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Atteso anche il carattere (ad avviso di chi scrive) non pienamente

NEL PRISMA DEL SOTTOSISTEMA PENALE PREMIALE

4. Atteso anche il carattere (ad avviso di chi scrive) non pienamente

appagante della soluzione elaborata dalla Corte EDU, il nodo dell’ergastolo ostativo torna a dover essere sciolto (o reciso?) alla luce del parametro interno dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione.

In definitiva, lo si ribadisce, la legittimazione delle misure premiali per la collaborazione rispettivamente sostanziali e in executivis poggia sui medesimi fondamenti (politico -criminali) e incontra i medesimi ostacoli (costituzionali). Indubbio è il loro porsi in tensione con le direttive e i principi in materia penale promananti dalla Carte fondamentale; assai più dubbia l’individuazione della soglia di tollerabilità entro le quali possano (continuare a) trovare cittadinanza nel nostro ordinamento, anche tramite una loro interpretazione (se del caso “ortopedica”) costituzionalmente orientata. Ma le eventuali ragioni e giustificazioni ravvisabili a sostegno delle stesse simul stabunt, simul cadent.

Il problema allora (riprendendo l’esposizione iniziale) è la sostenibilità pratica di un esito caducatorio tramite una ipotetica serie di sentenze “a catena” delle previsioni premiali per il sistema penale italiano; un sistema ormai “dopato” da una fitta rete di incentivi alla delazione, come testimonia da ultimo proprio il recente (ennesimo) ampliamento dell’elenco dei reati ostativi ai sensi di 4-bis operato dalla c.d. legge “spazzacorrotti” (l. n. 3/2019).

3Degna di nota, peraltro, l’osservazione contenuta nell’opinione dissenziente del giudice Wojtyczek, per cui “migliaia di criminali hanno collaborato con le autorità e hanno beneficiato di tali misure. La minaccia che il crimine organizzato fa pesare sui “pentiti” non raggiunge un livello capace di paralizzare l’applicazione di queste misure… la minaccia che il crimine organizzato fa pesare sulle persone che infrangono la legge del silenzio non sembra essere un ostacolo insormontabile nell’applicazione di diverse misure che mirano alla collaborazione dei criminali con le autorità inquirenti”.

L’ergastolo ostativo nel prisma del sottosistema penale premiale 81

La logica premiale ha, infatti, incontrato una crescente fortuna che ne ha esteso l’applicazione non solo al di là delle tradizionali (e storicamente comprovate come tali) emergenze mafiosa e terroristica, ma addirittura oltre l’area dei reati in forma associativa e necessariamente plurisoggettivi; la iniziale “eccezione” limitata al diritto penale di lotta è stata, insomma, banalizzata, tanto da poter essere ormai qualificata come vera e propria costante della politica criminale italiana. Il nostro legislatore (trasversalmente e stabilmente innamorato del paradigma premiale) diversamente che al tempo (assai più fosco) della sua prima elaborazione non sente più il bisogno di invocare una “emergenza”, neanche contingente, per riprodurlo nell’armamentario normativo. Si pensi, in via meramente esemplificativa, all’introduzione delle attenuanti a effetto speciale previste dall’art. 603-bis.1 (l. 29 ottobre 2016, n. 199) nell’ambito della repressione del c.d. caporalato; dall’452-decies in relazione ai nuovi delitti contro l’ambiente di cui al titolo VI-bis (l. 22 maggio 2015, n. 68); dall’art. 625-bis c,p. rispetto ai reati di furto, furto in abitazione, ricettazione.

Deplorabilmente, insomma, la logica premiale è dilagata ben al di là del suo alveo emergenziale originario relativo alle emergenze mafiosa e terroristica. Questa tendenza peraltro non appare imputabile al solo legislatore: si pensi alla valorizzazione della condotta collaborativa ai fini della concessione delle attenuanti generiche tale da aver elevato questa norma a succedaneo di una attenuante generale per la collaborazione applicabile ai reati per cui siffatto incentivo non è normativamente previsto.

Come comporta il panorama normativo così sommariamente delineato ai fini del giudizio in corso avanti la nostra Corte costituzionale? Ad avviso dello scrivente, le accennate considerazioni non possono che tradursi in una pesante remora a un verdetto di incostituzionalità. Condannato l’ergastolo ostativo, la coerenza del sistema imporrebbe di portare alla sbarra non solo l’intero novero dei reati ostativi di cui al 4 bis (e in generale il meccanismo di condizionalità in esso delineato) ma più in generale tutte le ipotesi in cui la pena (minacciata o irrogata) diventa merce di scambio con la condotta collaborativa, conculcando i principi di proporzionalità e rieducazione della pena, nonché di uguaglianza tra i rei.

Da questo punto di vista, l’ergastolo ostativo appare (paradossalmente) come il bersaglio meno agevole per uno scrutinio stretto di costituzionalità sulle criticità del sistema premiale. Invero, i reati per cui la massima pena può assumere tale declinazione sono proprio quelli per cui è maggiormente plausibile la sostenibilità costituzionale del “premio” per la collaborazione, o meglio la tollerabilità della deroga che questo comporta alla ortodossa esplicitazione della funzione rieducativa della pena.

Non potrebbe allora che lasciare qualche perplessità assistere al recesso sia pur parziale della logica premiale (che è lo si ripete intrinsecamente distorsiva rispetto ai principi del diritto penale costituzionalmente orientato) rispetto alle forme di criminalità più pericolose e alla sua sopravvivenza ai piani bassi della gerarchia di disvalore dell’illecito. Almeno per i reati di mafia e terrorismo,

infatti, perlomeno sussiste un legame con ragioni emergenziali storiche il cui superamento appare questione tutt’altro che banale (sebbene costituisca lecito interrogativo). Più lineare sarebbe procedere in senso inverso, a una riduzione dell’area ormai ipertrofica delle disposizioni premiali alle sole categorie di illecito ragionevolmente omogenee con la sua natura di strumento emergenziale, e, perciò, eccezionale.

Non v’è dubbio che la soluzione più auspicabile per tale revisione sarebbe un “ravvedimento operoso” del legislatore che fermi l’ormai abnorme ricorso allo strumento premiale in ogni fase della pena. Trattandosi (come spesso sovente accade) di auspicio scarsamente realistico, si può forse riporre le speranze in una rinnovata attenzione sul tema da parte degli interpreti che si concreti in un dialogo proficuo con la Consulta. Nel quadro della razionalizzazione e ridimensionamento del sottosistema premiale, anche la controversa eccezionalità dell’ergastolo ostativo potrebbe forse trovare, in termini di sistema, un soddisfacente superamento in un futuro non remoto.

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