Il testo della Collatio ebbe una tale fortuna tra l’XI e il XIV secolo, che se ne trovano diverse citazioni, o ampie interpolazioni, nelle opere di numerosi cronografi, enciclopedisti o poligrafi medievali61. Soltanto a titolo di esempio, per fare qualche
59 Cfr. G. Piccaluga, La politeia nel deserto. Valori civici e recupero dello spazio extra-urbano nel
monachesimo antico, in Il monachesimo occidentale dalle origini alla regula Magistri. Atti del XXVI Incontro di Studiosi dell’antichità cristiana, Roma 8-10 maggio 1982, Institutum Patristicum
Augustinianum, Roma 1988, pp. 61-71.
60 Accettando la datazione di Steinmann, Alexander der Grosse, cit., p.
61 Una storia della fortuna medievale della Collatio, sia pure parziale, è stata tracciata dal lavoro di G.
Cary, A note on the Mediaeval History of the Collatio Alexandri cum Dindimo, cit., pp. 124 - 129. Più ampio e dettagliato, con notevoli spunti critici, è lo studio di T. Hahn, The Indian Tradition, cit., pp. 225-234, che tratta anche della diffusione dell’immagine dei Bramani e della Collatio tra gli autori medievali. In generale sulle cronache universali si veda il volume di M. Campopiano - H. Bainton,
193 nome, possiamo ricordare tra gli scrittori in lingua latina Giovanni di Salisbury, Goffredo di Viterbo, Giacomo di Vitry, Vincenzo di Beauvais, Martino Polono, Giovanni di Viktring, Jacopo da Cessole, Ranulfo di Higden62.
L’interesse per la corrispondenza tra Alessandro e Dindimo fu tale che essa venne spesso utilizzata a fini dimostrativi con alterazioni e riadattamenti significativi del testo63, in gran parte determinati dalla volontà degli autori di riconfigurare l’immagine dei Bramani secondo le esigenze di nuovi contesti culturali.
Per illustrare i meccanismi di manipolazione della corrispondenza, è utile esaminare alcuni casi specifici, che mostrano interventi significativi operati sul documento, allo scopo di adeguarlo ad una diversa funzionalità64.
Il primo testo che possiamo prendere in considerazione è quello del Polycraticus sive de nugis curialium et vestigiis philosophorum di Giovanni di Salisbury65, opera del XII secolo, in cui l’autore affronta principalmente questioni concernenti le forme di governo66. Nel libro IV, dove l’oggetto della trattazione è il comportamento del principe, un capitolo riguarda in particolare il problema della durata perpetua del regno, tale da garantire il mantenimento della fede e della giustizia. L’esempio riportato è quello di una lettera inviata dai Bramani ad Alessandro per scongiurare il suo assalto67:
Fertur enim quod cum magnus Alexander ultimum litus Occeani perlustraret, Brachmanorum insulam debellare parabat. Ad quem illi in his verbis epistolam miserunt: “Audivimus, invictissime rex, proelia tua et felicitatem victoriae ubique subsecutam. Sed quid erit hujusmodi satis, cui totus non sufficit orbis? Divitias non habemus, quarum cupiditate nos debeat expugnare, omnium bona omnibus communia sunt. Esca est nobis pro divitiis,
62 Questi nomi si ricavano dai due studi, più volte citati, di Cary e di Hahn.
63 Secondo Cary, A note on the Medieval History of the Collatio, cit., pp. 127-128, le manipolazioni del
testo sarebbero connesse alla volontà degli autori di trasformare Dindimo e i Bramani in filosofi cristiani.
64 Si rinvia ad un ulteriore lavoro di ricerca il completamento dell’indagine sulle altre attestazioni
medievali della corrispondenza.
65 Si vedano alcuni studi specialistici: M. Dal Pra, Giovanni di Salisbury, Bocca, Milano 1951; J.
Dickinson, The Statesman’s Book of John of Salisbury, Russell & Russell, New York 19633; C.
Grellard-F. Lachaud (eds.), A Companion to John of Salisbury, Brill, Leiden 2015.
66 La traduzione in italiano è disponibile nell’edizione Giovanni di Salisbury, Policraticus: l’uomo di
governo nel pensiero medievale, Jaca Book, Milano 1985.
