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L’esegesi della Collatio non può prescindere dalla constatazione che in essa sia confluita una complessa stratificazione di concetti, idee, cliché, appartenenti ad ambienti culturali diversi, di cui la produzione apologetica cristiana costituisce un aspetto rilevante, ma non l’unico da tenere in considerazione.

La conferma dell’eterogeneo sostrato che si trova alla base di questo testo ci viene suggerita dalla lettura dell’ultima lettera di Alessandro, che risponde alla maggior parte delle accuse di Dindimo.

A questo proposito, va notato che vi è un unico punto al quale il re macedone non replica affatto: la polemica contro il politeismo intrapresa dal saggio bramano.

173 Nelle lettere a lui attribuite Alessandro non fa alcun cenno alla questione religiosa105. Al contrario, sembrerebbe utilizzare lo stesso linguaggio di Dindimo, derivato dal retaggio cristiano, quando afferma che i Bramani invidiano Dio e che disprezzano la sua creazione106, e che i Macedoni sono “spinti dal libero arbitro a vivere bene” (ad bene vivendum libero incitamur arbitrio: 5, 5).

L’ultima risposta di Alessandro costituisce, piuttosto, una condanna senza appello alle pratiche ascetiche dei Bramani.

Per tre volte compare il termine continentia107 ad indicare le loro drastiche scelte indirizzate alla rinuncia ai beni terreni. Alessandro giudica negativamente la loro esistenza, mettendo bene in evidenza la condizione di costrizione cui si sottopongono, tanto da renderla assimilabile alla “miseria dei morti” (5, 2: inopia mortuorum), al “castigo” (5, 2: castigatio), o alla “pena” (5, 3: poena). Ad un regime di privazioni – individuate da una lunga serie di negazioni degli elementi fondanti il vivere civile108 il re macedone contrappone la libera volontà di godere dei piaceri che la natura stessa offre all’uomo: i frutti ricavati dalla semina, i pesci raccolti dal mare, gli uccelli forniti dall’aria (5, 6).

A proposito delle obiezioni poste da Alessandro agli eccessi di questo sistema di rinunce, sia Morelli sia Liénard109 avevano ipotizzato che tali affermazioni potessero rientrare nella polemica, condotta da alcuni pensatori cristiani come Gioviniano110, contro l’ascetismo monastico, in particolar modo contro i digiuni111 e l’astinenza

105 Si veda quanto già aveva notato Morelli, Sulle tracce del romanzo e della novella, cit., p. 72. 106 Collatio I 3, 1: profitentur aut invidere Deo, cuius tam pulcherrimam vituperant creaturam. 107 Collatio I 5, 1; 5, 3; 5, 5.

108 Nell’elenco tracciato da Alessandro, che riprende in sintesi quello già formulato da Dindimo nella

seconda lettera, compaiono: il nutrimento costituito da erbe, il rifiuto degli ornamenti, la repressione del desiderio sessuale, l’ignoranza del ferro, l’assenza degli edifici, dell’agricoltura e della navigazione, la mancanza di leggi e processi, la rinuncia allo studio delle lettere (Coll. 5, 3-4).

109 Morelli, Sulle tracce del romanzo e della novella, cit., pp. 73-75; Liénard, La Collatio Alexandri et

Dindimi; Liénard, op. cit., p. 828.

110 Monaco vissuto nel IV secolo, condannato da papa Siricio nel 390, e poi da un sinodo tenuto a Milano

e presieduto da Ambrogio. Si vedano F. Valli, Un eretico del sec. IV: Gioviniano, in Didaskaleion, n. s., II, 1924, pp. 1-66; Y.-M. Duval, L’Affaire Jovinien. D’une crise de la société romaine à une crise de

la pensée chrétienne à la fin du IVe et au début du Ve siècle, Institutum Patristicum Augustinianum,

Roma 2003; D. G. Hunter, Marriage, Celibacy and Heresy in Ancient Christianity. The Jovinianist

Controversy, Oxford University Press, Oxford 2007; R. Alciati, «Sine aliqua differentia graduum» (Hieronymus, Adversus Iovinianum 2,19). Ascetismo e matrimonio nella predicazione di Gioviniano,

in «Rivista di storia del cristianesimo» 8 (2011), pp. 305-328.

