Come si è già osservato esaminando il testo di Ippolito – sul quale sarà necessario ancora ritornare –, un ulteriore motivo ricorrente contrassegna l’anomalo stile di vita dei Bramani: essi non si nutrono di carne.
Nelle fonti classiche questo motivo201 risulta già attestato da Strabone, che riferisce le informazioni di Megastene202. I Bramani – nei primi trentasette anni di vita – si asterrebbero dal consumo di esseri animati e dai rapporti sessuali203, ma in seguito vivrebbero con maggiore libertà, mangiando carni di animali non impiegati per i lavori dell’uomo e tenendosi lontani da cibi piccanti e conditi204. Sembrerebbe, a quanto ci viene detto, che la loro vita si suddivida in due fasi: nella prima l’astinenza dalla carne, insieme ad altre proibizioni, sarebbe totale, mentre nella seconda la dieta sarebbe più libera, anche se comunque morigerata205.
200 Hier. In Ezech. IV: Nos autem ita dicemus, alios haereticos falsitate dogmatum suorum praedicare
virtutem. Quorum fuit Pythagoras et Zeno, a quo Stoici, Indorum Brachmanes et Aethiopum Gymnosophistae, qui ob victus continentiam miraculum sui gentibus tribuunt.
201 La questione del vegetarianesimo dei Bramani è stata molto dibattuta. Qui possiamo ricordare che
Berg, Dandamis, cit., pp. 289-292 aveva notato le affinità e le differenze su quanto afferma Dandamis nel trattato di Palladio, circa l’astinenza dalla carne, rispetto alle idee neopitagoriche del De abstinentia di Porfirio e del De esu carnium di Plutarco. Inoltre si vedano le osservazioni di Stoneman, Who are the
Brahmans?, cit., pp. 506-508, il quale sostiene che tale pratica era comune ai Bramani, ai Buddisti e
agli Jaina, ma non era un obbligo. Egli aveva anche cercato di stabilire le differenze tra la prescrizione osservata dai saggi Indiani, e quanto affermavano Plutarco e Porfirio nelle loro opere. Karttunen, India
in Early Greek Literature, cit., p. 115, vedeva soltanto come ipotetica l’origine comune di questo divieto
per i Pitagorici e per gli Indiani. Bronkhorst, How the Brahmins won, cit., pp. 245-246, riconduce la dieta vegetariana ad un ideale stile di vita di un Bramano esemplare.
202 Str. XV 1, 59= FGrHist 715 F 33.
203 Str. XV 1, 59: ἀπεχομένους ἐμψύχων καὶ ἀφροδισίων.
204 Str. XV 1, 59: προσφερόμενον σάρκας τῶν μὴ πρὸς τὴν χρείαν συνεργῶν ζῴων, δριμέων καὶ
ἀρτυτῶν ἀπεχόμενον.
205 Su questo passo si tornerà a discutere nel paragrafo successivo, a proposito della generazione dei
92 Stando ad un altro passo di Strabone, che cita Onesicrito, questo genere di privazione sarebbe analogo a quanto prescriveva Pitagora tra i Greci206.
Per comprendere la portata di tale connotazione, si deve considerare che nella società greca classica il divieto della dieta carnea e il vegetarianesimo207 – praticati da ristrette comunità di mistici, come gli Orfici o i Pitagorici208 – si configuravano come doppiamente in contrasto sia rispetto al normale svolgimento della vita civile, sia soprattutto a fronte dell’offerta rituale di animali immolati, che garantivano l’abituale consumo di carne in maniera permanente209.
In questi termini, tale prescrizione assegnata ai Bramani li pone sullo stesso piano di quanti, pur appartenendo al mondo greco, rifiutavano le tradizioni religiose della propria cultura.
Riguardo allo stesso tema, notevoli sono le notizie contenute nel De abstinentia di Porfirio: qualora i Bramani decidano di mangiare qualcosa di diverso dal solito (frutta e riso), o anche solo toccare “cibo animato” (τροφή ἔμψυχος), cadrebbero nell’impurità e nell’empietà più estrema; questa prescrizione (δόγμα) sarebbe osservata insieme al culto divino210.
A proposito di questa sezione, dedicata ai Bramani, va precisato che essa è inserita nel quarto libro, dove il filosofo, a sostegno della sua tesi – condivisa dai neoplatonici – sulla necessità di astenersi dal cibo animale, ricorda una serie di “gruppi” (ἔθνη), che avrebbero seguito questa prescrizione211. Tra di loro, vi sarebbero stati i Greci della remota epoca antica212, appartenenti ad una “stirpe aurea”, i sacerdoti
206 Str. XV 1, 65=FGrHist 134 F 17a: εἰπόντος δ᾽ ὅτι καὶ Πυθαγόρας τοιαῦτα λέγοι κελεύοι τε ἐμψύχων
ἀπέχεσθαι.
