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La dimensione contemplativa dei Bramani negli scritti di Alberto Magno

Nel X libro del suo Super Ethica43 – il commento riferito all’Etica Nichomachea di Aristotele – Alberto Magno44 illustra come per il godimento di una serena vita contemplativa l’uomo non abbia bisogno della felicità esteriore45.

Per chiarire questa tesi, il noto teologo tedesco adduce vari esempi, di cui i primi tre sono: 1) i saggi Bramani, privi di case e abitanti delle caverne, descritti da una lettera da loro inviata ad Alessandro; 2) il filosofo Diogene, che si privò persino di un cratere, dopo aver scoperto che poteva usare le mani per bere; 3) i santi padri eremiti, che scelsero la rinuncia completa al mondo.

40 At. 17, 22-33.

41 Si veda il paragrafo 3.2.

42 Si veda quanto afferma Hahn, The Indian Tradition, cit., p. 226.

43 Cfr. l’edizione Albertus Magnus, Super Ethica. Commentum et quaestiones (ed. W. Kübel), in aedibus

Aschendorff, Münster 1968-1972. I passi di Alberto Magno qui analizzati sono raccolti in Steinmann,

Alexander der Große, cit., pp. 93-94.

44 Sul pensiero di Alberto Magno si segnala I. M. Resnick (ed.), A Companion to Albert the Great:

Theology, Philosophy, and the Sciences, Brill, Leiden-Boston 2013.

188 Degno di nota è il fatto che in questa serie illustrativa i Bramani vengano accostati a Diogene come modelli di felicità assoluta. Ripercorrendo la tradizione classica, dalla quale dipende quanto racconta Alberto Magno, è facile richiamare alla memoria l’episodio dell’incontro di Alessandro con il noto filosofo, presentato come campione di austerità, che chiede al sovrano di scostarsi dalla luce del sole46.

Gli stessi Bramani vengono, poi, associati ai padri eremiti, indicati come emblemi della vita contemplativa. A proposito di questi ultimi, è evidente che il teologo utilizzi un modulo culturale – già prodotto dai Padri della Chiesa – fondato sull’assimilazione dei saggi indiani all’ascetismo di alcune delle prime comunità cristiane47.

Nel nuovo contesto culturale, rappresentato dalle speculazioni di Alberto Magno, assistiamo ad un utilizzo funzionale, a titolo esemplificativo, della descrizione di questo eccezionale stile di vita, in relazione ad alcuni specifici ambiti filosofici, come quello dell’etica, o della politica.

La conferma di questa rinnovata ottica si ricava da altri testi dello stesso autore. In un passo tratto dal De natura et origine animae48, i Bramani ancora una volta vengono trasformati in filosofi che scelgono di vivere come eremiti per coltivare un’esistenza intesa come l’optimum49:

Et haec ratio est, quae multos philosophos praecipue in Academia et Bragmania studentes effecit eremitas, ut separati ab hominibus hoc solum colerent et ad secundum naturam optimum deducerent, quod divinum est in eis et perpetuum, sicut testatur Didymus Bragmanorum rex in epistula quadam, quam scribit Alexandro regi Macedonum.

46 Esistono numerose varianti di questo racconto: la più nota è quella di Plu. Alex. 14, ma si vedano

anche D. L. 6, 32, 38, 60, e 68; Arr. An. 7, 2, 1; cfr. Plu. Mor. 331E; Cic. Tusc. 5, 32, 92; Val. Max. 4, 3 ext. 4. Nel Romanzo di Alessandro l’incontro con il filosofo e quello con i gimnosofisti costituiscono due episodi separati.

47 Sulla correlazione tra i Bramani e gli Encratiti, o i monaci in genere si vedano in particolare Hipp.

Haer. VIII 7 e Clem. Al. Strom. I 15, 71, 5-6; Pall. Gent. Ind. I 11. I passi sono discussi nei paragrafi

2.3., 2.4., 2.5., 2.6., 2.7. Sulla polemica di Gioviniano contro il rigorismo ascetico cfr. paragrafo 4.6.

48 Si veda l’edizione Albertus Magnus, Liber de natura et origine animae (ed. B. Geyer), Monasterii

Westfalorum, in aedibus Aschendorff, 1955.

