Un’ulteriore serie di questioni da affrontare, prima di concludere la ricostruzione del quadro che ci è stato trasmesso sul popolo dei Bramani, riguarda le loro occupazioni, in particolare la loro prerogativa, l’esercizio della sapienza.
341 Tert. Apol. 42, 1: Neque enim Brachmanae aut Indorum gymnosophistae sumus, silvicolae et exules
vitae. Cfr. paragrafo 2.4.
342 Chrys. Hom. in 2 Cor. 15, 3. 343 Cfr. l’Introduzione.
118 Attenendoci allo schema finora seguito, partiamo dall’esame delle testimonianze provenienti dagli autori greci. Il primo dato da considerare è quello fornito dalle fonti che li presentano come gli iniziatori della filosofia.
Sia Clemente Alessandrino che Diogene Laerzio344 riferiscono la notizia che tale disciplina avrebbe avuto origine presso i popoli barbari e poi sarebbe passata in Grecia. Secondo Clemente i fondatori sarebbero stati i profeti Egizi, i Caldei tra gli Assiri, i Druidi tra i Galli, i Samanei nella Battriana, alcuni sapienti tra i Celti, i Magi tra i Persiani, e i gimnosofisti tra gli Indi345. Diogene Laerzio riferisce l’opinione di altri (I 1), per cui i primi a praticare la filosofia sarebbero stati i Magi, i Caldei, i gimnosofisti, i Druidi, specificando poi che questi ultimi due gruppi “coltivano la filosofia in modo enigmatico, onorano gli dèi, non compiono nulla di male e si distinguono per il loro valore”346. Tuttavia lo stesso autore, altrove, contesta decisamente l’idea che non siano stati i Greci a cominciare tale disciplina (I 4).
Queste testimonianze mostrano quanto sia stata determinante la stratificazione culturale che ha investito l’immagine dei popoli collocati ad Est. La costruzione della concezione greca di “saggezza orientale”347 rientra in un modello di esotismo, concepito come forma di idealizzazione di una alterità distante, ma al tempo stesso attraente e significativa, tale da essere indicata come origine dei propri valori culturali348. Parallelamente, come mostrano i passi di Diogene Laerzio, si avvertiva in questa visione il rischio della perdita di identità.
344 Sull’incerta biografia di Diogene Laerzio si legga il saggio introduttivo di I. Ramelli, in Diogene
Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, Bompiani, Milano 2017.
345 Clem. Al. Strom. I 15, 71, 3-4: Φιλοσοφία τοίνυν πολυωφελές τι χρῆμα πάλαι μὲν ἤκμασε παρὰ
βαρβάροις κατὰ τὰ ἔθνη διαλάμψασα, ὕστερον δὲ καὶ εἰς Ἕλληνας κατῆλθεν. Προέστησαν δ´ αὐτῆς Αἰγυπτίων τε οἱ προφῆται καὶ Ἀσσυρίων οἱ Χαλδαῖοι καὶ Γαλατῶν οἱ Δρυΐδαι καὶ Σαμαναῖοι Βάκτρων καὶ Κελτῶν οἱ φιλοσοφήσαντες καὶ Περσῶν οἱ Μάγοι (οἳ μαγείᾳ καὶ τοῦ σωτῆρος προεμήνυσαν τὴν γένεσιν, ἀστέρος αὐτοῖς καθηγουμένου εἰς τὴν Ἰουδαίαν ἀφικνούμενοι γῆν) Ἰνδῶν τε οἱ γυμνοσοφισταί, ἄλλοι γε φιλόσοφοι βάρβαροι. 346 D. L. I 6: Οἱ δὲ φάσκοντες ἀπὸ βαρβάρων ἄρξαι φιλοσοφίαν καὶ τὸν τρόπον παρ’ ἑκάστοις αὐτῆς ἐκτίθενται· καί φασι τοὺς μὲν Γυμνοσοφιστὰς καὶ Δρυΐδας αἰνιγματωδῶς ἀποφθεγγομένους φιλοσοφῆσαι, σέβειν θεοὺς καὶ μηδὲν κακὸν δρᾶν καὶ ἀνδρείαν ἀσκεῖν. τοὺς γοῦν Γυμνοσοφιστὰς καὶ θανάτου καταφρονεῖν φησι Κλείταρχος ἐν τῇ δωδεκάτῃ· τοὺς δὲ Χαλδαίους περὶ ἀστρονομίαν καὶ πρόρρησιν ἀσχολεῖσθαι.
