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Il De gentibus Indiae et Bragmanibus di Palladio

1.4. Storia della trasmissione del testo: le tre redazioni della Collatio

1.5.2. Il De gentibus Indiae et Bragmanibus di Palladio

Il testo greco indipendente sulla vita dei Bramani fu oggetto per la prima volta di un’edizione critica, preparata e pubblicata da J. Duncan Derrett – come si è detto – nel 1960. Lo studioso utilizzò il titolo latino di De vita Bragmanorum narratio, alias De gentibus Indiae et Bragmanibus116, che corrispondeva alla denominazione greca Διήγησις Παλλαδίου εἰς τὸν βίον τῶν Βραγμάνων riportata dai manoscritti da lui consultati. Egli ebbe il merito di individuare le diverse fasi redazionali del trattato e distinse tra una versio ornatior, quella da lui ricostruita sulla base di due manoscritti indicati come Q e Z, che doveva essere l’originale greco, e una versio ornatior et interpolata, di cui esistevano molti esemplari; a quest’ultima dovevano appartenere i capitoli III 7-16 dello Pseudo-Callistene come parte di un ramo laterale della tradizione. Lo studioso divise l’intero scritto soltanto in due parti, in cui la prima è costituita da I 1-15 e si basa sul viaggio di un certo σχολαστικός Tebano (coincidente con Ps. - Callisth. III 7-10), mentre la seconda corrisponde a II 1-57 e contiene il “trattato di Arriano” così definito da Pfister (Ps. - Callisth. III 11-12) – di cui si è detto sopra – e la conversazione con Dandami (Ps. - Callisth. III 13-17).

Secondo Derrett solo la prima parte del trattato sarebbe da attribuire sicuramente a Palladio117, mentre la seconda sarebbe stata scritta da Arriano nella giovinezza, sotto l’influsso di Epitteto118. L’epoca di composizione della versio

116 Nel 1960 Derrett pubblicò nello stesso numero 21 della rivista «Classica et Mediaevalia» anche

alcune pagine introduttive alla sua edizione: The History of ‘Palladius on the Races of India and the

Bahmans’, pp. 64-99.

117 La sintesi delle conclusioni di questi studi di Derrett si trova in Steinmann, Alexander der Grosse,

cit., pp. 44-45.

48 ornatior sarebbe da collocare intorno al 410119, mentre il documento originale risalirebbe a “non più tardi circa del 375”120.

In merito al problema dell’attribuzione della seconda parte del trattato, ci sarebbe un passo dell’Anabasis, in cui Arriano preannuncia di parlare della sapienza dei Bramani negli Indika (VI 16, 5), ma poiché ivi non si trovano riferimenti a tale argomento, da ciò alcuni studiosi traggono la prova che lo scritto sarebbe finito nel De gentibus Indiae121. Secondo G. Ch. Hansen, non sarebbe possibile attribuire ad Arriano, e neppure al periodo della sua giovinezza, un’opera che, oltre all’accumulo di difetti letterari, presenta alcune parti quasi contraddittorie fra loro e altre ripetitive; per il filologo questo segmento di testo, anonimo in un primo momento, fu successivamente incluso sotto il nome di un autore noto122. Tra gli studi più recenti è da segnalare che anche G. Desantis è della stessa opinione123, mentre R. Stoneman pensa all’attribuzione di questa sezione ad un’opera giovanile di Arriano, ritenendo che la questione debba rimanere aperta124.

In relazione ai contenuti del testo, che coincidono con quanto viene indicato nella sintesi di Cracco Ruggini, ricordata nel paragrafo precedente, bisogna aggiungere che essi, per la seconda parte, stando all’interpretazione di qualche studioso125, presenterebbero alcuni caratteri della diatriba cinica. Di questi ultimi si troverebbe traccia anche in un rotolo papiraceo egiziano del II secolo d. C. – pubblicato nel 1959 da V. Martin – che costituirebbe l’antenato del testo palladiano126, in particolare della versio ornatior. Il testo ricostruito da Martin corrisponde esattamente al contenuto di II 22-57 dello scritto palladiano127. Nel 1988 W. Willis e K. Maresch hanno pubblicato

119 Derrett, cit., p. 80.

120 Derrett, cit., p. 100.

121 Questo riportano Desantis, pp. 33-34, in Pseudo-Palladio, Le genti dell’India e i bramani, Città

Nuova, Roma 1992 e anche P. Maraval, il quale traccia una sintesi delle diverse opinioni degli studiosi sulla paternità di Arriano alle pp. XVII-XIX, in Alexandre le Grand et les Brahmanes (ed. P. Maraval), Les Belles Lettres, Paris 2016.