189 E questa è la ragione per cui molti filosofi, allievi soprattutto dell’Accademia

e del popolo dei Bramani, divennero eremiti, affinché vivendo separati dagli uomini, si preoccupassero soltanto di questo, di raggiungere, seguendo la natura, uno stato di perfezione, che in loro è divina e perpetua, il che è attestato da Dindimo re dei Bramani in una certa lettera, da lui scritta ad Alessandro re dei Macedoni.

È significativo il fatto che qui venga sottolineato come costoro perseguano il fine ultimo di vivere “secondo natura” in una condizione “divina”, il che equivale a dire che, pur non avendo una conoscenza dottrinaria di Dio, essi ne hanno comunque una evidente consapevolezza50. Anche in questa occasione, poi, va notato che le osservazioni si fondano sulla testimonianza di un’epistola inviata da Dindimo ad Alessandro.

La scelta di un’esistenza singolare, eremitica, identificata in senso esemplare con quella dei Bramani, abitanti delle caverne, ritorna ancora in alcuni passi del commentario alla Politica51. Il primo di questi contiene alcune annotazioni di Alberto Magno su quanto racconta Aristotele circa la vita di Ippodamo di Mileto52. Il filosofo tedesco mostra come questo personaggio avesse condotto un’esistenza lontana dalla civiltà, in una dimensione contemplativa, tale da non poter essere raggiunta nell’ambiente cittadino, come era accaduto per Dindimo53:

Et subdit de conversazione ejus, ibi, Factus circa aliam vitam, scilicet quam civilem, contemplativam scilicet: dixit enim in civitate nullum posse vitam ducere contemplativam: et propter hoc patet fuisse ut Philosophus Didimi regis Brachmanorum. Omnes enim illi eremiticam vitam duxerunt, sicut scribitur in epistolis Didimi ad Alexandrum, in quibus continetur quod

50 Si ricordi a questo proposito quanto affermava Palladio nel suo De gentibus Indiae et Bragmanibus

(I 11). Si veda il paragrafo 2.12.

51 Si veda l’edizione Albertus Magnus, Opera Omnia. Vol. VIII, L. Vivès, Parisiis 1891.

52 Arist. Pol. 2, 7 (1267b). Ippodamo di Mileto fu un urbanista greco del V sec. A. C. e avrebbe esposto

anche una teoria sulla perfetta costituzione di una città, secondo Aristotele. Egli avrebbe condotto una vita singolare, fondata sull’eccentricità: prima avrebbe portato capelli lunghi e ornamenti costosi, ma poi avrebbe anche indossato una veste grossolana, ma calda, sia d’inverno sia d’estate (Arist. Pol. 1267b-1268a). Si veda la voce Ippodamo di Mileto di F. Castagnoli nell’Enciclopedia dell’arte antica, vol. 4, IEI, Roma 1961.

190 Didimus dixit: “Antra nobis sunt domus: dum vivimus, proficiunt in

hospitium, dum morimur, in sepulcrum.”

E (Aristotele) aggiunge riguardo a quanto detto su quello (Ippodamo di Mileto): “Condotta un’altra vita”, ovvero diversa rispetto a quella civile, cioè contemplativa: ha detto infatti che in città nessuno può condurre una vita contemplativa: e per questo motivo è evidente che essa fu – come il filosofo dice – propria di Dindimo re dei Bramani. Infatti tutti questi condussero una vita eremitica, come è scritto nelle lettere di costui ad Alessandro, nelle quali è contenuto quanto Dindimo scrisse: «Le caverne sono le nostre abitazioni: fungono da alloggi, mentre viviamo, e da tombe, quando siamo morti.»

Si è già visto che, già a partire dalle descrizioni dell’antichità classica, i Bramani vivono in uno spazio lontano dalla civiltà nei ripari naturali delle caverne54. Il tema, ripreso nel suo commento da Alberto Magno, viene rielaborato trasferendo questa icona al livello di un’assoluta astrazione simbolica.

Più avanti, a proposito di quanto Aristotele fa sapere su Ippodamo, in particolare riferendosi all’abito modesto che avrebbe indossato d’estate e d’inverno, l’autore osserva che non è necessario procurarsi una veste elegante55:

Ulterius de vita ejus subdit: Adhuc autem vestitus vilis quidem, sed calidus, non in hieme solum, sed circa aestiva tempora: dixit enim in vestitu non esse gloriandum, sed ob necessitatem quaerendum, ut scilicet calidus sit vestitus et si non ornatus: sicut et rex Brachmanorum scripsit Alexandro, dicens: «Nos et uxores nostrae in vestitu ornatum non quaerimus, quem natura negavit: ganda enim opertus aliquando melior quam opertus purpura.»

