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PRINCIPALI TIPOLOGIE DI INCUBATORI

1.3 L’ATTIVITA’ D’INCUBAZIONE IN ITALIA

L’incubatore, inteso nella sua definizione più ampia di “conglomerato virtuale”, è emerso più recentemente in Italia rispetto all’esperienza statunitense. Infatti, solo dalla fine degli anni ‘90 si è iniziato a parlare di incubazione come di quella attività non più destinata solo a offrire spazi e consulenza, ma anche know-how, risorse finanziarie, expertise, management e network relations.

In Italia i primi casi assimilabili all’incubazione di imprese si sono sviluppati negli anni

‘80 con la nascita dei Parchi Scientifici e Tecnologici (PST )e dei Business Innovation Centres (BIC), quindi i primi operatori attivi nel Nostro Paese sono stati no profit oriented. L’obiettivo comune peculiare di questa categoria è quello di sviluppare sul territorio un’azione di animazione tale da stimolare la nascita di nuove attività imprenditoriali. Occorre però sottolineare che mentre i BIC sono orientati a offrire servizi a start up sia dei settori tradizionali che di quelli più innovativi, i PST sono più attenti allo sviluppo di imprese tecnologicamente avanzate e legate al mondo della ricerca.

Dalla seconda metà degli anni ‘90 l’attività di incubazione in Italia18 ha avuto il suo momento di maggiore crescita; lo testimonia l’AIFI in una ricerca del 2001 affermando che il 64% degli incubatori esistenti aveva meno di 5 anni di vita. In questi anni sono nati in Italia diversi soggetti, sia privati che pubblici, sia profit oriented che no profit oriented. In particolare sono nati dei soggetti, già presenti in Europa da una decina di anni, ma che erano nuovi per l’esperienza italiana, cioè gli incubatori universitari.

Gli incubatori universitari sono anch’essi dei soggetti no-profit oriented e svolgono una attività di promozione imprenditoriale mirata a stimolare la nascita di nuove imprese sul territorio; si differenziano dai BIC e dai PST poiché le caratteristiche degli aspiranti

18 Fonte: CIAPPEI CRISTIANO, SCHILLACI STEFANIA, TANI SIMONE, Gli incubatori d’impresa:

esperienze internazionali a confronto di, FIRENZE UNIVERSITY PRESS 2006

imprenditori e il bacino di azione sono meno generalizzabili. Infatti, mentre per i BIC e i PST le tipologie di start up ospitate dipendono molto dal substrato culturale che caratterizza il territorio di operatività, per gli incubatori universitari le proposte imprenditoriali nascono, per la maggior parte dei casi, da studenti/laureandi o da ricercatori universitari.

Ciò che accomuna ogni incubatore è la volontà di promuovere il maggior numero di iniziative possibili. Tuttavia ciò non esclude una selezione delle proposte imprenditoriali.

Nella generalità dei casi il parametro a cui viene data primaria importanza è la validità dell’idea imprenditoriale proposta. Mentre emergono alcune differenze tra i BIC e i Parchi scientifici e tecnologici in merito al secondo criterio da utilizzare. Infatti, i BIC analizzano come secondo criterio la motivazione del proponente a portare a compimento il progetto, mentre i PST e gli incubatori universitari, sottolineano di più l’importanza dell’esistenza e della validità di un business plan più o meno formalizzato.

Inoltre, “il settore di applicazione dell’idea assume notevole importanza nel contesto di Parchi e Università, dato che si mira a privilegiare imprese operanti in settori in cui è possibile sfruttare le sinergie esistenti con la ricerca intrapresa dai laboratori. Per quanto riguarda i BIC, invece, la mancanza di attività di ricerca li conduce a non dover concentrare l’attività in settori predefiniti e ciò implica la scarsa importanza assunta dal settore applicativo dell’idea (A.P.S.T.I 2000)”19

Per quanto riguarda, invece, gli incubatori profit oriented essi costituiscono un fenomeno ancora più recente, il che complica l’individuazione e l’inquadramento generale sia da parte degli studiosi che da parte degli imprenditori o di altri soggetti interessati. Secondo una ricerca20 compiuta dall’AIFI tra il settembre-novembre 2000 è emerso che la quasi totalità degli incubatori contattati ha meno di un anno di vita. Gli unici ai quali è assegnabile un’esperienza pluriennale sono alcuni incubatori

“paneuropei” con attività già avviate nei paesi d’origine e che hanno aperto sedi anche in Italia.

