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A questo punto il tempo stringe. Il giorno del redde rationem si

O UN’ANACRONISTICA, CRUDELE ED ABNORME PUNIZIONE DI STATO?

5. A questo punto il tempo stringe. Il giorno del redde rationem si

approssima a grandi passi (22 ottobre 2019). Addetti ai lavori e diretti interessati attendono, con ansia, il solenne responso della Consulta sull’argomento dell’ergastolo ostativo, con la medesima trepidazione dei supplicanti apollinei presso il santuario dell’oracolo di Delfi. Quid juris? Quale sarà il verdetto della Corte Costituzionale? Probabilmente, la Consulta si pronuncerà con modalità caute ed intermedie investendo della delicatissima problematica il Legislatore, che, per la verità, è l’unico soggetto istituzionale titolato e legittimato a risolvere un intrico normativo di notevole spessore, involgente aspetti fortemente configgenti ed antitetici espressione di posizioni

antinomiche attestate sul versante della fondamentale tutela dei diritti umani, da una parte, e sull’imprescindibile attività di difesa sociale, dall’altra.

Entrando nel merito della schietta disquisizione giuridica, mediante un’oculata ed attenta esegesi dottrinale ed ermeneutica normativo-giurisprudenziale, si può sostenere che se è vero che l’articolo 3 della nostra Costituzione (uno degli articoli di cui si predica con veemenza la violazione) impone il rispetto dell’obbligo di trattare tutti gli individui in modo uguale ed uniforme (uguaglianza formale), al tempo stesso presenta anche il rovescio della medaglia, doveroso precipitato di tale assunto (dai giuristi unanimemente riconosciuto) con un’accezione egualmente indiscussa, in base alla quale altro aspetto dell’uguaglianza (egualmente da tutelare) è rappresentato dal trattamento di situazioni e soggetti diversi in modo differente (uguaglianza

sostanziale).

Entrambe le prospettive e le tecniche normative sono il precipitato dogmatico ed ontologico del principio di eguaglianza.

Alla luce di ciò, non si vede come il trattamento legislativo ed ordinamentale-penitenziario di maggior rigore e più intensa afflittività imposto e riservato a determinate categorie di criminali (ricadenti sotto le forche caudine dell’ergastolo ostativo), possa arrecare un qualsivoglia vulnus al menzionato principio di eguaglianza, minandone l’effettiva consistenza. Si tratta semplicemente di regolamentare situazioni processuali dissimili e di irrogare sanzioni diverse a soggetti che hanno necessità di essere destinatari di pene variamente calibrate, in ossequio all’indiscusso ed indiscutibile principio di uguaglianza sostanziale. Tutto ciò, in ragione della loro elevatissima pericolosità sociale. Ragion per cui, non si coglie effettivamente l’ubi consistam della violazione costituzionale del fondamentale articolo terzo della Costituzione.

In riferimento, invece, all’altra pretesa violazione della Grundnorm, potenzialmente concretantesi nell’asserito contrasto con l’art. 27 comma 3, il discorso diventa maggiormente complesso.

In effetti, se è innegabile che il disposto normativo in oggetto prevede l’obbligo della rieducazione come insito imprescindibilmente nella pena, al tempo stesso (come evidenziato da più parti in dottrina e da molte statuizioni anche da parte del Giudice delle leggi) non è affatto da considerare che tale finalità sia l’unica praticabile nonché percorribile dall’ordinamento e dalle sue Istituzioni.

Del resto, anche lessicalmente e semanticamente, l’analisi letterale del comma conduce ad una non assoluta unicità ed univocità della rieducazione del condannato. Infatti, il verbo usato tendere esprime plasticamente un anelito, uno sforzo, una tensione verso la rieducazione. È però innegabile, soprattutto in un’accezione realistica di politica criminale, che tale slancio non sempre è praticabile (oltre che non sempre – per usare un eufemismo - coronato da successo). Ed allora lo Stato e le sue Istituzioni non possono abdicare all’applicazione di una pena che possa dispiegare la sua utilità e,

Una necessità di politica criminale o una punizione di Stato? 135

conseguentemente, hanno il diritto-dovere di scomodare e “resuscitare” le “antiche” ma sempre valide finalità della pena di tipo general-preventivo o special-preventivo (come nel caso dell’ergastolo ostativo), senza oscurare del tutto i penetranti riflessi in chiaroscuro dell’antica finalità retributiva.

