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L’inattività e il rifiuto della civiltà

L’assenza di attività lavorative e più in generale di civiltà sono altri tratti fondamentali che definiscono lo stile di vita dei Bramani.

299 Gent. Ind. II 6 (ed. Berghhoff): ἀνδρεία δέ ἑστι πρὸς τροπὰς ἀέρων μάχεσθαι γυμνῷ τῷ σώματι. 300 Cic Tusc. V 77; Val. Max. III 3, 6 (ext.); cfr. l’edizione Steffens di J3 dell’Historia de preliis, p. 132.

Sul commento ai dati si rinvia al paragrafo 2.3.

301 P. Maraval, Alexandre le Grand et les Brahmanes, Les Belles Lettres, Paris 2016, p. XVI attesta

come i viaggi verso l’India attraverso il Mar Rosso sono ampiamente documentati dal I al VI secolo, sia per il commercio sia per la relazioni diplomatiche, culturali e religiose.

302 Il tema dell’attivismo di Alessandro a confronto con i saggi indiani è già stato accennato da W.

Halbfass, India and Europe, cit., pp. 12-13.

303 Sulla creazione di un’immagine della “saggezza indiana” si veda K. Karttunen, Greek and Indian

Wisdom, in E. Franco - K. Peisendanz (ed.) Beyond Orientalism. The Work of Wilhelm Halbfass and Its Impact on Indian and Cross-Cultural Studies, Rodopi, Amsterdam-Atalanta 1997, pp. 117-122. Sui

111 La dimensione di “margine” della loro esistenza viene descritta già dagli autori greci. I saggi indiani sono presentati come una casta che è svincolata dalle norme condivise dalla loro stessa comunità. Diodoro Siculo riferisce che essi sono esentati da ogni servizio pubblico, e che non hanno potere sugli altri, né qualcuno ha il comando su di loro304. Da Arriano sappiamo che non hanno l’obbligo di eseguire lavori materiali, né di fornire al tesoro comune parte dei loro beni305. Anche nel capitolo di Porfirio, a loro dedicato, leggiamo che non sono sottoposti all’autorità del re e non pagano tributi306.

Il dato più rilevante, tuttavia, quello che ha goduto di maggiore fortuna, riguarda la loro estraneità alle normali occupazioni che caratterizzano la sfera civile. Abbiamo già visto – in relazione al motivo dell’assenza di pratiche agricole307 – come la tradizione sottolinei che i gimnosofisti non saprebbero coltivare la terra, né addomesticare o allevare animali, e neppure setacciare l’oro, ma in compenso avrebbero imparato la pratica della filosofia308.

La rappresentazione di una condizione di inversione o di opposizione rispetto alla civiltà, da parte dei Bramani, è un topos ampiamente sviluppato in tutto l’arco della produzione letteraria che li riguarda.

A tale proposito, si deve richiamare, ancora una volta, l’episodio dell’incontro tra Alessandro e i filosofi nudi, ai quali il re rivolge la pesante accusa che se tutti fossero uguali a loro, il mondo sarebbe selvaggio, il mare non sarebbe navigato, la terra rimarrebbe incolta, non si celebrerebbero i matrimoni, né si genererebbero i figli309.

Il testo dello Pseudo-Callistene è chiarissimo su questo argomento ed è lo specchio di ciò che la civiltà greca aveva elaborato rispetto al modo di vivere di un popolo, spesso rappresentato come privo di cultura e messo al margine.

304 D. S. II 40: Ἀλειτούργητοι γὰρ ὄντες οἱ φιλόσοφοι πάσης ὑπουργίας οὔθ´ ἑτέρων κυριεύουσιν οὔθ´ ὑφ´ ἑτέρων δεσπόζονται. 305 Arr. Ind. 11, 2: οὔτε γάρ τι τῷ σώματι ἐργάζεσθαι ἀναγκαίη σφιν προσκέαται οὔτε τι ἀποφέρειν ἀφ’ ὅτων πονέουσιν ἐς τὸ κοινόν. 306 Porph. Abst. IV 17, 4: οὔτε δὲ βασιλεύεται Βραχμὰν οὔτε συντελεῖ τι τοῖς ἄλλοις. 307 Cfr. paragrafo 2. 5.