111 Liénard (art. cit., p. 827) osserva che Girolamo nell’Adversus Jovinianum, contestando la posizione

di Gioviniano sui digiuni, si serve del De jeiunio di Tertulliano. In ogni caso le due opere sono testimonianza di quanto il dibattito su tale pratica fosse vivo.

174 sessuale112. I due filologi avevano rilevato che da un passo dell’Adversus Iovinianum di Girolamo (II 5), dove viene riportata la terza delle proposizioni del teologo eretico113, è possibile ricavare la somiglianza delle affermazioni a lui attribuite con quanto sostiene Alessandro nell’ultima lettera:

Ad hoc creata esse omnia, ut usui mortalium deservirent. Et quomodo homo, rationale animal, quasi quidam habitator et possessor mundi Deo subiacet, et suum ueneratur auctorem, ita cuncta animantia aut in cibos hominum, aut in vestitum, aut ad scindendam terram, aut ad subvectionem frugum aut ipsius hominis esse creata, unde et jumenta, ab eo quod juvent, appellentur.

Tutte le cose sono state create per servire per l’uso degli uomini mortali. E come l’uomo, animale razionale, in un certo senso proprietario e inquilino del mondo, è soggetto a Dio, e adora il suo creatore, così tutti gli esseri viventi sono stati creati o per il cibo degli uomini, o per vestirsi, o per lavorare la terra, o per trasportarne i frutti, e lo stesso uomo, e quindi, poiché sono aiutanti di quest’ultimo, hanno il nome di “jumenta”.

Indubbiamente queste righe mostrano una connessione tra la critica espressa da Alessandro nei riguardi della continentia dei Bramani e le posizioni di quanti si scagliavano contro l’estremismo delle pratiche monastiche114.

Al di là del fatto che è non possibile stabilire quanto il compilatore della Collatio fosse vicino all’ambiente in cui operava Gioviniano – di cui non possediamo neppure uno scritto, ma lo conosciamo solo per tradizione indiretta115 –, il passo in questione contribuisce a delineare il quadro dell’ambiente culturale in cui la

112 Anche se nella Collatio Dindimo afferma che i Bramani si accoppiano per amore della prole, una

parte della tradizione cristiana vuole che essi si astengano dai rapporti sessuali: Clem. Alex. Strom. III 7, 60, 4; Aug. Civ. XV 20. Cfr. paragrafo 2.8.

113 Nell’Adversus Jovinianum (I 3) Girolamo sintetizza il pensiero di Gioviniano in quattro proposizioni:

a) le vergini, le vedove e le donne sposate hanno gli stessi meriti, in seguito al battesimo, a condizione che le loro opere siano equivalenti; b) coloro che sono rinati nel battesimo, grazie ad una fede completa, non possono essere sconfitti dal male; c) non c’è differenza tra l’astenersi dal cibo e il riceverlo con atti di ringraziamento; d) c’è una ricompensa nel regno dei cieli per tutti coloro che hanno conservato il loro battesimo. Il punto che riguarda la pratica del digiuno è quello da cui emergono le somiglianze tra la posizione di Gioviniano e le affermazioni di Alessandro sulle privazioni dei Bramani.

114 Anche l’inattività dei Bramani rispecchia una pratica monastica diffusa, contro cui interviene

Agostino nel De opere monachorum. Cfr. Morelli, op. cit., p. 71 n. 1.

175 corrispondenza tra Alessandro e Dindimo era stata prodotta. Nel valutare correttamente questo elemento, essa può essere considerata testimonianza del dibattito interno al mondo cristiano sulla necessità, o meno, di compiere scelte radicali, orientate al rifiuto del mondo e dei beni terreni116.

Tuttavia, ancora un’altra questione deve essere tenuta in debito conto. La polemica contro i costumi dei Bramani, o gimnosofisti, caratterizzati dalla loro sostanziale emarginazione rispetto al vivere civile e dalla loro improduttività117, è un motivo ben più antico, che risale alla letteratura del mondo classico, come si è già mostrato analizzando dettagliatamente le fonti al riguardo118.