122 G. Ch. Hansen, Alexander und die Brahmanen, in «Klio» 45 (1965), pp. 351-380; in particolare le

pp. 364-366.

123 Desantis, cit. supra, p. 34.

124 R. Stoneman, Who are the Brahmans? Indian Lore and Cynic Doctrine in Palladius’ De

Bragmanibus and Its Models, op. cit., in particolare si legga p. 510.

125 G. Desantis, in Le genti dell’India e i bramani, cit., pp. 16-25,

126 V. Martin, Un recueil de diatribes cyniques. Pap. Genev. inv. 271, in «Museum Helveticum» 16

(1959), pp. 77-115.

49 una nuova porzione di testo, rinvenuta nello stesso papiro128, corrispondente ai capitoli II 6-21.

Secondo G. Desantis, che ha scritto un lungo saggio introduttivo alla sua edizione italiana del De gentibus Indiae129, anche nella versione papiracea si ritrovano gran parte delle incoerenze presenti nella vulgata che costituirebbe la seconda parte del trattato, e ciò ne confermerebbe l’unitarietà. La diatriba cinica, conservata nel papiro, essendo “un prodotto popolare, di scarse pretese letterarie […] fu apprezzata in ambienti cristiani, tanto da confluire, rimaneggiata e ampliata”130, nel testo palladiano. Nondimeno, essa affonderebbe le sue radici in una tradizione ben più antica, iniziata con Onesicrito e Megastene131. Sulla connotazione cinica dello scritto si sono espressi diversi studiosi, tra cui anche R. Stoneman132.

La versione greca del trattato di Palladio, con la stessa suddivisione in due sezioni, venne pubblicata anche da W. Berghoff nel 1967133 con il titolo di De gentibus Indiae et Bragmanibus. Lo specialista scelse come base per la sua edizione critica la versio ornatior et interpolata che è conservata in molti codici ed è penetrata nelle recensioni α e γ dello Pseudo-Callistene134.

Per concludere il quadro complessivo che abbiamo cercato di illustrare, si deve richiamare l’attenzione sulla reale coloritura filosofica dei Bramani, sia essa di provenienza cinica oppure cristiana – a seconda delle letture che ne sono state proposte135 –, poiché questo risulta un nodo cruciale da sciogliere tanto per la Collatio,

128 W. H. Willis - K. Maresch, The encounter of Alexander with the Brahmans: new fragments of the

Cynic diatribe P. Genev. inv. 271, in «Zeitschrift für Papyrologie» 74 (1988), pp. 59-83.

129 Desantis, cit., pp. 5-41. 130 Desantis, cit., p. 18.

131 Desantis ricorda le pagine 355-360 di G. Ch. Hansen, Alexander und die Brahmanen, cit.

132 R. Stoneman, Who are the Brahmans?, cit., pp. 501-505. La tradizionale interpretazione dello scritto

di Palladio come testo che rielabora la diatriba cinica del pap. inv. 271 di Ginevra ha dato luogo anche all’assimilazione dei Bramani/gimnosofisti incontrati da Alessandro con i filosofi Cinici. Si veda anche dello stesso Naked Philosophers: The Brahmans in the Alexander Historians and the Alexander

Romance, cit., pp. 103-104. Ma già Wilcken U., Alexander der Große und die indischen Gymnosophisten, in «Sitzungberichte der deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», Phil.-

Hist. Kl. 23 (1923), pp. 150-183 aveva sostenuto la stessa tesi. Al contrario, R. Bosman, The

Gymnosophist Riddle Contest. (Berol. P. 13044): A Cynic Text?, in «Greek, Roman, and Byzantine

Studies» 50 (2010), pp. 175-192, discute su questa opinione e A. Szalc, Alexander’s dialogue with

Indian philosophers: riddle in Greek and Indian tradition, cit., pp. 75-25 ha mostrato come l’episodio

in questione non abbia un’ascendenza cinica.

133 Palladius De gentibus Indiae et Bragmanibus (hrsg. W. Berghoff), cit. in n. 38. 134 Berghoff, Palladius de gentibus Indiae et Bragmanibus, cit., pp. 10-15.

135 Sulla “patina” di cristianesimo e sulle connessioni dei Bramani con l’ascetismo monastico si era

espressa B. Berg, Dandamis: an Early Christian Portrait of Indian Asceticism, in «Classica et Mediaevalia» 31 (1970), pp. 269-305, e The Letter of Palladius on India, in «Byzantion» 44 (1974),

50 quanto per i testi ad essa connessi, e in generale per le fonti letterarie della tradizione classica sui “filosofi nudi”.