Una lunga sezione della Introductio ad theologiam29 di Pietro Abelardo30 parla di Dindimo, re dei Bramani31. Nella trattazione in cui il teologo espone le testimonianze
26 Y. Hen, Alcuin, Seneca and the Brahmins of India, cit., p. 149.
27 Y. Hen, cit., pp. 154-155 definisce il dono di Alcuino come speculum principis, in relazione alla
funzione di Alcuino come consigliere di Carlo, preoccupato di fornire un compendio didattico utile per la pratica di governo.
28 Diversamente Y. Hen, cit., pp. 154-155 pensa che i caratteri di Alessandro Magno descritti dalla
Collatio costituissero un modello che di per sé già coincideva con le qualità possedute dal re Carlo
nell’esercizio del suo governo.
29 Petr. Ab. Intr. ad theol. I 22 (PL 178 col. 1032-1033). Lo stesso passo è ripetuto anche nella Theologia
christiana: Petr. Abael. Theol. Christ. I 131-133 (PL 178 col. 1164). Si veda anche l’edizione Petri Abaelardi Opera theologica, vol. III (E. M. Buytaert - C. J. Mews ed.), CCCM13, Brepols, Turnholt
1987. Cfr. Steinmann, Alexander der Große, cit., p. 85. Si vedano anche Cary, A note on the Mediaeval
History of the Collatio Alexandri cum Dindimo, cit., pp. 126-127 e Hahn, The Indian Tradition, cit., pp.
225-227.
30 In generale per chi volesse approfondire la teologia di Abelardo e le sue opere teologiche, si
segnalano: G. Allegri, La teologia di Pietro Abelardo fra letture e pregiudizi, Officina di studi medievali, Palermo 1990; J. Marenbon, The Philosophy of Peter Abelard, Cambridge University Press, Cambridge 1997; J. Brower - K. Guilfoy (2004), The Cambridge Companion to Abelard, Cambridge University Press, Cambridge 2004.
184 circa la natura del Verbo, menziona quattro sovrani, grazie ai quali la fede nella Trinità possa essere diffusa in tutto il mondo:
Nunc itaque ad proposita de divinitate Verbi testimonia revertamur, et cum David et Salomone regibus Israel, tertium adhibeamus gentium regem ad summi vaticinium regis. Quid enim apertius illo testimonio Nabuchodonosor, de Filio Dei? Ecce, inquit, video coelos solutos, quatuor ambulantes in medio ignis, et species quarti similis Filio Dei. Iuvat autem et Didimi regis Bragmanorum inferre testimonium, ut in quatuor regum auctoritate nostrae assertio fidei praemineat. Duorum quidem Iudaeorum et duorum gentilium, David scilicet et Salomonis, Nabuchodonosor et Didimi sintque hi quatuor reges quasi quatuor rotae nobilis quadrigae summi regis, per quas videlicet fides quatuor evangelistarum de sancta Trinitate per universum deferatur mundum, et tanto regum auctoritas sit firmior, quanto potestas similior, et qui edicta populis legesque proferunt, sacrae quoque fidei testimonia tradant.
Ed ora perciò torniamo alle testimonianze relative alla divinità del Verbo, e con Davide e Salomone re di Israele, aggiungiamo un terzo sovrano di popoli alle profezie sul sommo re. Chi infatti è più chiaro di Nabucodonosor nella testimonianza, riguardo al figlio di Dio? Disse: “Ecco, vedo i cieli sereni, quattro figure che camminano in mezzo al fuoco, e l’aspetto della quarta è simile al figlio di Dio” [Dan. III 92]. È utile anche portare come testimone Dindimo re dei Bramani, affinché l’affermazione della nostra fede prevalga poggiando sull’autorità di quattro re. Due dei Giudei e due dei gentili, David e Salomone, Nabucodonosor e Dindimo, siano questi quattro sovrani, quasi quattro ruote della nobile quadriga del sommo re, per mezzo delle quali, invero, la fede dei quattro evangelisti nella Santa Trinità sia portata all’intero mondo, e l’autorità regale sia tanto più sicura, quanto più il potere le sia simile, e coloro che promulgano editti e leggi per i loro popoli, trasmettano anche testimonianze della sacra fede.
Dalla lettura del testo di Abelardo si deduce che il richiamo ai quattro monarchi ha una triplice funzione: 1) essi forniscono una testimonianza di ordine profetico sulla venuta del figlio di Dio; 2) la loro autorità è sottoposta a quella del “sommo re”; 3) diffondono nel mondo la fede cristiana.
185 La figura di Dindimo, in quanto sovrano, si inserisce in un contesto che definisce la condizione della regalità come ancella della fede. È significativo il fatto che Abelardo, a sostegno della sua tesi sull’essenza del Verbo, adduca come testimoni quattro re, di cui due appartengono al popolo dei Giudei e due ai “gentili”, ovvero alle popolazioni non giudaiche, o genericamente non cristiane. Il mondo dei “pagani”, per Abelardo, viene ad identificarsi con diverse realtà: da una parte la monarchia di Israele e dall’altra i regni orientali di Babilonia e dei Bramani. Ma all’interno dell’alterità pagana, alcuni sovrani, sarebbero stati i testimoni della fides cristiana. Alla luce di quanto si è osservato nelle testimonianze dei Padri della Chiesa, che presentano i Bramani sotto una luce favorevole32, non è un caso che qui essi siano presentati come difensori del messaggio cristiano. È chiaro che il discorso di Abelardo è assolutamente metastorico, dal momento che gli esempi addotti hanno il valore di paradigmi universali.
