3.6 La Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Crimea
3.6.4 Attacco al nazionalismo borghese e politica staliniana
Alla fine degli anni venti i sovietici presero di mira l’ala definita “nazionalismo borghese”. Lenin e Stalin pensavano che, se avessero concesso nella forma l’autonomia nazionale, sarebbero riusciti a disgregare alla base l’alleanza delle classi superiori per la creazione di uno stato indipendente. Nelle loro intenzioni sarebbe dovuta emergere una divisione tra le classi sociali e questo avrebbe permesso ai bolscevichi di ottenere il supporto della classe proletaria per la buona riuscita del Socialismo. Come in Finlandia, stato in cui l’indipendenza aveva aumentato e non diminuito i conflitti sociali, lo stesso sarebbe avvenuto nell’Unione. Bisognava quindi, secondo Stalin, ripulire lo Stato dalla sporcizia borghese “bourgeois filth”. Queste erano le basi della premessa Marxista.437 In sostanza essi considerarono il nazionalismo come una maschera che conduceva le classi all’espressione dei propri bisogni tramite movimenti inadatti, poiché non basati sulla differenziazione delle classi sociali ma compatti nella forma e capitanati dalla classe borghese. L’identità nazionale era invece reputata un prodotto dell’era capitalista e del primo periodo socialista, che ora dovevano essere sorpassati ed aboliti. Come abolirli? Concedendo alcune forme di autonomia richieste legittimamente, le quali avrebbero conseguentemente portato alla rottura dell’alleanza nazionale borghese.438
Tra il 1928 e il 1929 ogni elemento borghese ed ogni kulak, termine con cui si designavano gli agricoltori più ricchi, scomparvero dall’economia tatara. Si stima che le figure eliminate siano tra le 35.000 e le 40.000. Queste azioni lasciarono un segno profondo tra i contadini della penisola, anche perché molti degli individui cacciati non erano realmente agricoltori ricchi e potenti.
«They gathered thousands […] People who had grown up in the mild climate of the south and had never left the mountains or sea shores were made to emigrate to the taygas and tundras so that they perished in the early stage of emigration.»439
Si ricorda a tal proposito un movimento di protesta popolare organizzato dai Tatari di Crimea che ebbe luogo ad Alakat, nella costa sud della Crimea, nel mese di dicembre del 1929 e gennaio del 1930. La sommossa popolare non ottenne nulla contro le forze sovietiche e dovette arrendersi alla collettivizzazione forzata.440 L’unica maniera che ebbero i Tatari di resistere alla collettivizzazione statale fu quella di sopprimere volontariamente il loro bestiame evitando così che diventasse parte delle fattorie; queste azioni vennero reputate controrivoluzionarie.
La prima conseguenza della collettivizzazione forzata in Crimea fu la carestia durata dal 1931 al 1933. La situazione venne aggravata ulteriormente dal fatto che nei mesi in cui le provviste di cibo
437 Ibidem, p. 5. 438 Ibidem, p. 8.
439 Cit. in A. W. Fisher, The Crimean Tatars, cit., p. 143. 440
91
erano praticamente nulle, il governo sovietico continuò a confiscare gli alimenti e ad esportarli in cambio dell’ottenimento di valute straniere che servivano per il processo di industrializzazione. Gli abitanti dei villaggi allora non erano più padroni delle loro terre e non possedevano cibo a sufficienza per sostentarsi.441 Gli effetti della politica di collettivizzazione furono disastrosi: per citare un esempio, nel 1932 la produzione di frutta fu solo il 33% di quella dell’anno precedente e la produzione di tabacco diminuì del 50%.