308 Apul. Flor. 6, 8. Cfr. Pall. Gent. Ind. II 11.

309 Ps.-Callisth. III 6, 9-10 (ed. Müller): εἰ γὰρ πάντες ὁμογνώμονες ἦμεν, ἀργὸς ἂν ἐτύγχανεν ὁ κόσμος,

θάλασσα οὐκ ἐπλέετο, γῆ οὐκ ἐγεωργεῖτο, γάμοι οὐκ ἐπιτελοῦντο, παιδοποιΐα οὐκ ἦν. Traduzione in Appendice II.

112 ***

Tra le varie affermazioni contenute nella seconda lettera della Collatio, leggiamo anche, in maniera molto chiara, che i Bramani non si dedicano al lavoro, perché alimenta l’avidità310, ma evitano l’ozio turpe311.

Più avanti si dice che non utilizzano carri con il giogo, non solcano i campi con il vomere, non setacciano con le reti il fondo del mare, né catturano volatili, e neppure conducono battute di caccia, portando a casa le spoglie degli animali312. Tutto questo delinea un’immagine di uomini che non esercitano nessun tipo di attività pratica, con cui possano impiegare il loro tempo, e soprattutto non svolgono alcun impiego produttivo.

La motivazione principale, addotta da Dindimo, è di evitare la cupiditas, che conduce alla povertà tutti quelli che colpisce313. A ciò si associa anche la condanna della libido che renderebbe deboli le loro membra314.

La struttura concettuale del suo ragionamento sposta il problema del rifiuto del lavoro dal piano concreto dell’utile – ovvero di quanto serve a soddisfare i bisogni dell’uomo – a quello astratto della morale.

Il De gentibus Indiae et Bragmanibus in maniera molto più esplicita al riguardo – lo abbiamo visto – riferisce che essi non hanno quadrupedi, né agricoltura, né ferro, né edifici, né fuoco né pane, né vino né abiti e nulla di ciò che serve al lavoro315.

Se ne deduce facilmente che i Bramani non solo non lavorano, ma non hanno nulla che produca godimento, ovvero non possiedono nessun bene di conforto, così

310 Collatio I 2, 4: Laborem non exercemus, qui nutrit avaritiam.

311 Collatio I 2, 4: Otium turpe devitamus. Libidini membra debilitanda non tradimus.

312 Collatio I 2, 4: Nefas est apud nos iuga montium vulnerare dentibus vel camporum nitorem rugare

vomeribus aut gementibus tauris stridentia plaustra subiungere. […] Vescendi causa secreta litorum retibus non rimamur. Non aequoreas animantes secreta venatione decipimus aut aëris libertatem captu avium verberamus. Silvarum incolas non vastamus indagine neque spolia ferina domum convehimus.

Cfr. Collatio II, p. 12 (ed. Pfister): Inlicitum est apud nos arare campum cum vomere et ad carrum

boves iungere. Non inplemus ventrem nostrum de multo cibo neque retia mittimus in mare ad comprehendendos pisces; nec aliquas venationes facimus sive de avibus sive de quadrupedibus terrae, neque coria bestiarum domum reportamus.

313 Collatio I 2, 4: Est enim ferocissima pestis cupiditas, quae solet egenos, quos capit, efficere. 314 Collatio I 2, 4: Libidini membra debilitanda non tradimus.

315 Gent. Ind. II 11: testo citato a p. 83. Cfr. Ps. Ambr. Mor. Brachm I 11 (ed. Pritchard): Nulli apud

ipsos possunt esse quadrupedes, nullus fructus ex terra, nullus ferri usus, nullum instrumenti genus quo fieri aliquod opus possit.

113 che la loro esistenza si svolge nell’assoluta accidia. Tuttavia, nonostante questa breve annotazione, nell’intero contesto del trattato si può osservare – aprendo la strada ad ulteriori riflessioni – come la caratterizzazione dei Bramani sia del tutto positiva, soprattutto in virtù dell’interpretatio cristiana che la domina316.

Passando all’Historia de preliis317 e alle sue diverse recensioni318, notiamo che lo stesso messaggio fondamentale, quello dell’assenza di attività lavorative, e di qualunque modo di produzione, rimane immutato. Ad esso poi si associano i consueti topoi della condanna dell’avidità e del rifiuto del desiderio sessuale.