Più avanti33, viene citato un capitolo della prima lettera di Dindimo ad Alessandro34. In particolare vengono ricordate le parole del Bramano che definisce Dio prima come verbum, e poi come spiritus e mens. Il teologo aggiunge che quel re non solo credeva in tale divinità, ma ne era divenuto il sostenitore, quando scriveva ad Alessandro, altro grande sovrano. In questa prospettiva, la sintesi concettuale è ormai completa: Dindimo = credente in Dio.
L’argomento viene ulteriormente sostenuto da una serie di altre osservazioni dell’autore. Prima di tutto, le lettere di Dindimo indicherebbero che la religio, o piuttosto l’abstinentia, dei Bramani furono tanto grandi da ricevere l’ispirazione divina nella comprensione della fede35. In secondo luogo, dimostrerebbero come la vita di tali uomini fosse assolutamente incomparabile per la loro innocentia e abstinentia36.
32 I passi degli autori cristiani sui Bramani sono stati discussi nel corso del capitolo 2.
33 Petr. Abael. Introd. ad theol. I 23 (PL 178 col. 1033-1034). Il testo e la traduzione in Appendice IV. 34 Collatio 2, 16: Inter caetera religionis vel fidei suae gentis insignia, non suscipit Deus sacra
sanguinea; cultum diligit incruentum, spernit funesta libamina, verbo propitiatur orantibus, quod solum ei cum homine est, suaque numinis similitudine delectatur. Nam verbum Deus est, mundum creavit, hoc regit atque alit omnia, hoc nos veneramur, hoc diligimus, ex hoc spiritum trahimus; si quidem Deus ipse spiritus atque mens est, atque ideo non terrenis divitiis nec largitate munifica, sed religiosis operibus, et gratiarum actione placatur.
35 Petr. Abael. Introd. ad theol. I 23: Quantae autem religionis seu abstinentiae populus Brachmanorum
fuerit, ut illis Deus supra universas nationes fidei sacrae intelligentiam inspirare deberet, epistolae ipsae Didimi ad Alexandrum continent.
36 Petr. Abael. Introd. ad theol. I 23: Quibus quidem epistolis, si fides exhibenda sit, nulla hominum vita
186 Quest’ultimo termine compare, subito dopo, per la terza volta, ad indicare in che modo la loro esistenza potesse servire da esempio37. A tale riguardo, poi, Abelardo cita un passo dell’Adversus Iovinianum (II 14) di Girolamo, in cui si sottolinea la grande continentia dei Bramani, che si nutrono soltanto di frutti degli alberi, di riso e farina. Infine, ancora ricorrendo all’autorità della stessa fonte, il teologo francese ricorda che ad essi fu rivolta la predicazione del Vangelo per intercessione di Dio, grazie alla missione di Panteno, filosofo stoico38.
Dalla lettura di questa testimonianza emerge un’immagine dei Bramani interamente polarizzata sulla definizione della loro esistenza, il cui carattere principale è costituito dall’austerità – i due termini di abstinentia e continentia sono evidentemente equivalenti – ovvero dalla rinuncia a qualunque bene terreno, prerogativa che conferisce ad essi il privilegio di aver ricevuto la fede e materialmente – stando all’attestazione di Girolamo – la predicazione degli insegnamenti di Cristo.
In sostanza, nel sistema teologico di Abelardo, così come è esposto nel I libro della Introductio ad Theologiam, focalizzato sulla definizione della Trinità, Dindimo è presentato come testimone della fides cristiana, credente in Dio e predicatore. A loro volta, i Bramani sono uomini “eletti” da Dio grazie alla loro scelta di vita.
Per concludere, va preso in considerazione un altro passo, tratto dal terzo libro della Theologia Christiana, laddove si fa riferimento all’altare dedicato al deus ignotus, mostrato da Dionigi l’Aeropagita all’apostolo Paolo presso Atene39:
Cuius quidem ignoti dei aram magnus ille philosophus Dionysius Areopagita Paulo apostolo apud egregiam studus ciuitatem Athenas legitur ostendisse. Haec quidem, ni fallor, illa est ara misericordiae, cui a supplicibus non immolabatur, nisi illud Brachmanorum sacrificium, hoc est orationes et lacrymae.
Si dice che il famoso filosofo Dionigi l’Aeropagita abbia mostrato l’altare di quel dio ignoto all’apostolo Paolo presso Atene, la città famosa per gli studi. Questa certamente, se non sbaglio, è la famosa ara della misericordia, sulla
37 Petr. Abael. Introd. ad theol. I 23: Unde et haec in exemplum abstinentiae beatus quoque Hieronymus
nobis proposuit.
38 Hier. Epist. 70, 4. Cfr. Eus. HE 5, 10. Si veda il paragrafo 2.12. 39 Petr. Abael. Theol. Christ. III 45 (PL 178 col. 1225).
187 quale non si immolavano vittime da parte dei supplici, ma si offriva quel
genere di sacrificio praticato dai Bramani, cioè preghiere e lacrime.
L’episodio cui si riferisce Abelardo – narrato dagli Atti degli Apostoli40 – è quello della visita di Paolo ad Atene, quando il predicatore avrebbe parlato agli abitanti della città sull’Areopago. Rievocando questo contesto, il teologo opera un’altra sintesi concettuale che chiama in causa un sacrificio fatto di preghiere e lacrime, al modo dei Bramani. Compare qui il motivo, già visto per la Collatio e il De gentibus Indiae di Palladio41, della polemica contro l’offerta di vittime immolate. Abelardo riporta una tradizione che conosceva, di cui fa un uso strumentale, volto a dimostrare quale fosse il “giusto” comportamento religioso.
A questo punto possiamo dire, con tutta evidenza, che ormai la santificazione del popolo dei Bramani era perfettamente compiuta42, grazie ad un’operazione intellettuale di alto livello dottrinario.