67 Ioannis Saresberiensis, Polycraticus IV 11 (PL 199 col. 534). Cfr. Steinmann, Alexander der Große,
194 pro cultibus et auro, vilis et rara vestis. Feminae autem nostrae non ornantur,
ut placeant; quem quidem ornamentorum cultum, potius oneri deputant quam decori. Etenim nesciunt in augenda pulchritudine plus affectare, quam quod natae sunt. Antra nobis duplicem usum praestant, tegumentum in vita, in morte sepulturam. Regem habemus, non pro justitia, sed pro nobilitate conservanda. Quem enim locum haberet vindicta, ubi nulla fit injustitia?” His verbis motus Alexander, nullam ratus victoriam, si eorum pacem perpetuam turbaret, in quiete sua dimisit. Et forte si eos bello fuisset aggressus, minime praevaluisset adversus innocentes, eo quod innocentia non facile superatur, et veritas suis viribus constans, de militia quantumvis armata triumphat.
Si tramanda infatti che quando Alessandro Magno perlustrava l’estremo litorale dell’Oceano, si preparava a sottomettere l’isola dei Bramani. A lui quelli mandarono una lettera con queste parole: “Abbiamo saputo, o re invincibile, delle tue battaglie e del tuo successo nelle vittorie, conseguito ovunque. Ma che cos’altro soddisferà colui al quale non basta il mondo intero? Non abbiamo ricchezze, per il cui desiderio dobbiamo essere distrutti, i beni di ciascuno sono comuni a tutti. Abbiamo nutrimento al posto di sostanze materiali, e una veste umile e leggera invece di lusso e oro. Le nostre donne non si adornano per piacere; esse reputano il culto degli ornamenti un peso piuttosto che un decoro. Infatti non sono in grado di aspirare a più di ciò che hanno dalla nascita, per accrescere la loro bellezza. Le caverne hanno per noi un duplice uso, ricoveri durante la vita, sepolture dopo la morte. Abbiamo un re non per garantire la giustizia, bensì la nobiltà d’animo. Infatti quale spazio avrebbe la vendetta, laddove non si commetta alcuna ingiustizia?” Colpito da queste parole, Alessandro considerò che non ci sarebbe stata alcuna vittoria, qualora avesse turbato la loro pace perpetua, così li lasciò nella loro quiete. E se per caso li avesse assaliti con una guerra, in nessun modo avrebbe prevalso su quegli innocenti, perché l’innocenza non viene facilmente sconfitta, e la verità, che rimane salda sulle proprie forze, trionfa sugli eserciti per quanto siano armati.
Leggendo il passo, è facile rilevare come molte siano le differenze rispetto al testo della Collatio I. Innanzi tutto non si fa parola di uno scambio epistolare, ma viene citata soltanto una lettera. Inoltre essa è inserita in un contesto narrativo, che ricorda
195 molto da vicino i contenuti del capitolo III 5 dello Pseudo-Callistene e della versione latina di Giulio Valerio68.
A tale proposito, si deve osservare che i Bramani sono collocati su un’isola posta all’estremità orientale dell’Oceano. Questa è una novità rispetto a quanto riportano le fonti classiche e cristiane sullo spazio da essi abitato69. Il motivo della terra circondata dal mare, come loro territorio, non è un unicum di questo testo, ma si trova anche in altri scrittori medievali70. Sempre più, dunque, si sottolinea – nel nuovo contesto – la marginalizzazione di questi personaggi, posti nella propaggine più lontana del mondo conosciuto. Una simile collocazione, con la menzione dell’Oceano, lascia intendere che ancora all’epoca di Giovanni di Salisbury i confini orientali fossero descritti volutamente come un luoghi inesplorati, ignoti, impraticabili, in definitiva “altri”71.
Gli elementi che connotano la vita dei Bramani nella sezione del Polycraticus appena menzionata vengono così identificati: a) l’assenza di ricchezze, e parallelamente la presenza di beni in comune; b) la povertà degli abiti; c) la semplicità delle donne che non si adornano; d) il duplice uso delle caverne; e) la presenza di un re garante dell’onestà, in una terra dove non esiste l’ingiustizia.
Alcuni di questi motivi erano già diffusi nella letteratura classica e cristiana, come abbiamo visto, ma tra questi ve ne sono almeno due, che si presentano come innovativi rispetto alla tradizione precedente.
In particolare, il possesso di beni comuni tra i Bramani (omnia bona omnibus communia sunt) è un elemento che non compare espressamente nella Collatio. In essa si accenna al fatto che Dio padre ha promesso a tutti coloro che sono stati generati
68 Si veda il paragrafo 2.2.
69 Le abbiamo esaminate nel cap. 2.
70 Ad esempio in Ranulfo di Higden, sul cui testo si veda più avanti. Il motivo delle società utopiche,
come quella dei Bramani, collocate su un’isola è stato sviluppato da R. Stoneman, Tales of Utopia:
Alexander, Cynics and Christian Ascetics, in M. Futre Pinheiro - S. Montiglia (eds.) Philosophy and the Ancient Novel, Barkhuis, Groningen 2015, pp. 51-61. A questo proposito si vedano anche le
osservazioni di M. Steinmann, Eine fiktive Depesche der Gymnosophisten an Alexander den Großen:
die Epistula Bragmanorum ad Alexandrum als Einleitung zu einer moralisch-ethnographischen Epitome, in «Classica et Mediaevalia» 66 (2015), in particolare pp. 226-230.