347 Sulla “saggezza orientale” concepita dai Greci come origine della propria filosofia, attribuita oltre
che agli Indiani, agli Egizi e ai popoli del Vicino Oriente, si legga K. Karttunen, Greeks and Indian
wisdom, cit., p. 117. Inoltre Halbfass, India and Europe, cit., pp. 3-4, sottolinea come l’idea greca abbia
contribuito a fondare la visione europea del pensiero indiano e “orientale”.
348 Sul concetto di esotismo e sull’analisi dei suoi modelli cfr. Affergan, Esotismo e alterità, cit., pp. 56-
119 Una serie di riflessioni, poi, va condotta su quanto ci ha lasciato la tradizione greca a proposito delle speculazioni dei Bramani.
Il capitolo di Strabone ad essi dedicato – fondato sull’opera di Megastene (XV 1, 59=FGrHist 715 F 33) – espone in maniera dettagliata la loro educazione alla filosofia e gli argomenti delle loro riflessioni.
Il testo racconta come i filosofi, già prima di venire alla luce, sarebbero assistiti da uomini dotti che, stando vicino alle madri per facilitarne il parto, reciterebbero formule magiche, e dispenserebbero loro saggi consigli ed esortazioni, affinché esse ascoltandoli generino figli migliori349.
Le dissertazioni dei Bramani, poi, sarebbero riservate solo a coloro che ne sono degni e che riescono a prestare attenzione in silenzio350.
Successivamente, si precisa che le donne non vengono messe a parte della loro filosofia, perché non diffondano ai profani ciò che non è lecito divulgare351.
La seconda parte del capitolo tratta nello specifico gli oggetti delle speculazioni dei Bramani. Al primo posto vi sarebbe la morte (ὁ θάνατος), considerata come la nascita (ἡ γένεσις) verso la vita vera per quanti, come loro, hanno il privilegio di esercitare la filosofia. Il secondo argomento riguarderebbe gli accadimenti umani (τὰ συμβαίνοντα), che non sono buoni o cattivi in assoluto. Il terzo tema di riflessione sarebbe centrato sulla natura (τὰ δὲ περὶ φύσιν), sulla quale la loro opinione sarebbe ingenua, in quanto le loro credenze (πιστουμένους) si fonderebbero sui miti (διὰ μύθων)352. 349 Str. XV 1, 59=FGrHist 715 F 33: ἤδη δ᾽ εὐθὺς καὶ κυομένους ἔχειν ἐπιμελητὰς λογίους ἄνδρας, οὓς προσιόντας λόγῳ μὲν ἐπᾴδειν δοκεῖν καὶ τὴν μητέρα καὶ τὸν κυόμενον εἰς εὐτεκνίαν, τὸ δ᾽ ἀληθὲς σωφρονικάς τινας παραινέσεις καὶ ὑποθήκας διδόναι: τὰς δ᾽ ἥδιστα ἀκροωμένας μάλιστα εὐτέκνους εἶναι νομίζεσθαι. 350 Str. XV 1, 59: τὸν δ᾽ ἀκροώμενον οὔτε λαλῆσαι θέμις οὔτε χρέμψασθαι ἀλλ᾽ οὐδὲ πτύσαι, ἢ ἐκβάλλεσθαι τῆς συνουσίας τὴν ἡμέραν ἐκείνην ὡς ἀκολασταίνοντα. 351 Str. XV 1, 59: ταῖς δὲ γυναιξὶ ταῖς γαμεταῖς μὴ συμφιλοσοφεῖν τοὺς Βραχμᾶνας, εἰ μὲν μοχθηραὶ γένοιντο, ἵνα μή τι τῶν οὐ θεμιτῶν ἐκφέροιεν εἰς τοὺς βεβήλους· εἰ δὲ σπουδαῖαι, μὴ καταλείποιεν αὐτούς. οὐδένα γὰρ ἡδονῆς καὶ πόνου καταφρονοῦντα, ὡς δ᾽ αὕτως ζωῆς καὶ θανάτου, ἐθέλειν ὑφ᾽ ἑτέρῳ εἶναι: τοιοῦτον δ᾽ εἶναι τὸν σπουδαῖον καὶ τὴν σπουδαίαν. 