La costruzione di una serie di stereotipi sullo stile di vita dei Bramani era già stata rielaborata dalla cultura greco-romana, come attesta ampiamente Strabone, che cita le opere di Megastene, Onesiscrito, Aristobulo: la nudità, le caverne utilizzate come abitazioni, il cibo ricavato dai frutti della terra, l’astinenza dalla carne e dai rapporti sessuali, l’assenza di malattie e il disprezzo della morte, l’ignoranza dell’agricoltura e della navigazione, e in generale l’essere improduttivi.

Nella Collatio viene presentata nuovamente una descrizione dei Bramani non molto diversa da quella che si legge nelle fonti precedenti: il discorso di Dindimo si fonda su una serie negazioni119, che assegnano a costoro un’esistenza relegata alla sfera dell’inciviltà ed equiparabile alla condizione ferina.

Nella prospettiva di un’analisi completa del testo, è necessario considerare che alla base della sua struttura concettuale troviamo anche le tracce di ciò che era già stato prodotto secoli addietro.

Un’ultima serie di problemi riguarda la posizione degli studiosi che sostengono come i caratteri attribuiti allo stile di vita dei Bramani siano riconducibili a quelli dei Cinici120.

116 Come aveva notato Oliver Segura, Los gimnosofistas indios como modelos del sabio asceta para

cínicos y cristianos, cit., p. 60, un documento della discussione sull’ascetismo monastico è costituito

dall’Adversus oppugnatores vitae monasticae di Giovanni Crisostomo. In ogni caso per approfondire la questione si veda R. Alciati, Il monachesimo. Pratiche ascetiche e vita monastica nel Mediterraneo

tardoantico (secoli IV-VI), in Costantino I. Enciclopedia Costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del cosiddetto editto di Milano. Vol. I, IEI, Roma 2013, pp. 815-831.

117 Ricordiamo qui i passi di Apul. Flor. 6, 8 e Ps.-Callisth. III 6, 9-10 (ed. Müller). Cfr. paragrafo 2.10. 118 Si rinvia all’analisi condotta nel capitolo 2.

119 Cfr. paragrafo 2.10.

120 Già a partire da U. Wilcken, Alexander der Grosse und die indischen Gymnosophisten, cit., e si

vedano poi Brown, Onesicritus: a study in Hellenistic historiography, cit., cap. 2; P. Pedech, Historiens

176 A questo riguardo, devono essere correttamente valutati una serie di altri fattori determinanti. In primo luogo, possediamo notizie sul pensiero cinico e sulle biografie dei suoi esponenti per tradizione indiretta121, e quindi è possibile procedere soltanto per congetture nella ricostruzione dei loro ideali di vita.

In secondo luogo, alcuni studiosi, più recentemente, hanno avanzato l’ipotesi che dietro ai racconti trasmessi dall’antichità classica sui Bramani, o sui gimnosofisti, si celi in realtà la traccia di richiami a testi che più propriamente appartenevano alla cultura indiana122.

Infine – elemento che fin qui ha improntato la nostra ricerca e che ribadiamo con forza –, certamente i topoi concernenti il vivere “secondo natura” praticato dai cinici123 sono simili a quelli trasmessi sui Bramani, ma non sono diversi da quelli attribuiti dalla cultura greca ad altre comunità o etnie marginali, come i Pitagorici124 e gli orfici125, i sacerdoti degli Egizi126, i Magi127, i Caldei128, gli Esseni129, o ad altre popolazioni reali e immaginarie130, come gli Etiopi131, gli Sciti132 e i Camarini133, e perfino alla generazione degli uomini vissuti nell’epoca mitica134. In sostanza si tratterebbe, comunque, di immagini, motivi ricorrenti, luoghi comuni ampiamente

Gymnosophistes étaient-ils des cyniques modèles?, in M.-O. Guolet-Cazé - R. Goulet (edd.), Le Cynisme ancien et ses prolongements, PUF, Paris 1993, pp. 225-239.

