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Gli incontri pensati di condivisione con la cittadinanza si sono presentati sotto due diverse modalità, lo spettacolo finale e il flash mob. Il maggior problema a cui si è cercato di far fronte attraverso il flash mob, è stato quello di raggiungere anche quelle persone che non verrebbero allo spettacolo, che già rappresenta un “passo di conoscenza” voluto, verso l’altro.

“Il flash mob forse è più aperto … chi ha visto erano gli abitanti del quartiere che forse non tutti erano sensibili. Ai beni comuni sì, perché hanno pulito il quartiere a questo evento, ma alla tematica dei migranti no magari. Sarebbe bellissimo far vedere lo spettacolo ad un pubblico più ampio.” (Alessandra)

123 Come fa notare Marta, però:

“Allo spettacolo sono venute le persone che già non hanno niente in contrario all’integrazione. L’idea del flash mob era quella di andare a toccare quelli che magari non sono attirati dallo spettacolo, in quel senso … persone che non siano già convinte insomma. Però sarebbe stato da fare un flash mob non su invito a questo scopo, è ovvio che se sei invitato … quindi magari sarebbe stato positivo fare un flash mob … che so, in Piazza Duomo, con persone che si fermano e si interrogano su cosa stai facendo … non è di per sé una cosa negativa, ma che si poteva pensare di fare.”

Lo spettacolo ha avuto però un effetto positivo quando è stato portato alle scuole, è stata un’idea pensata e di grande impatto: andare ad incidere nell’adolescenza, mostrando dei modelli positivi, può portare ad una crescita di pensiero. Inoltre, una dei momenti di condivisione più importanti è stato alla fine dello spettacolo. Infatti, c’è stata la possibilità di fare domande ed approfondire alcuni aspetti, attraverso il dialogo partecipato e partecipativo del pubblico. Da questa interazione sono nate domande su tematiche molto ricorrenti, ma che spesso vengono affrontate senza interpellare i diretti interessati. Durante il confronto, il pubblico ha così sollevato domande sia generali, sia personali, quali:

- Il lavoro dei migranti. Uno dei ragazzi ha raccontato del lavoro a Lavis, nel settore imballaggi, dove sono state assunte solo richiedenti asilo, sia per la bassa paga che per il tipo di lavoro. Si smonta così lo stereotipo del “Tolgono lavoro agli italiani”;

- Il Ramadan e altri aspetti della religione. I ragazzi hanno spiegato ad un insegnante in pensione dell’istituto tecnico Buonarroti, che ha posto con insistenza (quattro volte) la domanda “Saresti felice se togliessero il Ramadan?”, che il digiuno (non legato solo al cibo, peraltro) è una scelta molto personale e che, quelli che decidono di farlo, lo fanno per grande motivazione e coscienza. Questo intervento è andato a scardinare l’idea di una religione assoluta, come spesso viene ritratta quella musulmana, appiattita da qualsiasi sfaccettatura;

Sono poi stati condivisi degli stralci di pensiero sulla comunanza, il dialogo e l’amicizia che si è andata a creare. In più si è parlato della curiosità nei confronti dell’altro che si va creare sempre di più, con il conoscersi. Alcuni ragazzi hanno inoltre condiviso i loro pensieri sugli italiani, interrogando loro il pubblico, in una dinamica ping-pong, ribaltando la situazione:

“Alcuni africani sono buoni, altri no … perché non lo capite?” (Lassenai)

“Non capisco perché avete paura del nero. Quando giocavo a calcio, una volta, ci hanno attaccati: “Noi non giochiamo perché siete africani, tornatevene a casa” hanno detto” (Katamara)

“Dicono tutti che gli italiani sono razzisti. Vi ringrazio perché mi avete dimostrato che non è per tutti così” (Moussa)

124 “Io una volta, ho tolto un pregiudizio ad un’amica. Lei sosteneva che gli africani sono pericolosi. Con la fiducia e il dialogo, le ho spiegato che non è così. Nella scena teatrale ho trovato molti amici, avendo risposta al mio sogno di condividere e vivere con gli altri. Perché è così difficile da capire?” (Banjougou)

È stato creato uno spazio di dialogo a metà tra il teatrale e il reale, permettendo alle persone di allacciarsi senza vergogna a tematiche uscite nell’esibizione e, viceversa, consentendo ai ragazzi di portare loro stessi domande al pubblico. Una signora, a fine spettacolo, ha ringraziato e si è scusata, concludendo affermando: “lo spettacolo e quello che c’è stato dopo hanno dato uno spessore a persone con un passato, ma anche un futuro e dei progetti. Mi piacerebbe ci fossero più momenti così. Tanti discorsi sui migranti cambierebbero se non venissero appiattiti.”

Michele ha dunque invitato a parlarne e a condividere questo momento con amici e familiari, per rendere quest’esperienza moltiplicatrice:

“La cosa magica è che ci si sintonizza sullo stesso sguardo. Uno sguardo da condividere”

Infine, se è vero che la sensibilizzazione è avvenuta in maniera ridotta, anche se intensa, verso l’esterno, questa è altrettanto importante verso l’interno del gruppo stesso:

“I ragazzi diventeranno moltiplicatori e il loro racconto ad altri compagni e compagne sarà più forte di qualsiasi spettacolo teatrale probabilmente o dell’articolo sul giornale.” (Sivlia)

“Sarebbe bello che con uno spettacolo si raggiungessero più obiettivi, il percorso individuale, il percorso di inclusione e gruppo e poi anche quello di sensibilizzazione … sarebbe proprio bello … tra questo obiettivo interno e quello esterno. (…) Sarebbe bello poterli conciliare sempre questi aspetti. Ma se metto sul piatto di una bilancia la sensibilizzazione esterna e il percorso delle persone, sceglierei sempre il secondo. Lo spettacolo è solo la punta dell’iceberg. Comunque, lo spettacolo è solo una prima sensibilizzazione. La relazione che scatta dopo è molto di più che vedere solo lo spettacolo. Anche CIVES, io vedevo le facce di quelli che erano sul palco, da dietro le quinte. E ho pensato, “è il loro momento di gloria sul palco, ma è tutto quello che c’è stato dietro …” anche fisicamente abbiamo mangiato ed eravamo insieme prima dello spettacolo. Abbiamo riso, abbiamo fatto “merda, merda, merda, dai che ce la facciamo!” per me contano molto di più quei passaggi lì …” (Alessandra)

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