352 Str. XV 1, 59: πλείστους δ᾽ αὐτοῖς εἶναι λόγους περὶ τοῦ θανάτου: νομίζειν γὰρ δὴ τὸν μὲν ἐνθάδε βίον ὡς ἂν ἀκμὴν κυομένων εἶναι, τὸν δὲ θάνατον γένεσιν εἰς τὸν ὄντως βίον καὶ τὸν εὐδαίμονα τοῖς φιλοσοφήσασι: διὸ τῇ ἀσκήσει πλείστῃ χρῆσθαι πρὸς τὸ ἑτοιμοθάνατον: ἀγαθὸν δὲ ἢ κακὸν μηδὲν εἶναι τῶν συμβαινόντων ἀνθρώποις: οὐ γὰρ ἂν τοῖς αὐτοῖς τοὺς μὲν ἄχθεσθαι τοὺς δὲ χαίρειν ἐνυπνιώδεις ὑπολήψεις ἔχοντας, καὶ τοὺς αὐτοὺς τοῖς αὐτοῖς τοτὲ μὲν ἄχθεσθαι τοτὲ δ᾽ αὖ χαίρειν μεταβαλλομένους. τὰ δὲ περὶ φύσιν τὰ μὲν εὐήθειαν ἐμφαίνειν φησίν: ἐν ἔργοις γὰρ αὐτοὺς κρείττους ἢ λόγοις εἶναι, διὰ μύθων τὰ πολλὰ πιστουμένους:
120 Subito dopo, viene riferito che per molte questioni costoro avrebbero le stesse idee dei Greci: sull’origine e la fine del cosmo (ὁ κόσμος), sul fatto che sia sferico, sull’immanenza del dio che lo governa e lo crea (θεός). Inoltre penserebbero che il principio della creazione del mondo (ἡ κοσμοποιία) sia l’acqua, che oltre ai quattro elementi primordiali ve ne sia un quinto, la natura (ἡ φύσις), da cui discendono il cielo e gli astri, e che la terra sia al centro dell’universo353.
Infine, il quarto campo delle loro meditazioni sarebbe quello della generazione (τὸ σπέρμα) e dell’anima (ἡ ψυχή): a proposito di quest’ultima, i Bramani sarebbero anche inventori di miti (μύθοι), come Platone354.
Per quanto è possibile dedurre da questo resoconto, che è l’unico, tra le fonti classiche, a trasmetterci i contenuti della loro sapienza, risultano chiari i parametri culturali cui si fa riferimento. I motivi delle loro riflessioni non si discostano da quelli del pensiero greco, dato che è esplicitamente rilevato nel testo. Esso emerge non solo dal richiamo a Platone e ai suoi miti, ma soprattutto dalle osservazioni sulla physis, tema privilegiato dai cosiddetti presocratici e oggetto di speculazione di tutti i filosofi successivi355.
Questa importante testimonianza, riportata da Strabone, merita ancora qualche altra osservazione: la descrizione dei Bramani e l’esposizione delle loro dottrine sono dominate da una precisa interpretatio. Si tratta del punto di vista dei Greci che guardano verso i popoli altri, quelli che sono collocati all’estremità delle terre orientali. La chiave di lettura si snoda su un doppio livello di rappresentazione: da una parte essi sono lontani dal mondo conosciuto dalla classicità, dalle città, dalla vita civile in genere – quella che era concepita come tale dall’Occidente –, dall’altra sono assimilati allo stesso ambiente ellenico che ne aveva prodotto un’immagine di maniera.
353 Str. XV 1, 59: περὶ πολλῶν δὲ τοῖς Ἕλλησιν ὁμοδοξεῖν: ὅτι γὰρ γενητὸς ὁ κόσμος καὶ φθαρτὸς λέγειν κἀκείνους, καὶ ὅτι σφαιροειδὴς, ὅ τε διοικῶν αὐτὸν καὶ ποιῶν θεὸς δι᾽ ὅλου διαπεφοίτηκεν αὐτοῦ: ἀρχαὶ δὲ τῶν μὲν συμπάντων ἕτεραι, τῆς δὲ κοσμοποιίας τὸ ὕδωρ: πρὸς δὲ τοῖς τέτταρσι στοιχείοις πέμπτη τις ἐστὶ φύσις, ἐξ ἧς ὁ οὐρανὸς καὶ τὰ ἄστρα: γῆ δ᾽ ἐν μέσῳ ἵδρυται τοῦ παντός: 354 Str. XV 1, 59: καὶ περὶ σπέρματος δὲ καὶ ψυχῆς ὅμοια λέγεται καὶ ἄλλα πλείω: παραπλέκουσι δὲ καὶ μύθους, ὥσπερ καὶ Πλάτων περί τε ἀφθαρσίας ψυχῆς καὶ τῶν καθ᾽ ᾄδου κρίσεων καὶ ἄλλα τοιαῦτα. περὶ μὲν τῶν Βραχμάνων ταῦτα λέγει.
