell’intervista ha commentato:
“L’anno scorso si è aggiunto, per volere del direttore di CINFORMI, della musica rap e balli africani. L’idea era che rendesse lo spettacolo più accattivante, puntando su aspetti che “notoriamente” caratterizzano la cultura africana, che si pensa … sono un po’ cinica a riguardo. Nel primo workshop dove dovevano costruire lo spettacolo con balli tipici e con vestiti tipici, che probabilmente non avevano nemmeno mai provato nel loro paese, la maggior parte di loro non sapeva ballare. C’erano quattro fila, la prima fila super bravi, poi dietro chi nemmeno si muoveva, ecco.”
57 “Questo progetto è arrivato direttamente al CINFORMI, inizialmente non a me direttamente, ma all’area di
sensibilizzazione nelle scuole, a Mirco, che in passato aveva seguito un progetto con i minori stranieri e le seconde generazioni immigrate. Il primo passaggio è stato fatto a livello più alto. Questo educatore teatrale del Progetto 92 si è proposto di portare avanti il progetto. Io non avevo elementi. All’inizio ero anche stupita, perché questo aveva un costo, di un professionista che voleva giustamente lavorare. Il fatto di saper già come lavorava ha convinto e ha fatto approvare la proposta.” – Silvia Volpato –
58 Il bonus gratitudine è un bonus di 500 euro cadauno, per ogni migrante accolto dai comuni, che può essere utilizzato
senza vincoli specifici di area, ovvero non deve essere speso necessariamente nel sociale. In particolare, la Provincia di Trento ha stipulato un accordo con l’unione dei Comuni, affinché una parte del bonus venisse usato nell’accoglienza dei richiedenti asilo.
108 Come si nota da questo estratto, è evidente che l’dea che si sviluppa all’interno dei servizi stessi rivolti ai richiedenti asilo, è spesso stereotipata (sia in negativo che in positivo) e porta ad una riflessione sulla formazione degli operatori stessi (si vedrà in seguito questo aspetto).
Struttura, obiettivo e tematiche del progetto
In tutte e tre le edizioni, Michele ha proposto uno schema di lavoro continuativo, dividendo il progetto nell’arco dell’anno in due fasi: una prima fase laboratoriale (temporalmente, si è svolta da ottobre a dicembre), dove conoscersi e lavorare sulla tematica, facendo emergere gli elementi contenutistici dello spettacolo, per poi passare alla seconda fase (da gennaio a maggio), dove è stato creato il prodotto finale. Si potrebbe poi anche evidenziare una terza fase, che è quella di restituzione ed esposizione al pubblico. L’obiettivo generale delle tre edizioni è stato quello di presentare un’esperienza nuova, che permettesse ai partecipanti di relazionarsi inter-culturalmente tramite la facilitazione dello strumento teatrale che, peraltro, non utilizza necessariamente l’aspetto verbale, quanto più quello fisico – posturale, permettendo anche a coloro che sanno meno la lingua di poter portare se stessi e la loro espressione.
“Il tipo di percorso è la ricerca di un nuovo spazio di rielaborazione, dove confrontarsi e parlare italiano, ma avere anche un prodotto finale da mostrare poi, per promuovere la sensibilizzazione rispetto alla tematica.” (Silvia)
Le tre edizioni hanno visto l’analisi di due tematiche differenti: le due edizioni di Migrantes vedevano come elemento cardine quello del viaggio, dove i richiedenti asilo hanno portato le loro esperienze e le loro storie. Il primo obiettivo era dunque quello di permettere ai ragazzi di avere uno spazio nel quale sentirsi liberi di raccontare e, attraverso il racconto, dare una nuova forma ai loro vissuti. Tuttavia, il tema affrontato, come fa notare Silvia, è spesso stereotipato e molto inflazionato:
“Le prime due edizioni erano incentrate sul tema del viaggio (…) Però ad un certo punto dici “Basta!”, è la svendita della storia personale, perché fa scendere la lacrimuccia e sensibilizza (…) Comunque Michele lo ha fatto emergere in modo molto semplice e pulito, molto forte.”
Si potrebbe dire che anche se il viaggio è stato affrontato come tema per un motivo virtuoso, si rischia di non riuscire ad avvicinarsi al pubblico, il quale continua ad avere una lettura del fenomeno migratorio semplificata e ridotta, riconducibile sempre a delle tematiche generali che non permettono dunque un’analisi complessa e approfondita, in grado di mostrare non solo il passato della persona, ma anche la vita presente e le aspettative future.
