1.4. Storia della trasmissione del testo: le tre redazioni della Collatio
1.5.1. Il Commonitorium Pallad
La complessa questione dei testi appartenenti al “gruppo di Palladio”, ovvero al “Palladius-Gruppe” come lo aveva definito F. Kragl103, seguito poi da M. Steinmann104, è ancora lontana dall’essere definita. Vediamo in sintesi quali sono i punti nodali dell’intricata vicenda redazionale di questo insieme di documenti.
Quello che viene denominato Commonitorium Palladii e che si presenta con un titolo autonomo è un breve trattato in latino, appartenente alla serie dei testi contenuti nel manoscritto di Bamberga Hist. 3 (prima Hist. III. 14), insieme alla Collatio II e all’Epistola II. Questi scritti sono stati pubblicati nel 1891 da Kübler e nel 1910 da Pfister105. Per quanto riguarda i contenuti, anche questo testo sembrerebbe essere una lettera inviata ad un destinatario sconosciuto106, scritta in prima persona da Palladio, se appunto il genitivo Palladii sta ad indicarne la paternità, come ha suggerito Cracco Ruggini. L’epistola descrive il modo di vivere e i costumi dei Bramani. Tuttavia sull’identificazione di questo documento si è molto discusso in passato. Secondo lo studio del 1941 di F. Pfister107 – ancora punto di riferimento per la conoscenza del “Palladiustext”, come lui lo definisce –, nel manoscritto A dello Pseudo-Callistene i capitoli 7-16 del III libro contengono un “Komposittext”, che viene trasmesso anche separatamente sotto il nome di Palladio di Helenopolis108. Lo studioso tedesco faceva notare che è possibile leggere tale scritto nell’edizione di Müller dello Pseudo Callistene, dove era stato mantenuto109, mentre in quella di Kroll
103 F. Kragl, Die Weisheit des Fremden. Studien zur mittelalterlichen Alexandertradition, Lang, Bern
2005, pp. 211 e sgg.
104 Steinmann, Alexander der Grosse, cit., pp. 42-50.
105 Le due edizioni sono state più volte citate nelle note precedenti.
106 C. Müller propose di identificarlo con Lauso, a cui Palladio aveva dedicato anche l’Historia
Lausiaca. Si veda la n. 1 p. 201 dell’edizione di B. Kübler, Commonitorium Palladi, cit.
107 F. Pfister, Das Nachleben der Überlieferung von Alexander und den Brahmanen, in «Hermes» 76
(1941), pp. 143-169, in particolare le pp. 146-147.
108 Anche secondo P. R. Coleman-Norton, The auhorship of the Epistola de Indicis gentibus et de
Bragmanibus, in «Classical Philology» 21 (1926), pp. 154-160, l’autore era senz’altro da identificare
con Palladio di Elenopoli.
44 della recensio α era stato espunto, perché considerato un’interpolazione110. Ancora secondo Pfister, questa sezione (cioè Ps.- Callisth. III 7-16) del ms. A, è composta da tre parti di diversa origine, di cui solo la prima (cioè III 7-10) può essere chiamata Commonitorium Palladii. Essa conterrebbe, tra l’altro, una relazione sullo stile di vita dei Bramani, in cui in realtà sarebbero utilizzate in gran parte fonti letterarie che discendono da Ctesia e Megastene. La seconda (cioè Ps. - Callisth. III 11-12) deriva – come lo stesso filologo aveva anche cercato di mostrare111 – probabilmente da Arriano e di fatto Jacoby (F. Gr. Hist. II 878 ss.) aveva incluso questa sezione tra i frammenti dubbi dell’autore. Alla fine della prima parte, nel capitolo III 10, si annuncia un πονημάτιον Ἀρριανοῦ e questo è il motivo per cui Pfister ha denominato la seconda “Arriantraktat”. Essa riporta il resoconto di Dandami sugli incontri di Alessandro con i Bramani e riproduce il discorso pronunciato da loro; in esso troviamo riferimenti al personaggio Calano, descritto come oppositore dei veri costumi dei Bramani, e ad Alessandro, che si definisce figlio del dio Ammon e che non ama essere re della Macedonia, ma che ha conquistato quasi tutta l’Europa e l’Asia. Infine, l’ultima parte (cioè Ps. - Callisth. III 13-16) viene chiamata da Pfister “Dandamis-Gespräch”, in quanto riferisce di Alessandro e del suo rapporto con i Bramani, e poi in special modo la sua conversazione con Dandami.
In sintesi, questo è il quadro del complesso “conglomerato” di testi, delineato dal noto specialista tedesco, in verità già a partire dal 1910 con la sua edizione degli scritti appartenenti al manoscritto di Bamberga Hist. 3. In quell’occasione egli sosteneva che il Commonitorium Palladii doveva corrispondere ai capitoli III 7-10 (ed. Müller) dello Pseudo-Callistene, mentre il trattato Dindimus nomine Bragmanorum magister vitas eorum referens era da identificare con la sezione III 11-12 (ed. Müller)112.
La suddivisione schematica in tre sezioni dei capitoli 7-16 del III libro dello Pseudo-Calistene, riguardanti la descrizione dei costumi dei Bramani, il loro incontro con Alessandro, e il dialogo tra questo e Dandami, era stata condivisa in passato anche da Cary, e di recente viene riportata da Steinmann. Ad oggi, questa è ancora la visione
110 Historia Alexandri Magni (Pseudo-Callisthenes). Recensio Vetusta (ed. G. Kroll), Weidmann, Berlin
1926.
111 F. Pfister, Die Brahmanen in der Alexandersage, cit., pp. 569-575.
45 complessiva che offre la maggior parte degli esperti di questo campo, a proposito dei documenti appartenenti al “gruppo di Palladio” e contenenti l’episodio dell’incontro tra il re dei Macedoni e i saggi indiani.
