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Come tentato di mostrare, le questioni sollevate dalla Corte di cassazione

UN DIALOGO POSSIBILE CON LA CORTE EDU?

IL 4-BIS ALL’ESAME DELLA CORTE COSTITUZIONALE: LE QUESTIONI SUL TAPPETO E LE POSSIBILI SOLUZIONI

3. Come tentato di mostrare, le questioni sollevate dalla Corte di cassazione

e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia sono “aperte”, più di quello che forse la lettura delle ordinanze di rimessione induca a credere.

Nello scegliere la soluzione, per la Corte potrebbe non essere indifferente il tipo di dispositivo di accoglimento e le conseguenze che potrebbe produrre.

Anche sotto questo aspetto le possibilità sono molteplici.

Sia che qualifichi l’obbligo di collaborare con una presunzione di pericolosità, sia che la intenda come una strategia di politica criminale (sull’alternativa tra questi due modi di intendere la collaborazione, v. retro par. 2.1 e 2.2), essa – in caso di accoglimento – dovrebbe anzitutto valutare se eliminare tale obbligo per accedere ai permessi premio oppure a tutti i benefici penitenziari.

I giudici a quibus costruiscono le censure sulla situazione dei singoli imputati (condannati all’ergastolo che chiedono la concessione di un permesso premio) e vorrebbero poter concedere questo specifico beneficio (permesso premio). Come ricordato (retro, par. 1) si dilungano sulla differenza tra questo e gli altri benefici.

La Corte potrebbe dunque – in aderenza al petitum rivolto dai giudici a

quibus – “limitarsi” ad eliminare l’ostatività per la concessione del solo

Già in passato, chiamata a pronunciarsi sull’applicazione del meccanismo dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., anche a coloro che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 15, comma 1, del d.l. n. 306 del 1992 (che quel meccanismo ha introdotto), avevano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto, la Corte ha esteso l’ammissione, di volta in volta, ai singoli benefici e misure (ad esempio, prima, con la sentenza n. 306 del 1993 alla semi-libertà, quindi, con la sentenza n. 137 del 1999 ai permessi-premio, e così via).

Si può inoltre argomentare che i permessi-premio costituiscono un istituto con una particolare connotazione e, dunque, che l’estensione agli altri benefici non sia “automatica”: nella giurisprudenza costituzionale, sia risalente che attuale, la Corte ha, ad esempio, evidenziato che il permesso premio non può essere ricondotto alla categoria delle misure alternative alla detenzione, pur costituendo parte integrante del programma di trattamento e importante strumento di rieducazione poiché consente un iniziale reinserimento del condannato nella società (sentenze n. 188 del 1990, n. 504 del 1995, n. 137 del 1999, n. 301 del 2012 e, da ultimo, n. 149 del 2018).

Ovviamente, un eventuale accoglimento delle questioni limitatamente all’accesso ai permessi premio indurrà nel prossimo futuro altri giudici a sollecitare la Corte affinché valuti anche la compatibilità dell’obbligo di collaborare con la giustizia quale condizione per l’accesso agli altri istituti del diritto penitenziario che progressivamente segnano il percorso rieducativo: il lavoro all’esterno, la semilibertà e la liberazione condizionale.

Ad ogni modo, anche se, per le ragioni dette, è difficile immaginare che la Corte possa già ora adottare una pronuncia di accoglimento che, radicalmente, consenta l’accesso a tutti i benefici penitenziari pur in assenza di collaborazione con la giustizia, può essere utile evidenziare che un dispositivo di tal fatta non avrebbe comunque l’effetto di eliminare completamente il c.d. doppio binario.

Resterebbe, anzitutto, il ricordato meccanismo “premiale” di cui all’art.

58-ter ord. pen., in base al quale, in caso di collaborazione attiva, al detenuto non

potrebbero essere opposti i limiti minimi di pena che devono essere scontati per accedere al lavoro all’esterno (art. 21 ord. pen. ), per beneficiare dei permessi premio (art. 30-ter) e per ottenere la semilibertà (art. 50 ord. pen. ).

