L’arte, come anche altre espressioni umane, porta alla luce una componente identitaria molto forte. Così, Arte Migrante vede la crescita identitaria di coloro che ne fanno parte, una crescita legata all’ascolto e alla partecipazione, all’interazione con gli altri e con il sé, interrogato e messo in discussione, rinegoziato con la
92 diversità che ci sta di fronte, attraverso il canale artistico:
“Beh, arte è buttare fuori ciò che si ha dentro. Per fare arte bisogna avere dentro qualcosa che vuoi e riesci a comunicare agli altri. Arte è comunicazione e quindi l’arte è un tentativo di comunicare e creare il sé, che in altri modi è tanto difficile.” (Matteo)
Il concetto identitario è molto complesso, in quanto influenzato da diverse componenti: si ha l’esperienza soggettiva del sé, basata sulla propria storia (filtrata attraverso significati attribuiti dall’individuo al mondo, che comprende passioni, aspettative, storie passate, errori e scelte); il legame dell’identità con le caratteristiche fisiche e mentali (il nostro pensiero, i nostri ragionamenti, il nostro cervello inteso come interazione geni-ambiente); la componente socioculturale (che si lega a pensieri, ideologie e credenze); infine, l’identità è in continua interazione e negoziazione con gli altri (nasce qui la distinzione tra identità sentita e identità percepita dagli altri). Di più, nella società europea e, più in generale, occidentale, con la nascita dello stato moderno, va via via crescendo l'individualismo e il concetto di identità personale (anche all’interno dei servizi sociali stessi). Non si guarda più alle caratteristiche che rendono uguali i membri di un gruppo, bensì alle differenze che li contraddistinguono (Giovannini, 1977).
L’identità risulta dunque essere un concetto fluido e instabile, in movimento, comprende l’idea stessa di evoluzione e tuttavia, paradossalmente, l’identità crea appartenenza e ricerca un sentimento di continuità del sé e una collocazione fissa all’interno della sfera sociale (Giovannini, 1977). Il gruppo di Arte Migrante contribuisce allo sviluppo identitario del singolo su più versanti. Da un lato, permette la narrazione priva di giudizi della persona, che viene riconosciuta attraverso ciò che è il suo passato e, dunque, non viene appiattita. Dall’altro lato, il partecipante ascolta l’altro, si riflette in lui ricreando una parte di sé. Questo avviene tanto negli italiani, quanto negli stranieri, che tuttavia hanno un maggiore ostacolo espressivo, attribuendo alla realtà significati codificati differentemente.
“A volte, le differenze culturali che ci sono possono portare a delle incomprensioni. Può capitare con alcuni ragazzi, comunque, diciamo… Abbiamo dei modelli interpretativi di alcuni comportamenti che sono diversi. Si creano delle situazioni nelle quali ci sono quindi delle incomprensioni.” (Giulia)
Identità e narrazione: la storia e il passato
Nel gruppo di Arte Migrante, non è raro che i ragazzi e gli uomini di origine straniera sentano la libertà di raccontarsi, di raccontare del proprio passato, della loro storia e anche del viaggio. Spesso, quest’ultimo argomento è inflazionato e strumentalizzato ai fini, per esempio, della richiesta del permesso di soggiorno. L’utilizzo del profugo – vittima porta ad una valutazione dove il più meritevole è colui che ha subito di più (Gallo, 2016: 26): gli operatori quindi tendono loro stessi a creare una storia che si focalizzi sui punti traumatici del richiedente asilo, che deve quindi puntare soprattutto a mostrare il suo lato di migrante e non quello di
93 persona. In Arte Migrante, la condivisione del passato è invece libera, priva di obblighi e funzionale solo alla condivisione di ciò che si reputa fondante della propria storia, ciò che si vuole i propri amici sappiano (dunque una vera e propria componente identitaria e non una narrazione asettica e poco sentita). Nonostante la narrazione possa essere sugli stessi argomenti, infatti, il modo, la motivazione e il significato attribuiti sono differenti.53
“… tanti raccontano anche la loro storia. Momenti dove comunque … Sono momenti molto belli, dove comunque anche i ragazzi immigrati raccontano la loro storia, anche del loro viaggio. Questo di solito è molto importante per loro. Questi sono sempre bei momenti.” (Matteo)
L’arte rappresenta nuovamente un luogo di racconto molto importante, soprattutto laddove la lingua è un ostacolo:
“Beh, alcuni ragazzi di altre culture anche se non parlavano bene l’italiano, all’interno di Arte Migrante trovavano il modo di esprimersi. Mi ricordo questo ragazzo, che adesso abita ad Aldeno, adesso mi sfugge il nome, del Gambia. Lui non sapeva bene l’italiano. Ci si salutava, lui ha sempre un saluto bellissimo ma a livello di scambio personale era un pochino più difficile. Però lui secondo me, ha fatto una delle performance che più mi è piaciuta. Ha fatto una condivisione semplicemente di una canzoncina loro, del Gambia, che forse cantano i bimbi, non so. Ma tutti abbiamo iniziato a cantare e a muoverci in cerchio e lui forse cantava alcune strofe e noi dovevamo rispondere. Quindi c’è modo di portare quello che si ha. Io non sono una persona che condivide tanto, su questo non posso dare un grande contributo. Però ho visto che negli altri c’è stato molto.” (Mariluce)
I momenti di narrazione non sono importanti solo per chi li racconta, ma sono fondamentali anche per chi li ascolta:
“Mentre, soprattutto nella sessione estiva, quando facciamo i cerchi nei parchi e nelle piazze, arrivano loro e raccontano la loro storia, penso sia una cosa che ti arricchisce veramente tanto. E poi, vedi una parte della società in un modo totalmente diverso. Ha migliorato la mia capacità di stare con gli altri, con chi non avrei mai sognato di poter condividere un’esperienza associativa che mi ha dato tantissimo.” (Elio)
Ancora una volta, la comunicazione interculturale si mostra come apertura e conoscenza del sé e dell’altro. Identità e gruppo: la costruzione del presente e la porta verso un futuro
Cooley e Mead (Bagnasco, Bargagli & Cavalli, 2012) teorizzano il cosiddetto “Sé allo specchio”, il senso di Sé che sviluppiamo rispondendo alle interazioni con gli altri e osservando come gli altri reagiscono verso di noi, come una sorta di “specchio sociale”, ci vediamo cioè riflessi nei comportamenti degli altri nei nostri confronti.
53 Si noti che, anche nelle interviste svolte per la tesi, la narrazione del proprio passato è stata più artificiale che nelle
94 Di più, vi è inoltre attraverso l’interazione un aspetto riflessivo e valutativo che diamo a noi stessi: l’autostima. Questa può variare da alta a bassa e deriva, in parte, da ciò che gli altri pensano di noi. Attraverso la performance, si riceve dagli altri un consenso, un rinforzo, nel caso di Arte Migrante, positivo, che tende a portare ad una maggiore accettazione e sicurezza del sé.
“E quindi tutti quelli che ci hanno messo qualcosa, che sia muoversi, anche muovere il culo per ballare o che sia leggere la sua storia davanti a tutti ... Tutti quelli che lo hanno fatto, dopo che lo fai ti senti molto più libero, molto più sicuro di stare con quelle persone con cui hai condiviso, che ora custodiscono una parte di te. Cioè, senti molto … hai meno paura di sembrare scemo, capito? Tutti i muri cadono. Cioè, se lo fai i muri cadono. Sì, direi che per questo l’arte è la base. Una volta che ti esponi, è bella per tutti, questa cosa. Impari a fidarti di tutti e basta. Sì.” (Matteo)
Non è dunque un caso che la maggior parte dei ragazzi di Arte Migrante, sia italiani, ma ancora di più stranieri (vista la distanza e la timidezza dovuta ad una lingua diversa), abbiano visto un cambiamento legato proprio alla sicurezza e al coraggio di esporsi. Vedere se stessi nell’approvazione degli altri ha creato un rinforzo in coloro che si sono messi in gioco nelle serate.
“Tante cose sono cambiate. Perché quando ho iniziato, facevo poco intervento davvero, non potevo parlare perché non parlavo bene e mi vergognavo di parlare. E piano piano, gli amici sono simpatici e mi buttavano nel parlare “dai buttati, dì qualcosa!” mi dicevano. E se non sei sicuro di te, fai fatica.” (Alpha)
“Sì, perché all’inizio ero proprio molto timido e non facevo quasi niente. Non parlavo e non leggevo neanche le mie poesie. Ultimamente devo dire che mi sono diventato bravo, perché le leggo. Prima di Arte Migrante durante le serate fanno nei locali mi chiedevano di leggere poesie … ora le leggo volentieri … prima non riuscivo, ma gli ultimi mesi, da dicembre, quando ho voglia lo faccio, prima non riuscivo proprio a leggere, anche quando volevo, non me la sentivo, non riuscivo proprio per niente e facevo leggere ad altri.” (Mamudu)
“Mi ha cambiato molto, molto moltissimo. Anche se non siamo arrivati al punto che volevo arriviamo. Aveva molta paura all’inizio, delle persone soprattutto e ci sono molte persone che hanno paura di noi. Anche io lo sentivo uguale, quando ero nei progetti mi dicevano “stai attento a questo, stai attento a questo … devi andare così e fare questo …” allora ho preso molto quelle parole lì e andando con la mia testa a controllare se è vero o non è vero, ci sono alcuni casi dove ho ricevuto come mi avevano detto e in quei casi lì mi hanno fatto paura molte persone e quindi … e dopo sono diventato anche timido … fino ad ora lo sento ancora tanto, ma meno di prima. Quando mi sono presentato ad Arte Migrante, mi ha aiutato proprio a tirarmi fuori.” (Jacarya)
Questa spinta ha poi reso anche più facile l’apprendimento della lingua italiana stessa, attraverso lo stimolo comunicativo nei confronti di un gruppo di pari.