Uno dei lavori più importanti e approfonditi su questo testo è senz’altro quello di Cracco Ruggini, di cui abbiamo già avuto modo di parlare in precedenza113. La studiosa considerava il Commonitorium Palladii come il corrispondente dei capitoli III 7-16 dello Pseudo-Callistene. Ella sosteneva che si tratterebbe di un’opera composita, di ispirazione cristiana, contenuta in un certo numero di manoscritti autonomi, sia greci sia latini. L’autore sarebbe Palladio di Elenopoli, vissuto tra il 364 e il 431, il quale avrebbe scritto anche l’Historia Lausiaca.
La specialista, dunque, utilizzava la stessa denominazione per indicare sia la versione greca, sia la traduzione latina completa di uno stesso documento (in verità bisogna rilevare come quest’ultima sia rimasta ancora inedita). Ella considerava tale testo un’interpolazione nelle redazioni tarde dello Pseudo-Callistene, ma circolante in maniera autonoma sia in greco, sia in latino. Inoltre ella si discostava dal prospetto generale della tripartizione tracciata da Pfister e sosteneva che lo scritto consta di due parti, seguendo la suddivisione del testo greco edito da J. Duncan M. Derrett114. Il saggio della studiosa contiene anche una sintesi ragionata dei contenuti presenti in quest’ultima edizione115. È utile ripercorrere tale schema, in quanto esso ci aiuterà nel tracciare le linee interpretative della Collatio.
Nella prima parte Palladio si rivolge ad un personaggio anonimo, lodandone la sete di sapere e dedicandogli il trattatello sugli usi dei Bramani; segue poi una serie di notizie sull’India, in cui l’autore precisa sempre se si tratti di fonti scritte, di esperienze dirette o di racconti di terzi. Egli sostiene di essersi recato personalmente fino alle porte di quella regione poste a settentrione, insieme a un certo Moses di Adulis, ma di essere stato poi costretto a tornare, rinunciando a proseguire per il Gange. Sull’India Palladio riferisce quanto aveva appreso da un certo σχολαστικός di Tebe in Egitto, che si era imbarcato nel Mar Rosso, raggiungendo prima Adulis e poi Axum. Il tebano avrebbe conosciuto un satrapo indiano, a cui risalirebbero tutte le notizie riferite su
113 Cracco Ruggini, Sulla cristianizzazione della cultura pagana, cit., nello specifico le pp. 21-44. 114 J. Duncan M. Derrett, Palladius: De vita Bragmanorum narratio, alias Palladii De gentibus Indiae et
Bragmanibus commonitorii necnon Arriani opusculi versio ornatior, in «Classica et Mediaevalia» 21 (1960),
pp. 100-135.
46 Taprobane. Infine lo “scolastico” avrebbe tentato di arrivare nelle regioni più interne dell’India e lì sarebbe stato imprigionato. Dal racconto di costui derivano tutte le informazioni sui Bramani e sulle regioni da essi abitate presso il Gange. Come fa notare Cracco Ruggini, nella conclusione di questa prima sezione, Palladio dichiara di far seguire un’opera su Alessandro e i Bramani scritta da Arriano, discepolo di Epitteto vissuto al tempo dei martiri Pietro e Paolo (Ps.-Callisth. III 10): questo fatto, insieme ad altri riferimenti precedenti, tra cui il ricordo del vescovo Moses, testimonierebbe che l’autore fu sicuramente un cristiano in contatto con le comunità religiose dell’Alto Egitto.
La storica del mondo antico osserva, poi, che la seconda parte del testo di Palladio circolava nel V secolo sotto il nome di Arriano. Nel primo paragrafo di questa sezione, Alessandro interviene in prima persona, invocando la σοφία e dicendosi desideroso, dopo aver visto il gimnosofista Calano, di conoscere la filosofia dei Bramani. Al che essi replicano dichiarando quel personaggio come un traditore dei valori tradizionali della propria gente. Successivamente espongono le regole della loro vita ascetica: abitare nelle selve, coprirsi di foglie, dormire sulla nuda terra, osservare la castità e il silenzio, astenersi dalle carni e dai cibi cotti, nutrirsi solo di frutti e di acqua di fiume, innalzare inni a Dio giorno e notte, combattere un’aspra lotta contro i sensi, personificati come tiranni che risiedono in ogni membro del corpo umano. Il testo prosegue raccontando come Dandami riceva un’ambasceria macedone guidata da Onesicrito con l’invito di recarsi da Alessandro e come egli rifiuti l’offerta affermando di non volere doni e di non essere impressionato dalle minacce, poiché la natura già gli fornisce il necessario e non ha ragione di temere la morte. Udita la risposta, Alessandro decide di recarsi di persona presso Dandami e nel lungo colloquio tra i due il saggio ripete molte delle cose già dette, scagliandosi con una nuova invettiva contro la cupidigia dei Greci e invitando Alessandro a lasciare il mondo per trovare la vera felicità in una vita di rinuncia. Il Macedone naturalmente risponde di non potersi sottrarre alle proprie responsabilità, offre a Dandami doni, che questi rifiuta, e poi se ne va. Il Bramano, rimasto solo, pronuncia un ultimo discorso in cui si scaglia contro le raffinatezze del vivere civile, la smania per gli spettacoli crudeli e lascivi, la ricerca del lusso, le perversioni della filosofia.
47 Già a partire dalla semplice lettura della sintesi della versione greca del Commonitorium, ci si rende subito conto di quanto siano numerosi gli elementi in comune tra questo testo e la Collatio, e pertanto di come sia necessario prenderli in considerazione entrambi nel momento in cui si affronterà l’analisi dei contenuti della corrispondenza.