207 Si legga il lavoro di G. Girgenti, Porfirio e il vegetarianesimo antico. Note a margine del De
abstinentia, in «Bollettino filosofico» 17 (2001), pp. 75-84. E dello stesso autore l’introduzione al
volume di Porfirio, Astistenza dagli animali, Bompiani, Milano 2005.
208 A questo proposito si possono ricordare i capitoli 107-108 del De vita Pythagorica di Giamblico. 209 Sulla questione si veda D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco (2a ed.), Edizioni dell’Ateneo &
Bizzarri, Roma 1979, pp. 69-83.
210 Porph. Abst. IV 17, 5: Τὸ δ’ ἄλλου τινὸς ἅψασθαι ἢ ὅλως θιγεῖν ἐμψύχου τροφῆς ἴσον τῇ ἐσχάτῃ
ἀκαθαρσίᾳ τε καὶ ἀσεβείᾳ νενόμισται. Καὶ τοῦτο αὐτοῖς τὸ δόγμα θρησκεύουσί τε τὸ θεῖον καὶ εὐσεβοῦσι περὶ αὐτὸ καθορῶνται.
211 Porph. Abst. IV 2, 1.
212 Porph. Abst. IV 2, 2-5: i Greci dell’epoca primordiale avevano tutti i beni, la terra produceva frutti
spontaneamente, non avevano malattie, non facevano guerre, vivevano in pace e in amicizia, avevano una dieta frugale, senza il consumo di carne.
93 egizi213, gli Esseni tra i Giudei214, i Magi tra i Persiani215 e i gimnosofisti tra gli Indiani. Una simile associazione non sembra affatto casuale, dal momento che Porfirio si riferisce ad una tradizione in cui queste collettività sono accomunate dall’analogia delle loro abitudini, tra cui spiccano in particolare lo stile di vita frugale, le pratiche ascetiche e la dimestichezza con la sfera sacra. Gli elementi di questa caratterizzazione si configurano come tratti distintivi di tali gruppi, ma, allo stesso modo, costituiscono i connotati specifici dell’esistenza umana nel “tempo delle origini”. È evidente che si tratta, in tutti i casi, di uno spostamento voluto sul piano dell’alterità.
Per chiudere il quadro delle fonti greche relative al topos della rinuncia al consumo di carne, si deve ricordare che esso fu alquanto persistente, poiché se ne trovano attestazioni fino all’epoca bizantina, come risulta dalla voce Βραχμᾶνες nell’epitome di Stefano di Bizanzio216.
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Nella Collatio compare soltanto un breve cenno alla singolare astinenza dei Bramani: “noi non riempiamo l’utero con cibi cruenti”217.
Questo dettaglio non è affatto secondario nel quadro che descrive le loro condizioni di vita. Per coglierne a pieno il significato, bisogna tornare ad esaminare il De gentibus Indiae di Palladio, dove il motivo è ampiamente sviluppato.
213 Porph. Abst. IV 6-10: i sacerdoti degli Egizi sono considerati filosofi e onorati da tutti: essi si
dedicano alla contemplazione e al culto delle cose divine, hanno rari contatti con gli altri, isolandosi nei luoghi e nei periodi di purificazione, sono astemi, non mangiano carne, si astengono dal contatto con le donne, sono immuni dalle malattie, osservano gli astri, studiano aritmetica e geometria.
214 Porph. Abst. IV 11-14: gli Esseni considerano i piaceri come vizi, praticano la continenza e il
controllo delle passioni come virtù, disdegnano il matrimonio, disprezzano le ricchezze e hanno i beni in comune, non cambiano i vestiti e i calzari, finché non sono logori, non comprano e non vendono, non accettano doni, non si cibano di maiale, pesci con le squame, animali solipedi, hanno una particolare devozione verso il sacro.
215 Porph. Abst. IV 16: i Magi sono conoscitori e ministri del sacro, sono una casta venerata dai Persiani;
sono divisi in tre gruppi, di cui i primi tra loro non mangiano né uccidono gli esseri animati, i secondi li utilizzano, ma non uccidono quelli domestici, i terzi non mangiano le loro carni; credono nella metempsicosi, perché considerano che gli uomini abbiano una stretta relazione con gli animali, e pertanto li designano con i nomi di questi.