121 Si veda quanto afferma Lovejoy, in A. O. Lovejoy - G. Boas in Primitivism and Related Ideas in

Antiquity, The John Hopkins University Press, Baltimore-London 1935, p. 117. Uno dei volumi più

completi negli studi sui Cinici, anche per la storia delle fonti e del movimento, è quello di R. Bracht Branham - M.-O. Goulet-Cazé, The Cynics. The Cynic Movement in Antiquity and Its Legacy, University of California Press, Berkeley/Los Angeles/London 1996.

122 Dumézil, Alexandre et les sages de l’Inde, cit; Stoneman, Naked Philosophers, cit., e Id., The Greek

Experience of India, cit.; Bosman, The Gymnosophist Riddle Contest, cit.; Szalc, Alexander’s dialogue with Indian philosophers, cit.

123 La raccolta delle fonti classiche, ordinate secondo i motivi ricorrenti nella rappresentazione

dell’immagne dei Cinici è in A. O. Lovejoy - G. Boas, Primitivism and Related Ideas in Antiquity, The John Hopkins University Press, Baltimore-London 1935, pp. 117-151.

124 Sulle relazioni tra Pitagora e i Bramani Str. XV 1, 65; Apul. Flor. 15, 18; Eus. P. e. X 4, 15. 125 Le fonti riguardanti i costumi degli orfici sono nei frr. 212-219, in Orphicorum Fragmenta (coll. O.

Kern), Weidmann, Berolini 1922, ora ripubblicati in Orfici. Testimonianze e frammenti nell’edizione di

Otto Kern (a cura di E. Verzura), Bompiani, Milano 2011.

126 Porph. Abst. IV 17, 6-10. Cfr paragrafo 2.12 e n. 195.

127 Str. XV 1, 68; App. BC 2, 154; D. L. I 9; Ph. Prob. 74. Cfr. paragrafo 2.12 e n. 197. 128 D. L. I 1,6; IX 34-35.

129 Porph. Abst. IV 17, 11-14. Cfr. paragrafo 2.12 e n. 196.

130 Uno dei prototipi dei popoli mitici o fantastici è quello degli Iperborei. Cfr. J. Redondo, Elements of

Salvation in the Greek Myths on the Hyperboreans, in «Forma Breve» 15 (2018), pp. 481-491.

131 Agatharch. De mar. Erythr. 49, in GGM, pp. 140-141. 132 Chrys. Hom. in 2 Cor. 15, 3.

133 Exp. Mundi (ed. Lagarde) 4-7.

177 diffusi nel mondo classico – e da qui trasmessi anche alle epoche successive – per descrivere ciò che in maniera più estesa il mondo occidentale ha poi definito come “primitivismo”135.

Dal nostro punto di vista, il sostrato culturale greco presente nei motivi ripresi dalla Collatio non necessariamente deve fare riferimento di preciso ad una ispirazione cinica.

Il trasferimento sul piano dell’alterità, che era stato attuato dalla cultura classica, sia in riferimento alla dimensione storica, sia in un contesto più propriamente mitico, era un meccanismo potente dal punto di vista ideologico, messo in atto tutte le volte che appariva necessario ribadire la propria identità, prendendo le distanze da ciò che poteva metterla in discussione.

Su questo processo di trasmissione di cliché, rispondente a quelli che erano gli ideali greci di civiltà, indubbiamente giunti fino all’epoca dell’autore della Collatio – così come era accaduto anche per gli altri “trattati indiani” –, si è poi innestato il milieu culturale cristiano dei secoli III e IV, quando le questioni emergenti erano, da una parte, la difesa della fede verso il dio unico e, dall’altra, l’accettazione o meno delle prescrizioni dell’ascetismo monastico.

135 Riprendiamo il termine “primitivism” utilizzato da A. O. Lovejoy e G. Boas nei loro monumentali

lavori, Primitivism and Related Ideas in Antiquity e Primitivism and Related Ideas in the Middle Ages, dedicati alla raccolta delle fonti letterarie classiche e medievali, contenenti la rappresentazione del modello culturale di “primitivismo”. Le due opere in questione dimostrano quanto e come si fossero diffusi largamente e per molti secoli, negli scritti letterari, storici, filosofici, i topoi circa il vivere secondo natura, e certamente non solo in relazione ai Cinici.

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CAPITOLO 4

La ricezione medievale della corrispondenza