Le autorità moscovite rimasero pressoché indifferenti alla situazione di estrema difficoltà che la Crimea visse fino all’inizio degli anni trenta. I soprusi che la Crimea dovette sopportare fino al 1933 furono molteplici; i Tatari assistettero alla sovietizzazione della loro vita culturale ed educativa e all’assassinio di Veli Ibrahimov, condannato con un’incriminazione che fu una chiara scusa trovata per sbarazzarsi di un leader e dei suoi quasi 3.500 collaboratori che stavano diventando scomodi per il governo.442
Tra il 1917 ed il 1933 la popolazione dei Tatari di Crimea venne dimezzata poiché perse sia coloro i quali vennero uccisi e sia chi, spontaneamente, scelse di scappare da una terra che non concepiva più come luogo protetto. A partire dal 1933 quelli rimasti in Crimea dovettero invece fronteggiare un trattamento mirato alla distruzione della loro comunità: assistettero alla cosiddetta politica delle “Grandi Purghe”.443
Terrore e processi pubblici furono le tecniche favorite del governo per la promozione della rivoluzione culturale soprattutto in Ucraina, Bielorussia, Tatarstan, Crimea ed Uzbekistan, luoghi in cui l’intellighenzia era piuttosto attiva.444
Alla fine del 1930, la direzione intrapresa dalla politica di korenizacija non era facilmente delineabile. Da un lato essa si stava fortificando grazie all’implemento della rivoluzione culturale, ma dall’altro non si stava compiendo quello che era stato previsto, tanto che lo stesso Stalin non si ritenne completamente soddisfatto. Egli precisò il suo pensiero durante il Sedicesimo Congresso del Partito definendo il concetto di “sciovinismo locale” che, focalizzandosi sulle differenze che allontanavano le masse l’una dall’altra piuttosto che sui motivi d’unione, faceva allontanare dalla corrente della costruzione socialista.445
A partire dal 1930 Stalin intraprese la campagna di “fratellanza dei popoli”, il cui scopo maggiore era quello di riabilitare la cultura tradizionale russa come forza per l’unità sovietica, che a primo impatto parve un’incredibile inversione di tendenza. Basti pensare che, al tempo, la latinizzazione dell’alfabeto venne invece interpretata quasi come un attacco alla cultura russa. Nella realtà successe che lo stato centralizzato direzionò in qualche maniera i bolscevichi a fare affidamento sul
441
A. W. Fisher, The Crimean Tatars, cit., p. 144.
442 P. R. Magocsi, This blessed land: Crimea and the Crimean Tatars, cit., p. 102. 443 A. W. Fisher, The Crimean Tatars, cit., p. 145.
444 T. Martin, The Affirmative Action Empire: Nations and Nationalism in the Soviet Union 1923-1939, cit., p. 249. 445
92
popolo che più identificava lo stato sovietico: i Russi. A partire dagli anni trenta Stalin espresse chiaramente il suo punto di vista concludendo il suo discorso con:
«This is why we can lag behind no more […] We are 50-100 years behind the leading countries. We have to cover this distance in ten years. Either we do it, or they crush us.»446
Secondo la politica della fratellanza, la lingua e la cultura russa avevano un ruolo primario nel forgiare l’alleanza tra i popoli, con lo scopo ultimo, forse utopico, di una grande e unica comunità multinazionale.447 Nella formazione del carattere patriottico da dare alla comunità, Stalin rivalutò numerosi aspetti appartenenti al passato della Russia che richiamò poi più tardi al tempo della Seconda Guerra Mondiale, dando al regime un volto russo visibile anche nella politica adottata verso le altre etnie.448
A partire dal 1930 Stalin fece quindi appello all’orgoglio nazionale russo in risposta alle mancanze subite nel periodo precedente. La storia, la cultura e le tradizioni russe sarebbero da ora diventate la nuova forza che avrebbe tenuto uniti i popoli sovietici.449 La riabilitazione della cultura russa diede alla popolazione il diritto di potersi esprimere da un punto di vista nazionale, in particolare negli anni tra il 1933 e il 1938, durante i quali, tuttavia, non si interruppe il processo di korenizacija che continuò, seppur meno intensamente, per tutti gli anni trenta.