109 L’ultima edizione, invece, ha messo in centro il concetto di cittadinanza60 (per questo il cambio del nome in “CIVES”) come fulcro di comunanza del gruppo:
“I vissuti riguardo al viaggio li abbiamo analizzati molto nelle prime due edizioni, meno quest’anno. Quest’anno ci siamo più concentrati sulla percezione di ciò che è difficile e ciò che mette in difficoltà nell’essere cittadino di Trento, cosa invece vedo di positivo. Poi anche un’evoluzione sul desiderio di vita: “cosa mi piacerebbe sviluppare, per cosa mi sto impegnando?” ma anche cosa penso di fare se non mi venisse permesso di rimanere in questa situazione civica, diciamo. Quindi anche spostare l’ottica da quella personale a quella corale, vedendo cosa facessi nel mio paese di origine per gli altri e cosa faccio qui per gli altri, porta anche a decentrarsi un po’.” (Michele)
Partecipanti
Le prime due edizioni di Migrantes hanno coinvolto più di sessanta richiedenti asilo da dieci diversi paesi dell’Africa Sub-Sahariana: Nigeria, Costa D’Avorio, Togo, Guinea Conacry, Liberia, Senegal, Gambia, Sierra Leone, Mali e Ghana. Di questi partecipanti, alcuni hanno preso parte a tutte e tre le edizioni. Coloro che hanno avuto questa costanza, hanno svolto nella terza edizione il ruolo di “tutor”, diventando degli elementi portanti, con un ruolo di maggiore responsabilità. Con la terza edizione si sono aggiunti anche due partecipanti di due paesi asiatici, il Pakistan e il Bangladesh, che gli anni precedenti non sono stati interessati e invece quest’anno si è riusciti a coinvolgerli. I richiedenti asilo del progetto fanno tutti parte delle residenze, o comunque ci sono passati negli anni. Nell’ultimo anno, comunque, con i tagli, gli operatori nelle residenze sono diminuiti e hanno quindi meno tempo anche per spiegare con precisione il progetto. In generale Silvia, descrive così la situazione di arrivo dei ragazzi al progetto:
“Alcuni erano i senior degli anni scorsi. Gli altri anni il bacino era più grande e l’operatore magari si prendeva la responsabilità di spiegare loro le varie cose. C’era più interesse. Poi, al Fersina c’erano già stati progettini di teatro. In generale, la mia impressione è che, chi arriva ad un primo incontro dei progetti ha capito solo parzialmente dove sta andando. Quindi hai sia quelli che accettano qualsiasi proposta per voglia di fare, quelli che hanno capito qualcosa di più, arte e musica, qualcuno che è stato trascinato dall’amico e poi quello semi- obbligato dall’operatore. Di solito, dal primo appuntamento il gruppo cambia. Chi se ne va, chi entusiasta trascina qualcuno di nuovo. Non ci sono però singole progettualità in verità.”
In più, Silvia prosegue sottolineando che all’interno del progetto c’è chi arriva con una preparazione artistica, magari acquisita già nel suo paese, chi invece non ha mai partecipato a progetti artistici (allo stesso modo, anche nei partecipanti italiani c’è chi ha delle esperienze, chi invece partecipa ad un progetto teatrale per la prima volta):
60 Come si è visto prima, questo non è solo dovuto ad un volere degli educatori, ma alla vittoria di un bando di
110 “Magari tipo Abubakar aveva già fatto teatro nel suo paese (…) Lui, Abubakar, ha fatto anche un corso per tecnico teatrale, perché molto appassionato. Un altro invece magari è venuto perché faceva un sacco di cose, ha guardato e ha detto “la cosa non fa per me” e non è più venuto. Si apprezza il work in progress. Anche se fino alla fine non so quanti capiscano cosa significhi poi salire su un palco.”
Un punto critico è la componente femminile. Infatti, solo la seconda edizione ha visto la presenza di sei ragazze di origine nigeriana, le quali, nonostante le basse aspettative iniziali, sono arrivate fino alla fine del percorso. L’unica ad averne accennato è stata Silvia:
“L’anno scorso avevano partecipato anche cinque o sei ragazze straniere. Non conosco le loro storie individuali. Ma rispetto alle ragazze nigeriane, il rischio che siano state o siano vittime di tratta e prostituzione è sempre molto alto. Io, partecipando ai primi incontri, temevo se ne sarebbero andate perché alcune di loro, si vedeva anche all’inizio e me lo confermava l’operatrice, sono state anche vendute. Quindi, il tema della fiducia è qualcosa di molto, molto delicato. Dopo tutta una serie di esperienze, non ti fidi più di nessuno. E fare anche una serie di esercizi in cui devi chiudere gli occhi e lasciarti cadere, avere la fiducia che l’altro ti prenderà … eppure anche l’anno scorso sono arrivate fino alla fine.”