216 St. Byz. s. v. Βραχμᾶνες: Ἰνδικὸν ἔθνος σοφώτατον, ὃυς καὶ Βράχμανας καλοῦσιν. Ἱεροκλῆς δ’ ἐν
τοῖς φιλίστορσί φησι “μετὰ ταῦτα σπουδῆς ἄξιον ἐνομίσθη τὸ Βραχμάνων ἰδεῖν φῦλον, ἀνδρῶν φιλοσόφων καὶ θεοῖς φίλων ἡλίῳ δὲ μάλιστα καθωσιωμένων· ἀπέχονται δὲ σαρκοφαγίας πάσης καὶ ὑπαίθριοι τὸν ἀεὶ χρόνον βιοτεύουσι καὶ ἀλήθειαν τιμῶσιν.
94 Per prima cosa, parlando di sé, Dandami afferma che non mangia carne come un leone, che dentro di lui non marciscono le membra di altri viventi, e che lui non è la tomba di esseri irrazionali morti218. Lo stesso argomento è ripreso più avanti, nella lunga invettiva contro tale pratica (Gent. Ind. II 45-47), dove ai Macedoni viene rivolta l’accusa di “sepolcri ambulanti”219.
Il Bramano formula il suo attacco sulla base di numerose argomentazioni (Gent. Ind. II 45): a) non vi è ragione di uccidere gli animali, dato che i Macedoni ne utilizzano i prodotti, o li impiegano nel lavoro dei campi e nelle guerre; b) le carni introducono impurità nel corpo umano, così che la sua anima non può ricevere un intelletto (νοῦν) divino; c) un simile pasto non solo gonfia il corpo, ma introduce smodati desideri, genera il vomito e causa malattie; d) il cibo creato per i mortali è costituito da frutti ed erbe; d) i Macedoni sono peggiori dei leoni e dei lupi, mentre i tori, i cavalli, i cervi e gli altri animali hanno un’alimentazione più giusta.
È indubbio che il testo presenti come base ideologico-concettuale la teoria del vegetarianismo220, già operante negli ambienti filosofici greci, in particolare quello pitagorico e quello neoplatonico, di cui ci dà testimonianza il De abstinentia221.
Oltre a ciò, la polemica contro il cibo carneo è connessa al motivo – già osservato – dell’insaziabilità dei Macedoni, spinta all’eccesso222, di cui è evidente la valenza simbolica.
218 Gent. Ind. II 24 (ed. Berghoff): οὐκ ἐσθίω σάρκας ὡς λέων, οὐδέ σήπεται ἐν ἐμοὶ ἐτέρων ζῴων
κρέα, οὐδὲ γίνομαι τάφος νεκρῶν ἀλόγων. Si veda il passo di Ps.-Ambr. Mor. Brachm. II 24 (ed. Pritchard), in cui il Bramano specifica che dentro di lui non si putrefanno le carni di quadrupedi e volatili.
219 Gent. Ind. II 45 (ed. Berghoff): γίνεσθε νεκρῶν ζῴων περιπατοῦντες τάφοι.
220 Sul vegetarianesimo dei Bramani confrontato con quello degli asceti indiani e dei Cinici si veda R.
Stoneman, Who are the Brahmans?, cit., pp. 506-508. Esaminando il testo di Palladio, lo studioso ha rilevato la specificità delle ragioni di questa pratica nella cultura greca. Egli sostiene che i Greci sapevano che i filosofi indiani rispettavano questa particolare dieta, ma avevano le loro argomentazioni per sostenerla. Inoltre, essa non derivava necessariamente dai Cinici, ma rientrava nei tratti delle rappresentazioni utopiche dell’età dell’oro (pp. 508-509). Sulla questione Stoneman è poi tornato in The
Greek Experience of India, cit., pp. 291-292.
221 Si legga il lavoro di G. Girgenti, Porfirio e il vegetarianesimo antico. Note a margine del De
abstinentia, in «Bollettino filosofico» 17 (2001), pp. 75-84. E dello stesso autore l’introduzione al
volume di Porfirio, Astistenza dagli animali, Bompiani, Milano 2005. Inoltre D. M. Cosi, Astensione
alimentare e astinenza sessuale nel De abstinentia di Porfirio, in La tradizione dell’Enkrateia. Motivazioni ontologiche e protologiche (a cura di U. Bianchi), Edizioni dell’Ateneo, Roma 1985, pp.
689-701.
222 Gent. Ind. II 46 (ed. Berghoff): ὑμεῖς γὰρ ζητεῖτε διατροφὴν πλείστην καὶ πολλὰ δαπανᾶτε διὰ τὴν
ἀπληστίαν ὑμῶν. Più avanti, nei paragrafi 48 e 49 del De gentibus Indiae et Bragmanibus, il discorso di Dandami sottolinea l’eccessivo consumo di cibo dei Macedoni.