“Nel caso dei migranti, il cambiamento è stato importantissimo, perché tanti di loro all’inizio non parlavano nemmeno tanto bene l’italiano. Per alcuni è stata proprio una spinta a venire in contatto con italiani della stessa
95 età, a farsi degli amici, ad avere dei momenti anche normali, dove ti trovi e ceni con amici, parli del più e del meno e ti senti anche normale. Non sei in una residenza sterile e triste. Ti senti più motivato, trovi un riscontro di quello che fai a lezione, che se non sai niente è comunque importante. Ma sicuramente nel parlato e nel dialogo, vis’a vi, è la cosa più importante di tutte. L’esempio più eclatante è un amico che all’inizio non parlava italiano e si vergognava tanto per la pronuncia diversa e per la paura di non essere capito. Quindi all’inizio, gli facevo da traduttrice. Lui, sempre, veniva da me. Ero un po’ la mamma che faceva da tramite e lui si esprimeva solo in francese e poi, vabbè, a settembre dell’anno scorso sono andata in India e quando sono tornata a dicembre lui mi ha detto “Adesso parlo solo italiano, non mi serve nemmeno più aiuto” e quindi quello per me è stato bellissimo.” (Angela)
Per molti ragazzi di origine straniera, Arte Migrante ha rappresentato dunque uno spazio privo di giudizio dove riscoprire e ricostruire una parte di sé, entrando in contatto con una diversità altrimenti lontana e permettendo loro una vita presente più inserita in Italia. Questa ricostruzione identitaria non è priva di compromessi e difficoltà, ma è stata facilitata dal ponte artistico e resa possibile grazie ad Arte Migrante. Con lo sviluppo di un presente più stabile anche dal punto di vista socio-identitario, fioriscono anche le prospettive future e i sogni diventano più concretizzabili. La partecipazione ad Arte Migrante restituisce tridimensionalità alla vita, ridando un passato, un presente e un futuro: alcuni ragazzi hanno anche abbracciato la prospettiva di diventare veri e propri artisti.
Identità e cultura: ridefinizione dell’io
Ultima, ma non meno importante, parte costitutiva dell'identità è quella culturale, la quale entra in crisi nel momento in cui l’individuo entra in contatto con una società altra rispetto a quella di appartenenza iniziale. La cultura è, secondo la definizione di Tylor (1871), quel complesso unitario di capacità e abitudini acquisite dall'uomo in quanto membro della società ed è l'insieme dei caratteri propri di tale società o comunità. Essa contiene al suo interno il concetto di dinamismo e di relativismo (infatti anche i valori culturali si creano attraverso un processo di qualificazione: dipendono dalla cultura a cui appartengono).
La cultura si innesta sulla natura ed è un elemento costitutivo dell'uomo caratterizzato da tre fenomeni di dinamicità: l'inculturazione (il processo educativo grazie al quale i membri di una comunità vengono resi partecipi e consapevoli della propria cultura), l'acculturazione (il contatto tra due società che si influenzano e modificano) e la deculturazione (la sottrazione e / o distruzione del patrimonio culturale).
Le differenti culture danno vita all'etnicità, ovvero il prodotto del processo di identificazione in un campo relazionale. Quindi un gruppo etnico è caratterizzato da comuni concezioni di vita e dalla condivisione di moduli di comportamento normativo. L'identità risulta quindi essere un compromesso tra un'auto-identità ed un'etero-identità, derivata dalla relazione che oppone un gruppo etnico ad un altro. Questa “negoziazione” avviene nell'ambito delle relazioni sociali e si basa sulla definizione di un confine etnico, ovvero la fissazione di una linea di demarcazione, di una “frontiera simbolica” tra un noi ed un loro. Questa differenziazione nasce
96 da una volontà di diversificarsi rispetto ad un gruppo e riconoscersi in un altro (Bernardi, 2002).