A proposito della mancanza di agricoltura, caccia e pesca, occorre rilevare come il modo di vivere dei Bramani, così configurato, verrebbe ad essere collocato addirittura ad un livello prececedente a quello su cui storicamente si fondavano le civiltà superiori.

La rappresentazione della loro estraneità alla cultura viene ulteriormente confermata da altre affermazioni che si leggono nella seconda lettera della Collatio, dove Dindimo nell’ordine dichiara che:

- non hanno processi né leggi319 - non utilizzano terme né bagni320

316 Sulla questione della matrice cristiana di Palladio si veda G. Desantis in Pseudo-Palladio, Le genti

dell’India e i brahmani, cit., pp. 35-41: lo studioso ritiene che nel testo di Palladio vi siano tracce della

dottrina evagriana. B. Berg, Dandamis, cit., p. 278, sottolinea che Palladio presenta i Bramani in una luce positiva, in quanto modello imperfetto dei monaci. Già C. Morelli, Sulle tracce del romanzo e della

novella, cit., p. 50, aveva notato che Palladio era anche l’autore della Historia Lausiaca, l’opera più

importante sul monachesimo orientale.

317 Hist. de preliis 99, p. 222, ed. Zingerle: Apud nos illicitum est arare campum cum vomere et terram

seminare et boves ad carrum iungere et retia in mare mittere ad comprehendendos pisces aut aliquas venationes facere sive de quadrupedibus terre sive de avibus celi; p. 224, ed. Zingerle: Nullum laborem facimus, qui ad avaritiam pertineat. Membra nostra libidini non tradimus.

318 Si vedano Historia Alexandri Magni (Historia de preliis). Rezension J1, cit., pp. 180 e 184; Historia Alexandri Magni (Historia de preliis). Rezension J2, cit., pp. 78 e 82; Die Historia de preliis Alexandri Magni. Rezension J3, cit., p. 132: Terras nostras non aramus, in ipsis semina non inicimus. Boves currui non iungimus, retia in mare ad comprehendendos pisces non mittimus. Venationes aliquas quadrupedum aut avium non facimus; p. 134: Nullum laborem, qui ad avaritiam pertineat, substinemus. Membra libidini non tradimus. Adulterium non committimus necaliquod vitium committimus, unde ad penitentiam retrahamur.

319 Collatio I 2, 3: Iudicia non habemus, quia corrigenda non facimus.Leges nullas tenemus, quae apud

vos crimina pepererunt.

320 Collatio I 2, 5: In usum lavandi turrita culmina non levamus. Nec auras salubres arte quadam

decoquimus nec gelidos aquarum cursus ferventi statione concludimus. Cur autem nos lavacra poscamus, quorum corpus immundis contactibus non sordescit? Sole calescimus, rore umectamur, sitim rivo frangimus.

114 - non possiedono schiavi321

- non costruiscono case322 - non indossano vesti preziose323

- non prendono armi e non fanno guerre324 - non hanno sepolcri325

- non adoperano la medicina326

- non assistono agli spettacoli teatrali327 - non praticano il commercio sul mare328 - non cercano di conquistare altri territori329 - non apprendono l’arte della retorica330 - non vanno nelle scuole dei filosofi331.

È evidente, dunque, che la serie delle negazioni definisca una dimensione di privazione, di vuoto, di annullamento che costituisce la natura stessa di questa società inattuale332. La stessa costruzione del discorso, fondata su una sequenza di non attribuzioni, di qualifiche al negativo, designa l’elemento fondante della loro esistenza, ovvero la non cultura, e la scomparsa della civiltà. Si potrebbe parlare di una “retorica della negazione” che determina una visione dell’alterità fondata sulla distanza diametralmente opposta rispetto al modello occidentale greco.

321 Collatio I 2, 5: In homines nostri similes superbiae non agitamus imperium. Nec quemquam vel

minima servitute exigimus praeter corpus, quod solum animo famulari debere censemus.

322 Collatio I 2, 6: In exstruendis domibus igne saxa non solvimus. Nec limum rursus in lapides

subactum fornacibus reformamus nec admixtione velificati pulveris caementa duriora conficimus. Fundamenta non iacimus in profundo […].

323 Collatio I 2, 7: Nullus apud nos pretiosus amictus est, nulla vestis fucato colore contexitur. Ma

dell’intera questione si è già discusso nel paragrafo 2.2.1.