355 Per avere un’idea di cosa affermavano i filosofi greci, in particolare Talete, Parmenide, Empedocle,
Platone e gli stoici antichi, sulla natura dell’universo si veda N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol.1, 4a ed., Utet, Torino 1993. Tutti i frammenti dei presocratici si possono leggere con traduzione in I
121 In altri termini, nella loro rappresentazione agisce un duplice meccanismo fondato sulla complementarietà dei fattori opposti diversità/uguaglianza356, che risultano entrambi funzionali all’individuazione dei princìpi identitari della civiltà classica.
Uno dei motivi più ricorrenti di tali rappresentazioni è costituito dall’apprendimento della philosophia dei Bramani da parte di Alessandro, che si reca appositamente presso di loro. Nell’episodio dell’incontro con i gimnosofisti357 – stando alla versione dello Pseudo-Callistene – la lettera inviata da loro al sovrano ben definisce i reciproci campi d’azione: ai primi spetta esercitare la filosofia (φιλοσοφεῖν), mentre al secondo tocca fare le guerre (πολεμεῖν)358. A questo proposito, risulta emblematico il quesito, posto loro da Alessandro, sulla natura del potere regale359: esso – secondo la loro opinione – deriverebbe dalla forza della sopraffazione, dall’audacia fondata sulla fortuna, e dal peso dell’oro360. Altrettanto significativa, poi, è la domanda di costoro al re sulla ragione di tante guerre, data la sua mortalità e la necessità di lasciare in futuro ad altri le sue conquiste361.
Espressa in questi termini, la costruzione simbolica della dialettica re/filosofi emerge chiaramente dal Romanzo di Alessandro, dove viene messa in scena un’opposizione ideale tra potere e sapere362, che già costituiva un tema diffuso nella letteratura greca – basti pensare ad esempio alla storia dell’ospitalità offerta da Creso363, o da Periandro364, a seconda delle varianti, ai sapienti più famosi del loro tempo365 – e che avrà poi grande fortuna nella letteratura dei secoli a venire366.
356 Si veda in proposito il quadro dei processi con cui la cultura europea definisce l’alterità: Affergan,
Esotismo e alterità, cit., pp. 56-96.
357 Si veda Ps.-Callisth. III 5-6 nell’edizione di K. Müller, cit., e sul contenuto del testo il paragrafo 2.2. 358 Ps.-Callisth. III 5, 1 (ed. Müller): ἐὰν δὲ βούλῃ μαθεῖν τίνες ἐσμὲν, ἄνθρωποι γυμνοὶ φιλοσοφεῖν
εἰωθότες, οὐκ ἀφ’ ἑαυτῶν ἀλλ' ἐκ τῆς ἄνω ποονοίας δημιουργηθέντες· σοι μέν γὰρ ἓπεται πολεμεῖν, ἡμῖν δὲ φιλοσοφεῖν.
359 Cfr. paragrafo 2.2.
360 Ps.-Callisth. III 6, 5 (ed. Müller): «Τί ἐστι βασιλεία;» Οἱ δὲ εἶπον· «Πλεονεξίας δύναμις ἄδικος,
τόλμη καιροῦ συνεργοῦντος, χρυσοῦν φορτίον». Su questo si veda l’Introduzione.
361 Ps.-Callisth. III 6, 7 (ed. Müller): οἱ δὲ εἶπον· «εἰ θνητὸς ὑπάρχεις, τί τοσαῦτα πολεμεῖς; ἵνα ἅπαντας
ἄρῃς καὶ ποῦ ἀπενέγκῃς; οὐ πάλιν καὶ σὺ αὐτὰ ἑτέροις καταλείψεις;».
362 Sul motivo degli emblemi di potere e saggezza incarnati da Alessandro e i gimnosofisti si legga
Bosman, The Gymnosophist Riddle Contest, cit., p. 192.
363 D. S. IX 26.
364 Plu. Mor. 146 B-171 E.
365 A proposito del tema dell’incontro di un sovrano con un saggio, Stoneman, Naked Philosophers, cit.,
p. 114, ricorda anche la Vita Aesopi e la Vita Secundi Philosophi.