71 Il tema dell’Oceano Indiano come utopia è stato sviluppato da J. Le Goff, L’Occident médiéval et
196 come fratelli una eredità condivisa (communium bonorum hereditas)72, ma è evidente che in quel caso il testo sottintenda un fine escatologico.
Inoltre, l’indicazione di un sovrano garante della nobilitas è certamente un dato che rinvia ad un nuovo modello di società, che non è più quello del mondo classico e tardo antico.
Ci troviamo di fronte alla descrizione di una comunità utopica – nel vero senso del termine –, un’isola sulla quale gli abitanti vivono in un’assoluta condizione ideale, definita dalla condivisione dei beni, dall’assenza di ingiustizia, da una pax perpetua, incontaminata dalle guerre, e da una innocentia primordiale, edenica. Non corre molta distanza dalla Utopia di Tommaso Moro73.
La dimensione paradisiaca della vita dei Bramani, trasmessa da Giovanni di Salisbury, dovette avere grande fortuna, tanto da essere attestata nelle opere di altri cronografi medievali.
***
Una testimonianza sulla quale è utile soffermarsi per mostrare come la Collatio venne nuovamente riutilizzata, è quella dello Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais74. Esso costituisce la terza parte dell’immensa enciclopedia dello Speculum Maius75 redatta nel XIII secolo: da solo contiene trentuno libri dedicati alla trascrizione di una cronaca universale, che va dalla creazione di Adamo al 1250 circa76.
72 Collatio I 2, 5: quos nobis fratres eadem natura progenuit et quibus ab uno Deo patre communium
bonorum spondetur hereditas.
73 Già J. D. M. Derrett, Thomas More and Joseph the Indian, in «Journal of Royal Asiatic Society» 1/2
(1962), pp. 18-34, aveva presupposto che il trattato di Palladio fosse una delle fonti di Tommaso Moro. L’ipotesi che lo stato ideale disegnato da Moro abbia i suoi antecedenti nelle rappresentazioni medievali dei Bramani è stata avanzata da R. Gelders, Genealogy of Colonial Discourse: Hindu Traditions and
the Limits of European Representation, in «Comparative Studies in Society and History» 51 (2009), p.
572 n. 34. Osservazioni sui Bramani nella letteratura utopica si trovano anche in C. Jouanno, Des
Gymnosophistes aux Réchabites: une utopie antique et sa christianisation, in «L’Antiquité Classique»
79 (2010), pp. 53-76, in particolare pp. 67-71.
74 Si veda la voce Vincenzo di Beauvais curata da F. Ghisalberti in Enciclopedia Italiana, IEI, Roma
1937.
75 Lo Speculum Maius era stato suddiviso in tre parti indipendenti dallo stesso Vincenzo di Beauvais:
Speculum naturale, Speculum doctrinale, Speculum historiale. Nel XIV secolo fu aggiunta da un autore
ignoto una quarta sezione, lo Speculum morale.
76 Il testo completo dello Speculum historiale si trova nel ms. BNF, lat. 14354, fols. 60r-69r disponibile
on line all’indirizzo <http://gallica.bnf.fr/ark:/ 12148/btv 1b9080772d>. Lo Speculum quadruplex venne pubblicato a Douai nel 1624 ed è stata ripubblicato nel 1964-65, disponibile on line all’indirizzo
197 Il quinto libro dello Speculum Historiale è dedicato alla figura di Alessandro Magno77, di cui si narrano le vicende dalla nascita fino alla morte. Negli ultimi sei capitoli si trovano un Epylogus de pace Bragmanorum cum Alexandro78 e una versione compendiata della corrispondenza79.
L’epilogo – inserito sotto la rubrica Actor – fa riferimento all’arrivo di Alessandro Magno all’isola dei Bramani, che gli avrebbero inviato una lettera, convincendolo ad allontanarsi. Il contenuto del messaggio è riportato in termini pressoché identici a quelli del passo del Polycraticus, che evidentemente dovette costituire la fonte diretta di Vincenzo di Beauvais80.