324 Collatio I 2, 8: Arma non sumimus, bella non gerimus. Pacem moribus, non viribus confirmamus. 325 Collatio I 2, 8: Nulla nos exstruimus instar templorum sepulcra defunctis.

326 Collatio I 2, 11: Collatio I 2, 11: Pestilentiam Bragmani non patimur […] Medicinae remedium

nobis parsimonia est, quae non solum illapsos potest curare languores, sed etiam procurare, ne veniant.

327 Collatio I 2, 12: Nulla nos ludicra spectacula nec equina certamina nec scaenicas turpitudines

affectamus.

328 Collatio I 2, 14: Nos mercandi gratia pontum classibus non sulcamus.

329 Collatio I 2, 14: nec sub alio iacentes sole provincias fastidio terrae alterius expetimus.

330 Collatio I 2, 15: Nos artem bene loquendi non discimus neque facundiae rhetorum et oratorum damus

operam, cuius officium est phaleratis sermonibus figmentare mendacia et innocentiae fidem conferre criminibus ac parricidii reos assignare piissimos.

331 Collatio I 2, 15: Philosophorum scholas minime frequentamus, quorum doctrina discordia nihil

stabile certumque definiens semper sequentibus placita priora scindentibus.

332 Sulla definizione dell’altro sulla base degli “aspetti diffenziali”, che segnano la distanza cultutrale

rispetto all’occidente europeo, si legga F. Affergan, Esotismo e alterità, cit., pp. 68-76. Sulle “assenze” attributite all’immagine del Buon Selvaggio si veda anche Todorov, Noi e gli altri, cit., pp. 314-315.

115 Inoltre, considerando nel complesso la lista delle “assenze” esibita da Dindimo ad Alessandro, emerge chiaramente che alcune di esse sono quelle che riguardano specifiche abitudini e istituzioni della cultura classica in genere, come il possesso di schiavi, la visione degli spettacoli teatrali e delle corse di cavalli333, l’esercizio dell’oratoria, la frequenza delle scuole filosofiche, mentre altre si riferiscono più specificamente alla società romana, come l’uso delle terme334.

Il medesimo schema fondato sull’elenco delle privazioni dei Bramani si rinviene nella Collatio II e nelle redazioni dell’Historia de preliis335, dove se ne aggiungono altre, oltre a quelle già viste:

- non amano le ricchezze336 - non riflettono337

- non litigano tra loro338.

Vi sarebbe da osservare che tutte le negazioni, a loro riferite, rientrano, per lo più, in un contesto di attività pratiche, che riguardano la concreta realtà quotidiana. Tuttavia, qualora se ne analizzino le motivazioni che vengono addotte, esse appaiono direttamente connesse ad un piano astratto di regole di comportamento e di scelte di carattere morale.

Semplificando in via schematica le giustificazioni, leggiamo che: a) non conoscono il diritto, perché non vi sono azioni da correggere; b) non hanno bagni, perché i loro corpi non sono insozzati da immondi contatti; c) non comandano su altri uomini e dunque non riducono nessuno in servitù; d) non hanno case, perché abitano in grotte scavate nella terra o in caverne sulle montagne; e) non indossano vesti adorne,

333 Sulla questione della polemica cristiana contro il costume pagano di allestire spettacoli pubblici si

vedano il lavoro di A. Saggioro, Dalla ‘pompa diaboli’ allo ‘spirituale theatrum’. Cutura classica e

cristianesimo nella polemica dei Padri della Chiesa contro gli spettacoli, in «Μythos» 8 (1996).

334 In particolare sul riferimento nella Collatio I all’uso del calidarium si era già espresso C. Morelli, in

Sulle tracce del romanzo e della novella, cit., p. 54.

335 Si vedano le recensioni J1, J2, J3: Historia Alexandri Magni (Historia de preliis). Rezension J1, cit.,

pp. 182, 184; Historia Alexandri Magni (Historia de preliis). Rezension J2, cit., pp. 80,82,84; Die Historia de preliis Alexandri Magni. Rezension J3, cit., p. 134.

336 Collatio II, p. 11, ed. Pfister: Divitias non amamus; inter nos nulla invidia est. Cfr. Hist. de preliis

99, p. 223, ed. Zingerle.

337 Collatio II, p. 12, ed. Pfister: Nullam cogitationem habemus. Cfr. Hist. de preliis 99, p. 224, ed.

Zingerle.