122 Il motivo del confronto tra il sovrano macedone e i gimnosofisti compare in diverse varianti dello stesso episodio.
Nell’Anabasis di Arriano i saggi indiani battono i piedi sulla terra quando vedono il re. Alla sua richiesta di conoscere il significato del gesto, rispondono che ogni uomo possiede tanto spazio quanto quello che occupa; che anche Alessandro è uguale a tutti gli altri, tranne per l’ambizione; e che quando morirà possiederà soltanto il terreno della sua sepoltura367.
Molto più tardi, Enea di Gaza, che menziona Arriano, riferisce che i Bramani lo avrebbero esortato ad astenersi dalla cupidigia368.
***
In questa cornice, acquista significato lo scontro dialettico tra le due immagini di Alessandro e Dindimo/Dandami, sia nella Collatio, sia nel trattato di Palladio.
Nel primo testo, il Bramano rivolge grandi lodi ad Alessandro che desidera conoscere la perfetta sapienza, poiché, nella sua ottica, un imperatore non dedito alla filosofia non governa da solo, ma è servo di moltissimi uomini369. Nel secondo, i Bramani indicano nella ricerca della saggezza il motivo per cui Alessandro si è rivolto a loro come esperti; la loro esistenza sarebbe la più regale di tutte, in quanto il filosofo non è dominato ma domina370. Più avanti il re, al cospetto di Dandami, manifesta il desiderio di ricevere da lui un po’ dei suoi insegnamenti371.
367 Arr. An. VII 1, 5-6: καὶ ἐπὶ τῷδε ἐπαινῶ τοὺς σοφιστὰς τῶν Ἰνδῶν, ὧν λέγουσιν ἔστιν οὓς
καταληφθέντας ὑπ' Ἀλεξάνδρου ὑπαιθρίους ἐν λειμῶνι, ἵναπερ αὐτοῖς διατριβαὶ ἦσαν, ἄλλο μὲν οὐδὲν ποιῆσαι πρὸς τὴν ὄψιν αὐτοῦ τε καὶ τῆς στρατιᾶς, κρούειν δὲ τοῖς ποσὶ τὴν γῆν ἐφ' ἧς βεβηκότες ἦσαν. ὡς δὲ ἤρετο Ἀλέξανδρος δι’ ἑρμηνέων ὅ τι νοοῖ αὐτοῖς τὸ [6] ἔργον, τοὺς δὲ ὑποκρίνασθαι ὧδε· βασιλεῦ Ἀλέξανδρε, ἄνθρωπος μὲν ἕκαστος τοσόνδε τῆς γῆς κατέχει ὅσονπερ τοῦτό ἐστιν ἐφ' ὅτῳ βεβήκαμεν· σὺ δὲ ἄνθρωπος ὢν παραπλήσιος τοῖς ἄλλοις, πλήν γε δὴ ὅτι πολυπράγμων καὶ ἀτάσθαλος, ἀπὸ τῆς οἰκείας τοσαύτην γῆν ἐπεξέρχῃ πράγματα ἔχων τε καὶ παρέχων ἄλλοις. καὶ οὖν καὶ ὀλίγον ὕστερον ἀποθανὼν τοσοῦτον καθέξεις τῆς γῆς ὅσον ἐξαρκεῖ ἐντεθάφθαι τῷ σώματι.
368 Aen. Gaz. Thphr. 176 (ed. Boissonade): καίτοι τὴν τῶν Βραχμάνων πρὸς Ἀλέξανδρον συνουσίαν
ἐκδιδάσκων, ἐν ᾗ παραινοῦσιν Ἀλεξάνδρῳ πλεονεξίας ἀπέχεσθαι.
369 Collatio I 2,1: Desiderantem te, Alexander, scire, quid sit perfecta sapientia – licet huius te non
ignarum profiteris –, velle collaude, quia, quod solum est omni regno praestantius, id assequi maluisti – etenim imperator exsors philosophiae non dominari solus creditur, sed servire quam plurimis.
370 Gent. Ind. II 3 (ed. Berghoff): ὀρεγόμενος σοφίας ἧλθες πρὸς ἡμᾶς, ὅπερ πρῶτον ἀποδεχόμεθα
Βαγμᾶνες, ὅτι ἐστὶ βασιλικώτερον ἐν τῷ βιῷ ἡμῶν τoῦτo γὰρ ἠθέλησας μαθεῖν, βασιλεῦ Ἀλέξανδρε· ὁ φιλόσοφος γὰρ οὐ δεσπόζεται ἀλλὰ δεσπόζει, ἄνθρωπος γὰρ αὐτoῦ οὐ κρατεῖ.