95 ***
Per ciò che concerne le testimonianze trasmesse dagli scrittori cristiani, è possibile notare come il topos dell’astinenza dalla carne venga inserito in una rappresentazione complessivamente positiva del modus vivendi dei Bramani.
Già negli Stromata di Clemente Alessandrino si legge che essi non mangiano esseri animati e non bevono vino, e che alcuni consumano i pasti quotidianamente, mentre altri ogni due giorni223. L’astinenza da “ciò che è animato” (τὸ ἐμψύχον) compare anche nel passo, più volte menzionato, della Refutatio di Ippolito224. Questo dato ben si inserisce tra gli elementi che concorrono alla presentazione di un ritratto benevolo dei saggi indiani: tra essi hanno una funzione determinante la morigeratezza delle abitudini sessuali225, la credenza nel Dio/Logos e la particolare dedizione alla preghiera226.
Un breve cenno alla rinuncia alla dieta carnea si trova anche nella Praeparatio evangelica di Eusebio, dove la notizia è collocata in una serie di negazioni: i Bramani “non commettono omicidi, non adorano statue, non mangiano ciò che è animato, non si ubriacano, non bevono vino né sostanze fermentate, ed essendo dediti alla divinità, non commettono azioni malvagie”227.
Va notato che in questo passo vengono enumerati gli elementi che definiscono il loro retto comportamento, contrassegnato non solo dalle “buone pratiche” della non violenza, dell’astinenza dalla carne e dal vino, ma anche dall’assenza di idolatria228 e dalla devozione verso la divinità.
223 Clem. Al. Strom. III 7, 60: Βραχμᾶναι γοῦν οὔτε ἔμψυχον ἐσθίουσιν οὔτε οἶνον πίνουσιν· ἀλλ’ οἳ
μὲν αὐτῶν καθ’ ἑκάστην ἡμέραν ὡς ἡμεῖς τὴν τροφὴν προσίενται, ἔνιοι δ’ αὐτῶν διὰ τριῶν ἡμερῶν, ὥς φησιν Ἀλέξανδρος ὁ Πολυΐστωρ ἐν τοῖς Ἰνδικοῖς.
224 Cfr. paragrafi 2.3 e 2.5.
225 La questione viene affrontata nel paragrafo successivo.
226 Si veda l’analisi del passo di Ippolito nel paragrafo 2.3. a proposito della nudità, e nel paragrafo
precedente 2.5. riguardo all’alimentazione. In entrambi i casi abbiamo sottolineato l’evidente connessione tra questo genere di presentazione dei Bramani e le pratiche ascetiche cristiane.
227 Eus. P. e. VI 10, 14: οὔτε φονεύουσιν, οὔτε ξόανα σέβονται, οὐκ ἐμψύχου γεύονται, οὐ μεθύσκovταί
ποτε, οἴνου καὶ σίκερος μὴ γευόμενοι, οὐ κακίαι τινὶ κοινωνοῦσι προσέχοντες τῷ θεῷ.
228 Sulla definizione di “idolatria” e sulla storia del termine D. Barbu, Idole, idolâtre, idolâtrie, in C.
Bonnet - A. Declerc - I. Slobodzianek (edd.), Les représentations des dieux des autres, S. Sciascia Editore, Caltanissetta 2011, pp. 31-50.
96 Proprio quest’ultimo dato costituisce la spia di come la sostanziale valutazione positiva dei Bramani – operata dai Padri della Chiesa – sia connessa al topos della loro particolare familiarità con la dimensione sacra229.
Nella stessa prospettiva vanno inquadrate le osservazioni molto simili di Cesario di Nazianzo, riportate nel secondo dei Dialogi, dove si legge che presso i Battriani e i Bramani vi sarebbe la consuetudine di non sacrificare, di non gustare cibi animati, di non bere vino puro o spurio, poiché sarebbero dediti al culto del suo stesso Dio230. Inoltre, si ribadisce che non è possibile costringere costoro a mangiare carni e a bere sostanze inebrianti231, e che essi si tengono lontani dagli esseri animati e da ogni banchetto232.
Riguardo alle testimonianze appena esaminate, occorre infine osservare che la rinuncia alla dieta carnea e al vino – oltre all’astinenza sessuale – accomuna i Bramani agli Encratiti nella letteratura dei Padri della Chiesa233, il che sortisce l’effetto di equipararli agli eretici, ma ne riconosce comunque la propensione verso un’etica indubbiamente cristiana, se pure non ortodossa.
Tali indicazioni, assommate a quelle del trattato di Palladio, ci forniscono la traccia di come la rappresentazione di questo popolo possa assumere un orientamento diverso, a seconda della funzione e della valenza simbolica a loro assegnate.