Subito dopo il testo della breve missiva dei Bramani, si trova una nota che introduce la corrispondenza tra Alessandro e Dindimo:
Extant igitur epistule Alexandri et Didimi Regis Bragmanorum ad inuicem transmisse, quas hic abreuiatas inserere uolui.
Dunque si sa per certo che le lettere di Alessandro e Dindimo re dei Bramani, che ho voluto inserire qui in forma abbreviata, siano state trasmesse in uno scambio reciproco.
A questo proposito, si deve osservare prima di tutto come nel rifacimento di Vincenzo di Beauvais siano confluite, e poi unificate in un solo testo, le diverse tradizioni sulla lettera inviata ad Alessandro da parte dei Bramani/gimnosofisti – già presente nelle recensioni dello Pseudo-Callistene81 – e l’epistolario tra il re dei Macedoni e il capo di
<nbn-resolving.de/urn:nbn:de:hbz:061: 1-20729>. Per la bibliografia sull’autore si rimanda al sito curato dagli specialisti H. Voorbij e E. Albrecht: http:// www.vincentiusbelvacensis.eu/index.html.
77 Le notizie sui contenuti di questo libro e sulla modalità dell’inserimento della Collatio al suo interno
sono offerte dal lavoro di I. Villaroel Fernández, La Collatio Alexandri et Dindimi según Vicente de
Beauvais. Estudio y edición crítica de la versión del Speculum historiale, in «Cuadernos de Filología
Clásica. Estudios Latinos» 36 (2) 2016, pp. 233-253. A questo studio ci atteniamo per la nostra discussione della rielaborazione della Collatio operata da Vincenzo di Beauvais.
78 È il capitolo V 66 nella ricostruzione fornita da I. Villaroel Fernández, che si basa sul testo del
manoscritto ms. BNF, lat. 14354, fols. 60r-69r.
79 Si tratta dei capitoli V 67-71 secondo la numerazione del ms. BNF, lat. 14354, fols. 60r-69r, seguita
da Villaroel Fernández.
80 Così si è espressa Villaroel Fernández, che ha anche riprodotto uno schema contenente le minime
differenze testuali tra il capitolo IV 11 del Polycratucus e questo di Vincenzo di Beauvais, di cui stiamo parlando.
198 costoro, Dindimo. Quest’ultimo documento per molti secoli era circolato in maniera autonoma.
Leggendo la versione della corrispondenza riportata da Vincenzo di Beauvais, si nota chiaramente che si tratta di un riadattamento della Collatio I, rispetto alla quale sono evidenti alcune omissioni. Per rendersi conto della manipolazione operata sul documento originale, è opportuno utilizzare un prospetto generale delle differenze testuali. I contenuti eliminati sono:
a) il cenno alle erbe medicinali (Collatio I 2, 2);
b) il discorso sulla misericordia non concessa (Collatio I 2, 3);
c) l’assenza dell’agricoltura, della pesca e della caccia (Collatio I 2, 4); d) la mancanza di edifici e di bagni (Collatio I 2, 5);
e) il divieto di incesti, adulteri e aborti (Collatio I 2, 7);
f) la panoramica delle terre conquistate da Alessandro (Collatio I 2, 9); g) l’invettiva contro i costumi corrotti dei Macedoni (Collatio I 2, 9);
h) il riferimento agli dèi politeistici come testimoni delle scelleratezze dei Macedoni (Collatio I 2, 10);
i) l’immagine delle sedi divine nelle membra del corpo umano (Collatio I 2, 18); j) l’elenco degli animali sacrificali (Collatio I 2, 19);
k) la polemica contro l’inaccettabile culto rivolto alle divinità che inducono alle passioni (Collatio I 2, 20-21);
l) la critica ai templi e agli altari innalzati agli dèi (Collatio I 4, 2);
m) l’invettiva contro i Macedoni che ignorano il dio unico (Collatio I 4, 3); n) i riferimenti alla continentia (Collatio I 5, 1; 5, 3), alla inopia, alla castigatio
(5, 2) e alla castitas (5, 4);
o) il paragone dei Bramani con i lupi affamati (Collatio I 5, 3) e con le beluae (5, 4);
p) la teoria, esposta da Alessandro, sulla mutabilità delle cose (Collatio I 5, 5) e sui principi della materia, con la conseguente condanna del rifiuto, da parte dei Bramani, di ciò che la natura produce (5, 6).
199 Passando al campo delle ipotesi, dall’esame degli argomenti elencati, non sembrerebbe che Vincenzo di Beauvais abbia operato dei semplici tagli casuali nei confronti del testo originario, ma piuttosto che si tratti di una scelta oculata.