Una tale definizione è teoricamente chiara, ma resta di complessa lettura in un mondo globalizzato dove il fenomeno culturale risulta sempre più mescolato e, grazie alle moderne tecnologie, si è creata anche una cultura mondiale (spesso basata sul consumismo e le mode con le quali i media manipolano interessi e piaceri). In Arte Migrante, la condivisione riguarda anche quest’aspetto, si cerca di conoscere la persona attraverso i suoi racconti, attraverso la sua storia. Grazie a questo passaggio, i partecipanti riescono anche a lavorare su alcuni preconcetti iniziali e decostruire la loro opinione:
“Forse che, molti ragazzi che frequentano Arte Migrante sono per la maggior parte musulmani. E io non ho conosciuto tanti ragazzi musulmani nella mia esperienza. Ho conosciuto delle ragazze che erano con me al liceo, ma loro erano molto tranquille sulla loro fede. Avevo pensato, non so perché, forse uno stereotipo un po’ di genere, pensavo gli uomini un po’ più radicali da questo punto di vista, forse più fissati sul discorso della fede. Ieri, un ragazzo invece mi ha spiegato un po’, non in senso critico, che con il Ramadan è difficile, è un discorso che sta molto a livello individuale, anche di sacrificio, se vogliamo. È difficile non mangiare tutto il giorno, lavorare e dover fare anche altre cose, boh … quindi è un discorso non così categorico, perché c’è tutta una dimensione individuale che si tende a perdere di vista, che anche io avevo perso di vista, pensando magari alle persone musulmane come un po’ tutti uguali su questo tema, un po’ radicali ecco.” (Alessandra)
Dall’altra, le persone di origine straniera arrivano in un ambiente totalmente nuovo, dove è necessario ricostruirsi. Uno dei partecipanti, Jacarya, durante una serata si è definito come un bambino che ha dovuto imparare nuove regole. E il nuovo ambiente va ad influire su molte abitudini di vita e modi di agire prima normali:
“… dover cambiare moltissime cose. Non solo abitudini. Anche devo cambiare un po’ di atteggiamento, perché è diverso … se io rimango sempre come ero, mi metteranno in difficoltà. La gente qui fa difficoltà a capire come siamo. Dobbiamo imparare tutto quando arriviamo, la lingua, la cultura e leggi e tutto. È tutto nuovo e quindi anche cambio il … cerco di livellarmi proprio come il livello che ho trovato qui. Anche il movimento … faccio un esempio, in cucina ... gli orari del mangiare e come si mangia … là mangiavo sempre con la famiglia, ora mangio sempre da solo. Abito a casa con altri ragazzi, ma anche se facciamo un’unica cucina, ognuno mangia il suo piatto. Anche se non è così bello lo facciamo lo stesso. Se sei abituato da quel punto lì, fai fatica a mangiare da solo anche. Perché prima mangiavamo sempre insieme.” (Jacarya)
Anche semplici movimenti, o piccoli gesti di tutti giorni, possono essere diversi, come la risata, il saluto, il fissare una persona negli occhi quando parla o no, … . Alcuni gesti possono anche essere fraintesi, se non conosciuti:
“È cambiata in modo anzitutto di come rapporto con le persone. Io mi avvicinavo alle persone, perché da noi è così. Ogni tanto prima, in Gambia, salutavo persone veramente senza conoscerle, come ci siamo conosciuti ci beccavamo e io salutavo. Ma dopo ho capito che qui non funziona così, se vedi una persona che hai già visto non la saluti, lasci andare. E questa cosa ho fatto proprio fatica, ma l’ho imparata questa cosa. Non saluto, se
97 ci salutiamo bene, se no niente, non ti saluto. È una delle cose che ho imparato e mi ha proprio cambiato.” (Mamudu)
“Soprattutto … anche la risata. Ricordi l’atro ieri, quando ho fatto una risata quando stavano parlando su di quelle storie delle donne … quella risata … sono due risate diverse perché in quel caso non era di divertimento, volevo fermarli prima di cominciare, non si sono fermati … hanno cominciato a raccontare fino ad un certo punto e ho sentito una cosa sbagliatissima che non è bella neanche di dire, … allora ho fatto quella risata.” (Jacarya)54
Di più, le differenze sono state a volte sentite e percepite anche nell’ambito artistico stesso, sia in modo pratico (come la differenza di alcuni strumenti), sia come interpretazione:
“Arte e anche cultura … da noi tipo, suonando anche il djembè, hai anche altri due strumenti, uno piccolo e un altro più alto di quello che hai visto l’altra volta. questi devono andare sempre insieme, tipo quando fanno a livello artistico. Violini che abbiamo e violini che avete sono diversi. Poi c’è la kora, con venti e qualcosa corde.” (Mamudu)
“Diciamo che l’arte non è mai superflua, però molto spesso arrivano delle espressioni artistiche che non capisci e sei lì che ti chiedi “cos’è?”. Magari hai il tempo di un intervento artistico in una serata per spiegare il tuo mondo, ma il mondo è vastissimo e spesso ci sono espressioni artistiche che non si colgono fino in fondo, a capire la persona e la storia della persona che le sta affrontando e quindi direi che l’arte viene esibita all’interno del cerchio ma non sempre si conosce la storia e il perché di quell’arte. Non sempre è capita fino in fondo, ecco.” (Elio)