116 perché i loro corpi sono coperti da papiri oppure sono nudi; f) non fanno guerre, ma assicurano la pace con i loro costumi; g) non edificano sepolcri né depongono le ceneri nelle urne, perché è la terra che deve accogliere le ossa dei defunti; e) non fanno uso della medicina, perché il loro rimedio è la parsimonia che cura tutti i mali; f) non sono spettatori di rappresentazioni pubbliche, perché contemplano gli spettacoli offerti dalla natura; g) non praticano il commercio marittimo, per non violare il mare con le navi; h) non cercano di sottomettere altre regioni, perché non provano disprezzo per i paesi stranieri; i) non apprendono l’arte dei retori, perché il compito di costoro è di inventare menzogne; l) non frequentano le scuole filosofiche, perché le loro dottrine non definiscono mai nulla di certo e provocano discordie.

Simili motivazioni rivelano palesemente come la descrizione dello stile di vita dei Bramani sia improntata ad una sostanziale semplicità, o “naturalezza”, che si fonda su una volontaria rinuncia a tutto ciò che concerne una dimensione culturale tout court. Si tratterebbe di una interpretatio – riformulata nella Collatio – che riproduce, in maniera ancor più sistematica, una visione dell’alterità, priva di tutti i fondamenti su cui si era costruita l’esistenza stessa della civiltà classica.

Le motivazioni di Dindimo sono proiettate in un’ottica che – si è detto più volte – nasce all’interno della cultura greco-romana e si trasmette poi, con diverse prospettive, al pensiero cristiano.

***

Anche tra i Padri della Chiesa, di fatto, riaffiora il motivo della estraneità dei Bramani alla civiltà.

In questo senso, si può inquadrare l’informazione offerta da Ippolito – il cui testo è stato già esaminato per altre questioni339 – che li designa come coloro che si propongono di vivere in modo autosufficiente340. E andrebbe posta sullo stesso piano anche l’osservazione di Tertulliano, che sostiene polemicamente, contro le accuse

339 Si rinvia ai paragrafi 2. 3, 2. 5 e 2. 6.

340 Hipp. Haer. 1, 24, 1: Ἔστι δὲ καὶ παρὰ Ἰνδοῖς αἵρεσις φιλοσοφουμένων ἐν τοῖς Βραχμάναις, οἳ βίον

117 rivolte ai cristiani, che essi non sono “abitanti delle selve ed estranei alla vita” come i gimnosofisti e i Bramani341.

Ancor più significativo è un passo del Commento alla seconda lettera ai Corinzi di Giovanni Crisostomo342, in cui si legge:

Ἀλλὰ καὶ τουτῶν αὐτῶν τῶν τεχνῶν ἀναγκαιοτέρα πασῶν ἡ γεωργιχή, ἣν καὶ πρώτην εἰσήγαγεν ὁ θεὸς, τὸν ἄνθρωπον πλάσας. Ὑποδημάτων μὲν γὰρ ἄνευ καὶ ἱματίων δυνατὸν ζῆν, γεωργικὴς δὲ χωρὶς, ἀμήχανον. Τοιούτους τοὺς ἁμαξοβίους εἶναί φασι τοὺς παρὰ Σκύθαις νομάδας, τοὺς Γυμνοσοφιστὰς τοὺς τῶν Ἰνδῶν. οὗτοι γὰρ καὶ οἰκοδομικὴν καὶ ὑφαντικὴν καὶ τὴν τῶν ὑποδημάτων εἴασαν τέχνην, μόνης δὲ τῆς γεωργιϰῆς δέονται.

Ma di tutte queste tecniche la più necessaria è quella dell’agricoltura, che per prima fu introdotta dal dio che aveva plasmato l’uomo. Infatti senza calzari e senza vesti esteriori è possibile vivere, ma senza coltivare la terra è impossibile. Dicono che sono tali quelli che vivono sui carri, i nomadi presso gli Sciti e i gimnosofisti presso gli Indi. Questi infatti hanno tralasciato le arti del costruire, del tessere e della calzatura; tuttavia soltanto l’agricoltura costituisce per loro un bisogno.

Come si vede, l’emarginazione culturale dei Bramani è un motivo comune, che passa dal contesto greco a quello cristiano, mostrando una lunga persistenza nel corso dei secoli343.