Fino a quando lo Stato, il legislatore, i giudici ottempereranno a precetti normativi ispirati a tali (scomode) finalità penalistiche, magari usate con modalità succedanee e sussidiarie, si ritiene che non si potrà mai invocare un’asserita illegittimità costituzionale. L’importante è che una sorta di primazia da parte dell’ordinamento penitenziario e quindi dal legislatore sia riservata alla finalità di recupero e di reinserimento sociale del condannato, posponendo le altre - pur valide - impostazioni teleologiche.

Fra l’altro, lo Stato ha il sacrosanto dovere istituzionale di prevedere ed attuare ogni misura – anche di tipo punitivo-penalistico (nell’alveo dei principi fondamentali dell’ordito istituzionale) - di difesa sociale per garantire (rectius tutelare) la sicurezza dei cittadini ed il normale svolgimento della vita collettiva degli stessi.

In definitiva, anche se incastonato in questa cornice normativa del disposto costituzionale dell’art. 27 comma 3 Cost., la pena dell’ergastolo ostativo non può dichiararsi distonica rispetto all’ordinamento nonché contrastante con quanto sancito dalla Grundnorm. Del resto, com’è universalmente acclarato negli studi criminologici da decenni, non tutti i detenuti (criminali) sono uguali. A maggior ragione, questi soggetti non lo sono nei confronti dell’irrogazione delle pene. Ergastolo compreso.

Non è assolutamente predicabile, realisticamente e concretamente, una presunta e pretesa validità ed efficacia omnicomprensiva e totalizzante della rieducazione della pena. Al riguardo, gli studi criminologici più attenti suddividono i detenuti in tre grandi categorie: i criminali di un solo crimine, nei confronti dei quali può addirittura paradossalmente non servire la tanto decantata rieducazione, dal momento che quasi sicuramente non ripeteranno, una volta scarcerati, il crimine commesso (ad es. un anziano uxoricida); i

criminali per così dire “ordinari”, verso cui l’anelito dell’impegno rieducativo

deve essere sostenuto con la massima enfasi al fine di un loro recupero; infine i

criminali “professionali”, soggetti criminali che hanno elevato il crimine ad

una scelta di vita,del tutto consapevoli dei pro e contro di tale strada intrapresa, i quali sono del tutto indifferenti, insensibili ed impermeabili alle sirene ed alle lusinghe del circuito trattamentale, con qualsiasi modalità poste in essere.

È lapalissiano che quest’ultima categoria annovera i criminali appartenenti alle organizzazioni mafiose, camorristiche e ndranghetistiche, nonché di altri consorzi criminali, nei cui confronti l’attività rieducativa e trattamentale penitenziario- pur sempre dovuta- è del tutto aleatoria ed improduttiva: praticamente inutile. Nei confronti di costoro, lo Stato ha il sacrosanto dovere istituzionale di tutelare la collettività, applicando delle leggi che rispondano a logiche special-preventive, isolandoli e neutralizzandoli per evitare che perseverino nel prosieguo della loro carriera criminale.

Il Giudice delle leggi non può e non deve dimenticare che sono proprio i criminali/detenuti sussunti in quest’ultima categoria i destinatari dell’ergastolo ostativo, ognuno dei quali si è reso responsabile di decine e decine di omicidi commessi su commissione con modalità terribili e raccapriccianti.

Naturalmente- al di là di metafisiche pretese di redenzione ultronee a questo contributo- non si può negare che anche costoro hanno diritto a percorrere l’ardua ma salvifica “strada di Damasco”. Possono farlo, soddisfacendo una già esistente e legittima condicio juris che è prevista nell’articolo 58 ter dell’ordinamento penitenziario.

Tutt’al più – in una prospettiva de iure condendo- può essere auspicabile una riforma da parte dell’Istituzione a ciò preposta (il Parlamento) che renda l’ergastolo ostativo maggiormente consentaneo ai dettami di Strasburgo. E sembra che i recentissimi sviluppi militino verso questa (legittima) opzione. Non dimenticando mai però che se è vero che ogni criminale ha il diritto ad una

chance, al tempo stesso non va assolutamente posto in essere il turpe fenomeno,

definito in criminologia della “scotomizzazione della vittima”, fenomeno perverso posto in essere sovente dalle Istituzioni, per il quale la vittima di un crimine lentamente, progressivamente ed irreversibilmente esce di scena dal palcoscenico della giustizia.

È doveroso ricordare che dietro ogni criminale aleggia sempre l’ombra della sua vittima, come nella straordinaria e famosissima opera shakespeariana del Macbeth e dell’ombra di Banco che perseguita il suo omicida.

IL DIALOGO TRA LE CORTI SULL’ERGASTOLO OSTATIVO:

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