123 Da entrambi gli scritti emerge il concetto che l’esercizio della filosofia garantisce la libertà e che sapere significa potere. Naturalmente, va da sé che anche questa idea discende dal pensiero greco di matrice platonica372.
Un ulteriore tema, sviluppato in tutti i “trattati indiani”, riguarda la distanza che corre nella pratica della sapienza tra due mondi contrapposti.
Nella seconda lettera della Collatio, leggiamo che da una parte i Bramani non frequentano le scuole dei filosofi373, mentre dall’altra esercitano una “filosofia agevole”, fondata sulla giustizia e sul principio che non si deve procurare ad altri ciò che a se stessi genera sofferenza374. In quest’ultima dichiarazione sono inequivocabilmente riconoscibili echi evangelici375.
Tali affermazioni vengono chiarite ancor meglio dalla Collatio II376 e dall’Historia de preliis377 in tutte le sue recensioni378. In queste redazioni viene sottolineato che l’insegnamento dei filosofi è il disaccordo, e che costoro non definiscono nulla di certo e di stabile, ma solo falsità. Al contrario, i Bramani frequenterebbero luoghi dove apprenderebbero una buona pratica di vita, volta a non danneggiare gli altri, ma a prestare loro aiuto, secondo il criterio della “vera giustizia”. L’uso di questa espressione rivela, in maniera ancor più stingente rispetto alla Collatio I, che l’ispirazione diretta della filosofia di vita attribuita ai Bramani è cristiana.
372 Sull’argomento la bibliografia è sterminata, ma tra i saggi più recenti si veda almeno M. Migliori,
L’unità del pensiero politico di Platone, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica» 95/3(2003), pp. 337-
388; F. L. Lisi, Il principe filosofo di Platone, in Princeps legibus solutus (a cura di A. Maffi), pp. 5- 16, Giappichelli, Torino 2016; M. Vegetti, Chi comanda nella città. I Greci e il potere, Carocci, Roma 2017.
373 Collatio I 2, 15: Philosophorum scholas minime frequentamus, quorum doctrina discordia nihil
stabile certumque definiens semper sequentibus placita priora scindentibus.
374 Collatio I 2, 15: Nostra philosophia expedita est, quae iuvare non nisi iuste novit, nocere nec iuste.
Nec aliis id inferendum censet, quod nobis maerorem generat, cum infertur.
375 Si vedano i passi di Mt. VI 33 e VII 12; Lc. VI 31. A questo proposito, vanno segnalate le
osservazioni di C. Morelli, Sulle tracce del romanzo e della novella, cit., pp. 70-71.
376 Collatio II, p. 14, ed. Pfister: Scolas phylosophorum non frequentamus, in quorum doctrina discordia
est et nihil certum definiens atque stabile, sed semper mendacia; sed illas scolas frequentamus, in quibus bonam discimus vitam, et quae demonstrant scriptum hoc, quod dicunt et non docent nos aliquem ledere, sed secundum veram iusticiam iuvare docent, et non discimus in eis causam, quae nobis aliquam tristiciam faciat.
377 Historia de preliis 99, p. 225, ed. Zingerle: sed illas scolas frequentamus, in quibus discimus vitam
et que demonstrant nobis hoc, quod in scripturis ostendunt, et non docent nos aliquem ledere, sed secundum veram iustitiam iuvare docent, et non discimus in eis causam, que nobis aliquam tristitiam faciat.
378 Historia Alexandri Magni (Historia de preliis). Rezension J1, cit., p. 186; Historia Alexandri Magni (Historia de preliis). Rezension J2, cit., p. 84; Die Historia de preliis Alexandri Magni. Rezension J3,
124 Anche nel testo di Palladio essi non apprezzano i pensatori greci, perché gli epicurei vivrebbero nella mollezza, gli stoici amerebbero le ricchezze, e i peripatetici non sarebbero affatto degni di ammirazione379. Qui, la polemica non viene diretta contro argomenti di carattere dottrinario, ma viene spostata sul piano della condotta e dello stile di vita.
***
Tra gli scrittori cristiani è possibile individuare nei confronti delle dottrine indicate come proprie dei Bramani, alternativamente, un atteggiamento benevolo, oppure una critica più o meno esplicita.