Nonostante la buona riuscita del loro inserimento, quest’anno non si è riusciti a coinvolgerle nuovamente. Questo elemento mostra come spesso la componente migrante femminile sia divisa da quella maschile, non solo a livello fisico (gli uomini e le donne sono in strutture divise, i primi di solito ubicati nelle città, le seconde in centri maggiormente protetti in paesi o territori periferici), ma anche a livello progettuale. Questo, in parte, viene giustificato dalle loro storie e situazioni di vulnerabilità. La donna migrante, infatti, vede spesso una sovrapposizione di numerose vulnerabilità, a partire dal suo stesso essere donna, per poi arrivare a cause più specifiche legate alla provenienza e all’essere spesso vittime di tratta e prostituzione. L’analisi della tesi evince un approfondimento su questa condizione di isolamento – protezione, anche perché non è stato possibile intervistare, vista la mancanza di partecipanti donne in quest’edizione, nessuna ragazza. Tuttavia, è importante riflettere e porsi qualche interrogativo su una tematica che spesso viene ignorata (si pensi anche alle rappresentazioni mediatiche, che mostrano di rado donne, ma pongono quasi sempre l’accento sull’invasione di giovani maschi neri), chiedendosi anche che prospettive ci sono per queste donne che sono inserite in un sistema di protezione precario61 e isolato spesso dalla società, in altre parole un sistema che andrebbe ripensato.
Parlando dei partecipanti italiani, nelle prime due edizioni, si era cercato di coinvolgere anche volontari italiani, ma la loro presenza era secondaria rispetto allo scopo. Il numero di questi era molto basso e il ruolo che rivestivano all’interno del progetto era posizionato in una sorta di gerarchia tra l’educatore teatrale e i partecipanti richiedenti asilo: si era dunque creata una disparità di ruolo, creando anche un distacco tra
61 In Trentino, negli ultimi anni, c’è stato un continuo spostamento degli appartamenti protetti, come ad esempio il
111 italiani e stranieri. La terza edizione, da questo punto di vista, rappresenta una svolta importante: il variegato gruppo ha visto la presenza di studentesse universitarie, lavoratrici e ragazzi delle scuole superiori in alternanza scuola – lavoro. Il gruppo è dunque risultato più equilibrato, anche se numericamente inferiore rispetto agli altri anni (quest’anno il gruppo raggiungeva trenta partecipanti):
“Quest’anno la relazione ha funzionato meglio comunque, l’interazione, era proprio un gruppo che presentava il suo spettacolo teatrale. L’anno scorso la frattura era più grande, era un gruppo di richiedenti asilo e le volontarie. (…) Quest’anno, forse per una serie di coincidenze … vuoi perché abbiamo insistito sulla comunanza di essere cittadini di Trento, fossero più italiani … il gruppo era molto equilibrato. Anche con alternanza e università, l’età era lì. Il tema era anche meno sbilanciato. Anche quando parlavamo … che so … di volontariato, i ragionamenti erano più o meno simili.” (Silvia)
Il rischio grande di questi progetti è proprio quello di creare uno squilibrio forte tra richiedenti asilo e partecipanti italiani, ponendo questi ultimi su un “gradino” sopra. Nelle edizioni precedenti, durante i pomeriggi, come operatore, era presente solo l’esperto teatrale, Michele, mentre la seconda edizione ha visto la partecipazione di altri due professionisti artistici. In nessuno dei due anni, ad ogni modo, è stato presente continuativamente un operatore delle residenze o di A.T.A.S. ed è quindi nei volontari che è stata trovata una figura più gestionale, alla quale affidare determinati “compiti”. Quest’anno è invece stata presente Alessandra, collaboratrice di Silvia in A.T.A.S., che per suo personale interesse ha scelto di fare seguire tutti gli incontri del progetto:
“Con il senno di poi, il fatto che anche tu, Alessandra, fossi sempre presente, ha creato una figura più gestionale in te, togliendo il ruolo dai volontari e quindi lasciando al gruppo la possibilità di crescere alla pari. Gli altri anni, queste mansioni venivano affidate ai volontari e si creava una delega … le ha messe in una posizione “sopra” … quest’anno è stato un gruppo più in connessione.” (Silvia)62
Nonostante ci sia stato maggiore equilibrio, è importante specificare due punti. Innanzi tutto, il fatto stesso che per i partecipanti italiani questa fosse un’esperienza di volontariato, implica comunque per definizione che si trattasse di un servizio nei confronti di una categoria che necessita di aiuto e assistenza. Nonostante i richiedenti asilo siano effettivamente in una condizione svantaggiata, si consideri anche solo l’aspetto legale o la condizione lavorativa e alloggiativa, ai fini del progetto, per restituire una piena parità, sarebbe stato più utile trovare un’altra definizione. A differenza di altri progetti proposti da A.T.A.S., come i corsi di lingua e quelli di informatica, dove il volontario presta una sua conoscenza e insegna, nel caso del laboratorio teatrale, l’idea era comunque quella di creare un gruppo di conoscenti, se non addirittura amici. Come si vedrà nell’analisi delle dinamiche di gruppo, questo è avvenuto in parte, ma in maniera lenta e incompleta.