In primo luogo, si nota che sono stati eliminati tutti passi che riguardano la polemica contro il politeismo, che invece aveva ampio spazio nella prima redazione della corrispondenza. Come si è cercato di mostrare nel capitolo precedente, era proprio il contesto ideologico definito dagli scritti apologetici dei Padri della Chiesa dei secoli III-IV, quello in cui doveva essere nato questo epistolario.
È evidente allora che nel mutato quadro storico e culturale, in cui operava Vincenzo di Beauvais, ormai non vi era più la necessità di esprimere quelle critiche, per affermare la superiorità del cristianesimo.
In secondo luogo, si può rilevare che in questa nuova compilazione non si trovano più i diversi richiami, espressi da Alessandro, alla indigenza, al castigo e alla alla castità dei Bramani – una sola volta si accenna alla continenza (continentia) –, indicati come tratti specifici del loro austero regime di privazioni. A ciò si aggiunga che anche le comparazioni con i lupi e le bestie sono state rimosse.
Erano questi i motivi che rientravano nella rappresentazione dei saggi indiani ideata dagli scrittori cristiani, che da una parte li assimilavano ai campioni dell’ascetismo, e dall’altra ne condannavano la condizione di inciviltà82.
Infine, è scomparsa anche l’ultima sezione della lettera conclusiva di Alessandro. Il discorso teorico lì esposto – comprendente una concezione del libero arbitrio e una disquisizione sui princìpi costitutivi della materia – forniva la base della confutazione delle scelte di vita dei Bramani, ovvero del loro totale rifiuto della civiltà.
Di tutto questo non vi è traccia nella versione della corrispondenza riportata da Vincenzo di Beauvais. Il discorso di Alessandro è stato ridotto ai minimi termini. Che sia solo un caso? Probabilmente no. L’autore di un simile riadattamento doveva aver cancellato tutto ciò che non appariva più funzionale alla sua narrazione, nella quale la figura del Macedone non aveva più lo spessore speculativo, né la funzione ideologica, presenti invece nella redazione originaria della Collatio.
200 Oltre a ciò si deve considerare che, nello specifico, tutta la dissertazione filosofica presente nella quinta lettera, finalizzata alla condanna di coloro che ignorano i valori basilari di un’esistenza terrena, volta ad accogliere favorevolmente i doni che la natura stessa offre, non era più utile ai fini della costruzione di un’immagine dei Bramani come modello di vita moralmente accettabile83.
Le pratiche estreme di ascetismo, che definivano la continentia quale prerogativa della comunità dei Bramani, secondo l’ottica dei Padri della Chiesa84, avevano suscitato una certa attenzione verso costoro tra il III e il IV secolo, ma oramai non costituivano più una questione da affrontare. Così è ipotizzabile che, essendo cadute le obiezioni ideologiche verso quelle scelte estreme, i tratti interessanti per uno scrittore del secolo XIII – in riferimento alla presentazione di una biografia di Alessandro – fossero piuttosto quelli ascrivibili ad un ritratto idealizzato dei costumi dei Bramani, tali da essere adoperati come exempla di maniera.
La conferma di ciò si ricava dalla lettura dei libri V e VI dello Speculum doctrinale, dedicati all’ethica monastica, dove viene nuovamente utilizzata la corrispondenza tra Alessandro e Dindimo85. Le due sezioni contengono un trattato sulle virtù, sui vizi e le passioni dell’anima, sui costumi sociali, sulle abitudini sessuali, sull’età, sui caratteri di un’esistenza buona o cattiva, sulla conoscenza, l’amicizia, la fortuna e la felicità. In alcuni di questi capitoli tematici sono inserite brevi citazioni dal testo della Collatio I – anche qui con alcune modificazioni rispetto all’originale – a scopo esemplificativo, in relazione al giusto modo di comportarsi.
***
Tra le cronografie medievali che rielaborano l’episodio dell’incontro di Alessandro e i saggi indiani, è sicuramente degno di nota il Polychronicon di Ranulfo di Higden. L’opera, scritta da un monaco benedettino del monastero di Chester, risale alla prima
83 Villaroel Fernández nel suo articolo, più volte citato, spiega che Vincenzo di Beauvais privilegia,
nella scelta degli estratti di testi da includere nella sua opera, l’utilità morale: La Collatio Alexandri et
Dindimi según Vicente de Beauvais, cit., p. 236 e p. 240.
84 Si vedano le testimonianze di Clemente Alessandrino, Ippolito di Roma, Girolamo, e lo stesso trattato
di Palladio, discusse in più luoghi nel corso del capitolo 2.
85 Si veda Villaroel Fernández, La Collatio Alexandri et Dindimi según Vicente de Beauvais, cit., pp.