In un passo del De fide, Epifanio riferisce che vi sono ben settantadue “ripugnanti” (ἀηδεῖς) filosofie tra le tribù indiane, ma di queste solo i Bramani sono encomiabili (ἐπαινεταί)380, mentre in un altro luogo, afferma che “di molti altri misteri, di eresie e di scismi gli iniziatori presso i Persiani sono i Magustei, mentre presso gli Egizi i cosiddetti profeti, sono fondatori dei santuari e dei templi; tra i Magi babilonesi quelli che sono detti Gazareni sono sapienti e imbroglioni, e poi ci sono tra gli Indiani i cosiddetti Euileoi e i Bramani, mentre tra i Greci ierofanti, ministri dei templi, una moltitudine di Cinici e i capi di infinite altre filosofie”381. È evidente che nei due testi considerati la prospettiva dell’autore comprenda un giudizio positivo sulla loro sapienza, ma non escluda la disapprovazione verso l’entità dell’eresia, pur presente in essa.
Il primo libro della Refutatio di Ippolito – come si è visto –, che passa in rassegna gli insegnamenti di tutti i filosofi greci, dedica le ultime due sezioni alle
379 Gent. Ind. II 53 (ed. Berghoff): τί δὲ εἴπωμεν περὶ Ἐπικουρίων, ἀνδρῶν μυροβρόχων καὶ μαλακῇ
ἐσθῆτι γυναικῶν ἁβρῶς περιπατούντων καὶ βεβιασμένων ἀρωμάτων χυμοῖς τὸν ἀέρα μιαινόντων; τί δὲ δεῖ καὶ λέγειν περὶ Στοϊκῶν λογίων φιλοσόφων τῶν φιλαργυρησάντων; τί δὲ πάλιν ἐροῦμεν περὶ τῶν Περιπατητικῶν φιλοσόφων; πάντες οὗτοι θαυμάσιοι καὶ μεγάλοι παρ’ ὑμῖν, ἀλλ’ οὐ παρὰ Βραγμᾶσιν. 380 Epiph. Fid. 10, 2: Ἑβδομήκοντα δύο μὲν ἀηδεῖς φιλοσοϕίαι ἐν τῇ τῶν Ἰνδῶν ἐμφέρονται φρατρίᾳ, τῶν τε γυμνοσοφιστῶν, τῶν τε Βραχμάνων, ἐπαινετῶν τούτων μόνων, τῶν τε Ψευδοβραχμάνων, τῶν τε νεκυοφάγων, τῶν τε αἰσχροποιῶν, τῶν τε ἀπηλγημένων. 381 Epiph. Fid. 12, 5: ἑτέρον δὲ πάλιν μυστηρίων πολλῶν καὶ αἱρεσιαρχῶν καὶ σχισματοποιῶν οἱ μὲν ἀρχηγοὶ παρὰ Πέρσαις Μαγουσαῖοι, παρὰ δὲ Αἰγυπτίοις προφῆται καλούμενοι Γαζαρηνοί, σοφοί τε καὶ ἐπαοιδοί, Ἰνδῶν δὲ οἱ Εὐίλεοι καλούμενοι καὶ Βραχμᾶνες, Ἑλλήνων δὲ ἱεροφάνται τε καὶ νεωκόροι, Κυνικῶν πλῆθος καὶ ἄλλων ἀμυθήτον φιλοσόφων ἀρχηγοί.
125 dottrine dei Bramani (I 24) e dei Druidi (I 25), seguendo la tradizione di Clemente e Diogene Laerzio che li accomunano.
La “lente deformata” con cui vengono presentate le convinzioni dei Bramani in questo testo, mostra una interpretatio degna di nota.
Stando a quanto riferisce lo scrittore cristiano, il Dio dei Bramani si identificherebbe con la luce (φῶς) e la parola (λόγος); quest’ultima corrisponderebbe alla conoscenza (γνώσις), che permetterebbe loro di attingere ai misteri della natura; essi soltanto raggiungerebbero tale realtà divina, perché privi delle opinioni comuni382.
Le modalità con cui viene definito questo concetto di divinità hanno fatto sorgere varie congetture tra gli studiosi. Alcuni hanno ipotizzato che in qualche modo fossero arrivate fino ad Ippolito nozioni desunte da antichi testi indiani come le Upaniṣad383. Naturalmente è difficile dimostrare come potessero essergli giunte tali conoscenze, ma è evidente che il teologo romano abbia voluto fornire una “lettura” cristiana di ciò che doveva essere ai suoi occhi il popolo dei Bramani, utilizzando prima di tutto i dati che poteva desumere dalla tradizione classica, come dimostra il raffronto con le fonti finora esaminate.