In secondo luogo, resterebbe ancora precluso il lavoro all’esterno per i detenuti condannati per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste da quest’ultimo articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste. Per i detenuti condannati per gli altri delitti di cui all’art. 4-bis ord. pen., il magistrato sarebbe ancora chiamato a svolgere una verifica particolarmente stringente (ex art.

20-ter, comma 6, ord. pen. ).

Soprattutto, resterebbe impedita la concessione della detenzione domiciliare (ex art. 47-ter ord. pen. ), in quanto tutti i condannati per i delitti elencati all’art. 4-bis ord. pen. (l’intero 4-bis, non solo il comma 1) non possono

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mai scontare la pena nella propria o in altra privata dimora neppure se collaborano25.

Infine, la decisione non “intaccherebbe” la disciplina di cui all’art. 41-bis ord. pen.

Da ultimo, va osservato che, in caso di accoglimento (limitato, o no, all’ammissibilità dei permessi premio), la Corte dovrebbe considerare se sia in qualche modo possibile (in motivazione o incidendo sul dispositivo), per ragioni di prevenzione speciale, conservare in capo alla magistratura di sorveglianza una valutazione più penetrante sulla pericolosità sociale quando sia chiamata a concedere i benefici penitenziari ad un detenuto non collaborante condannato per uno dei delitti elencati al comma 1 dell’art. 4-bis ord. pen.

Il Tribunale di sorveglianza di Perugia evidenzia come – anche in caso di eliminazione dell’ostatività – esso sarebbe chiamato ad acquisire elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (v. pag. 10 dell’ord. di rimessione).

In realtà, a tale conclusione non è facile giungere operando sul piano testuale.

L’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., infatti, come noto, impone la collaborazione c.d. attiva, e tale condizione ostativa è superabile, ex comma

1-bis, solo se sia accertato che la collaborazione è irrilevante o impossibile. In tale

seconda ipotesi, il beneficio è concesso «purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva».

Se però non fosse più necessaria la collaborazione “attiva” e, dunque, come logica conseguenza, non fosse più necessario verificare se la collaborazione è irrilevante o impossibile, siamo certi che il giudice debba comunque accertare l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nonostante si tratti – come visto – di un accertamento strettamente legato alla collaborazione impossibile o irrilevante?

È certamente un passaggio su cui occorre prestare attenzione, poiché il mantenimento di questo ulteriore controllo consentirebbe, in caso di accoglimento, almeno di conservare in capo alla magistratura di sorveglianza un efficace collegamento con le autorità di pubblica sicurezza svolgendo una verifica sul contesto sociale esterno al carcere in cui il detenuto sarebbe autorizzato a rientrare (sia pure episodicamente) in contatto26.

In tal modo, peraltro, la Corte riuscirebbe a far tornare le lancette dell’orologio indietro nel tempo: prima delle modifiche apportare all’art. 4-bis dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, conv. con l. 7 agosto 1992, n. 356, non

25Pende sul punto questione di legittimità costituzionale di tale preclusione assoluta con riferimento a condannata a poco più di due anni per il delitto di rapina (cioè per un delitto elencato al comma 2 dell’art. 4-bis ord. pen. : v. ordinanza di rimessione della Corte di cassazione, 18 febbraio 2019, n. 9126.

26Sulla compatibilità di tale requisito rispetto all’art. 27 Cost. v. già ordinanza n. 271 del 1992.

si pretendeva infatti la collaborazione con la giustizia, ma si prevedeva proprio questo: che coloro che avevano commesso gravi delitti potessero essere ammessi ai benefici penitenziari purché fossero acquisiti elementi tali da far escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (così, testualmente, disponeva l’art. 4-bis ord. pen. quando fu introdotto, per la prima volta, con il decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203).

SPES, ULTIMA DEA

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