62 L’intervista è stata fatta contemporaneamente a Silvia e ad Alessandra, in quanto la prima ha seguito l’avvio del
112 Come si è accennato prima, i ragazzi italiani sono per la maggior parte studenti: tre studenti delle superiori (una ragazza e due ragazzi) in alternanza scuola – lavoro63, mentre tutte le altre sono studentesse universitarie dell’università di sociologia, arrivate al progetto tramite l’iniziativa SUPER - Studenti Universitari per i Rifugiati - che propone per un monte ore di 75 ore di volontariato, presso associazioni coinvolte nell’accoglienza, la restituzione di tre crediti formativi. In più, si sono aggiunte una ragazza e una donna lavoratrici. Le motivazioni di arrivo sono le più disparate, ma possono essere state anche funzionali ad altro e non solo da una volontà di conoscenza di qualcosa di nuovo:
“Mi sembrava un bel progetto e dava abbastanza ore, preferivo spenderle in questo modo, più simpatico (…) la predo come un’esperienza così, ma a livello mio, non credo abbia cambiato molto sinceramente.” (Francesco, partecipante delle superiori)
Tuttavia, nonostante la spinta iniziale possa essere stata “tiepida”, ciò che i ragazzi si sono portati via è stato senz’altro importante. Inoltre, la continuità che il gruppo ha avuto nell’arco dell’anno è stata significativa, come dice Silvia:
“Anche garantire la continuità delle persone su un progetto lungo è molto difficile, comunque. Per questo spesso proponiamo attività più brevi. Già quando superi i due mesi è complicato, la gente si perde. Anche perché alcuni vengono spostati. In questi tre anni, il progetto ha visto una riduzione dei numeri, in parte anche strutturale, però poi il grosso delle persone ha tenuto fino alla fine, non è scontato.”
Questa continuità non è scontata, sia alla luce delle note scelte politiche dell’ultimo periodo, sia perché i richiedenti asilo, ormai in Italia da qualche anno, hanno ora priorità differenti, soprattutto lavorative.
Nella crisi, la spinta per continuare
A livello politico, a partire dall’inizio della terza edizione, sono avvenuti due grandi cambiamenti, scelte che hanno deciso di non puntare più su attività che promuovano l’integrazione, andando incontro a un numero sempre maggiore di tagli nel sociale, nonché a situazioni individuali sempre più problematiche. Di queste, si è parlato nel capitolo 5, della modifica degli assetti istituzionali e dell’eliminazione di interi servizi (si pensi alla chiusura di una parte della Residenza Brennero). Questi cambiamenti hanno influito anche sul progetto CIVES, sia per la prosecuzione del progetto, sia per quello che riguarda il rinnovo di permessi di soggiorno di alcuni partecipanti.
Il progetto CIVES, a differenza di altri progetti promossi da A.T.A.S., non è un progetto a costo zero, in quanto viene pagato l’affitto dello spazio dove il gruppo provava e vi era la presenza di un professionista (Michele), pagato per svolgere il suo lavoro. A dicembre 2018, quando ormai si era conclusa la fase laboratoriale, con il cambio dell’assetto Provinciale a seguito delle elezioni di ottobre, sono stati tagliati i fondi per il progetto. È