Altri specialisti hanno creduto di individuare più specificamente una matrice gnostica nelle espressioni utilizzate da Ippolito384, ma in questo caso si tratterebbe soltanto della sovrapposizione di immagini e concetti ad un impianto teorico, che doveva funzionare come presentazione di una comunità cristiana non ortodossa385.
382 Hippol. Haer. I 24, 2: οὗτοι τὸν θεὸν φῶς εἶναι λέγουσιν οὐχ ὁποιόν τις ὁρᾷ οὐδ’ οἷον ἥλιος καὶ πῦρ,
ἀλλ’ ἔστιν αὐτοῖς ὁ θεὸς λόγος, οὐχ ὁ ἔναρθρος, ἀλλ’ ὁ τῆς γνώσεως, δι’ οὗ τὰ κρυπτὰ τῆς φύσεως μυστήρια ὁρᾶται σοφοῖς. τοῦτο δὲ τὸ φῶς, ὅ φασι λόγον [τὸν θεόν], αὐτοὺς μόνους εἰδέναι Βραχμᾶνες λέγουσιν διὰ τὸ ἀπορρῖψαι μόνους τὴν κενοδοξίαν, ὅς ἐστι χιτὸν τῆς ψυχῆς ἔσχατος.
383 Questa è la teoria di J. Filliozat, La doctrine des brâhmanes d’après saint Hippolyte, cit. Lo studioso
individuava precise corrispondenze tra alcune affermazioni di Ippolito, come ad esempio, quella sulla luce/parola e passi delle Upaniṣad o di altri testi vedici. Dello stesso parere è anche A. Magris, Plotino
e l’India, in «Annuario filosofico» 6 (1990), pp. 127-128 che rileva come il dio di cui parla Ippolito non
è altri che il brahman vedico. Lo studioso cita a tale proposito le pagine di J. Gonda, Die Religionen
Indiens. I Veda-und-älterer-Hinduismus, Kolhammer, Stuttgart 1960 [trad. it. Le religioni dell’India,
vol. 1, Jaca Book, Milano 1981].
384 Si pensi al prologo di Giovanni 1, 1-5: Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ Λόγος, καὶ ὁ Λόγος ἦν πρὸς τὸν Θεόν, καὶ Θεὸς
ἦν ὁ Λόγος. Οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν Θεόν. πάντα δι’ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν ὃ γέγονεν. ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων. καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν. L’ipotesi di “presenze” gnostiche all’interno del testo di Ippolito viene accennata da A. Cosentino nella nota 181 p. 165 del suo commento, nell’edizione di Pseudo-Ippolito,
Confutazione di tutte le eresie, Città Nuova, Roma 2017.
385 È la teoria di B. Berg, Dandamis, cit., pp. 276-279, che attribuisce un’origine gnostica ad alcune
immagini presenti in questo testo di Ippolito, come quella della luce, o quella della veste ornamento dell’anima.
126 In via generale, a proposito della artificiosa “ricostruzione” della filosofia dei Bramani, possiamo concludere, attenendoci alle testimonianze possedute, che ci troviamo di fronte ad almeno tre diversi modi operandi:
a) da una parte vediamo il geografo Strabone che riconduce le dissertazioni dei Bramani ad argomenti tipici del pensiero greco, in particolare alle speculazioni sulla natura (physis);
b) dall’altra compaiono le narrazioni – in particolare dei “trattati indiani” – che pongono a confronto il re e i sapienti, per esaltare la libertà di questi ultimi386, celebrandone la loro filosofia pragmatica387;
c) infine abbiamo le testrimonianze dei Padri della Chiesa, tra cui Ippolito, che si preoccupano di catalogare tutte le eresie, tra le quali viene inserita quella dei Bramani, le cui presunte dottrine sarebbero da collocare ai margini della teologia cristiana.
In sostanza, abbiamo davanti tre modalità di presentazione di un’immagine, che si staglia sul piano della raffigurazione simbolica, ma che può essere ugualmente utilizzata come portatrice di valori, o disvalori, di modelli culturali positivi, o negativi, a seconda del punto di vista con cui viene osservata e costruita.