E ancora aggiunge sul modo di vivere di quello: “Per di più, tuttavia, aveva un certo vestito grossolano, eppure caldo, non solo d’inverno, ma anche nella stagione estiva”: ha detto infatti che non bisogna vantarsi dell’abito, ma procurarsi una copertura per necessità, che sia calda, anche se non elegante:

54 Cfr. paragrafo 2.4.

55 Albert. M. Pol. 2, comm. 5 (ed. Borgnet). Questo passo non è riportato nell’edizione di Steinmann

191 così come scrisse anche il re dei Bramani ad Alessandro, dicendo: «Noi e le

nostre mogli non ricerchiamo l’ornamento, che la natura ci ha negato: il ganda è un rivestimento alquanto migliore della porpora.»

Il commento evidenzia come i Bramani e le loro mogli vivrebbero “secondo necessità”, indossando un abbigliamento funzionale anche se non bello. Anche in questo caso, le riflessioni di Alberto Magno seguono la traccia della tradizione precedente sulla rinuncia agli ornamenti da parte delle donne dei Bramani56. Va poi considerato che qui non viene più menzionata la loro nudità, ma si parla di un semplice rivestimento. Il motivo si configura come un’ulteriore evoluzione delle testimonianze dei Padri della Chiesa, i quali mostravano una certa reticenza nel descrivere i saggi indiani completamente nudi57.

In un altro breve passaggio, l’operazione intellettuale prodotta da Alberto Magno diventa ancora più complessa. Il caso dei Bramani, analogamente a quello di alcuni filosofi greci, come Socrate, Falea, Ippodamo, e nuovamente Diogene, viene addotto per esemplificare la conduzione di un modus vivendi atipico, da parte di coloro che si occuparono di “politica”58:

Eorum autem, qui pronuntiaverunt de politia, quidam quidem fuerunt, qui non communicaverunt actionibus politicis nullis […], sed perseveraverunt singulari vita viventes, et fuerunt, qui philosophiae intenderunt, sicut Socrates, Phaleas, Hippodamus, et generaliter omnes, qui in Brachmania sub Didimo rege fuerunt in antris habitantes, sicut Diogenes […]

D’altra parte tra quelli, che si pronunciarono sulla politica, certamente vi furono alcuni che non manifestarono la loro opinione con alcuna azione politica […], ma mantennero la loro idea vivendo una vita singolare, e furono coloro che si occuparono di filosofia, come Socrate, Falea, Ippodamo, e generalmente tutti quelli che nella regione dei Bramani, sotto il re Dindimo, abitarono nelle grotte, così come Diogene, […]

56 Si veda il paragrafo 2.7.

57 Cfr. il paragrafo 2.3.

192 Quest’ultimo testo presenta un’immagine dei Bramani simbolo di coloro che formularono teorie in ambito politico, ma non vi presero parte attiva. In questo contesto il termine politicis, da riferire alle loro azioni, va inteso in senso etimologico, ovvero “della città”, poiché tutti costoro si collocarono ai margini di essa, compiendo la scelta totalmente opposta di vivere in isolamento59.

Nonostante la complessità dello sforzo interpretativo, richiesto dalla individuazione del contesto in cui sono inserite le citazioni della corrispondenza tra Alessandro e Dindimo, all’interno degli scritti di Alberto Magno, vale la pena di soffermarsi su questo tipo di indagine, poiché se ne ricava un’ulteriore e variegata rappresentazione dei Bramani, essendo trascorsi almeno otto secoli dalla formulazione della prima Collatio60.

Dall’esame di queste testimonianze, appare evidente che nella congerie dei commentari di Alberto Magno – oltre al riemergere dei topoi della tradizione classica sulla loro marginalizzazione culturale – i richiami ai Bramani vengano utilizzati, in contesti disparati, a scopo esemplificativo, nel campo della filosofia pragmatica.

Si è potuto constatare, infatti, come essi – abitanti solitari delle caverne, lontani dalla sfera civile, assimilati per le loro singolari consuetudini a Diogene, ai padri eremiti, o ai filosofi che trattarono di politica – siano divenuti emblemi della vita contemplativa, nonché detentori di un principio divino, l’optimum.