19 Cfr. CIAPPEI CRISTIANO, SCHILLACI STEFANIA, TANI SIMONE, Gli incubatori d’impresa:

esperienze internazionali a confronto di, FIRENZE UNIVERSITY PRESS 2006, p. 21

20 Fonte: AIFI, QUADERNO N10 della Collana Capitale di rischio e impresa, Incubatori privati: realtà internazionale e modello italiano, MILANO GUERINI E ASSOCIATI 2001

Quest’ultima tipologia di incubatori si differenzia da quella no profit oriented, non solo per il fatto di essere orientata al profitto, ma anche perché essi sono costituiti da operatori privati che non sono prettamente focalizzati sulla realtà geografica locale.

Infatti, gli incubatori profit oriented sono strettamente collegati alla Borsa e al mercato del capitale di rischio, fino al punto da metterli in condizione di svolgere un ruolo che risulta strettamente connesso a quello del venture capitalist. Comunque, fondamentalmente, tutte le tipologie di incubatori hanno in comune il fatto di basare la propria attività sulle risorse intellettuali e tecnologiche del proprio management per interagire con gli imprenditori. Attraverso la creazione di un network interno, infatti, potranno creare un dialogo e una collaborazione produttiva tra le imprese incubate che renderanno le start up più forti e capaci di posizionarsi sul mercato. Infatti, il fine ultimo di ogni incubatore rimane quello di accelerare il time to market delle start up, rafforzandone sia il potere negoziale attraverso i fondi sia, soprattutto, le probabilità di sopravvivenza e successo.

Analizzando la ricerca dell’AIFI del 2001 si rileva che gli incubatori italiani non investono in modo omogeneo in tutti i settori e che, anzi, esistono notevoli disparità tra il settore che risulta preferito e i settori meno considerati. Infatti gli incubatori tendono a selezionare idee di imprenditori che puntano a sviluppare start up della new economy, poiché sono pochi gli imprenditori che investono e accolgono idee relative al mondo chimico-medicale o anche dei beni di consumo. I motivi sono diversi e, vista la nascita recente delle strutture di incubazione, anche complessi. Le strutture di incubazione non sono ancora del tutto conosciute al grande pubblico e questo può essere certamente un motivo della forte variabilità tra i settori di investimento, mentre un ulteriore motivo può essere legato alla “complessità” del prodotto o servizio. Infatti, sia nel caso in cui il prodotto necessiti di elevata ricerca, sia nel caso in cui questa non sia indispensabile, spesso l’incubatore può essere mal disposto a ospitare start up. Questo, però, dipende dalla tipologia e dall’età dell’incubatore, visto che, per esempio, gli incubatori universitari di qualche anno di età sono più disposti a supportare idee di impresa relative al settore delle biotecnologie o del settore chimico-medicale, mentre cercano di scartare le idee che non necessitano di un supporto tecnico-scientifico. Comunque molto dipende anche dalle reali possibilità di successo degli investimenti imprenditoriali, poiché è molto difficile riuscire a portare innovazione in settori che sono già presidiati

da grandi gruppi; questo spinge i potenziali imprenditori a investire dove il mercato è più “libero”, quindi nel settore della new economy. A ciò va aggiunto che molti incubatori sono nati in un periodo in cui Internet rappresentava ancora un appiglio sicuro per la realizzazione di investimenti che il mercato avrebbe potuto apprezzare. Nel corso dell’ultimo periodo, però, molta della fiducia riposta dai risparmiatori nel settore Internet (e quindi in tutti i settori ad esso legati – Telecom carrier, media, wireless, ecc..) è venuta a mancare. Per questo motivo risulta necessario che gli incubatori si strutturino in modo flessibile, in modo da poter rispondere con rapidità alla richiesta di adattamento ai cambiamenti del mercato.

Figura 3: Settori di intervento privilegiati

* I questionari oggetto della ricerca AIFI prevedevano una risposta multipla

“A livello finanziario, come detto, un incubatore può anche fornire il seed money, il capitale necessario per far nascere l’attività imprenditoriale, andando a sostituire, almeno nelle primissime fasi di vita dell’impresa, il ruolo tradizionalmente ricoperto dalle società di venture capital. D’altra parte lo scopo di un incubatore sta proprio nel fornire alla start up tutto quello che le serve per nascere e crescere, dalla consulenza di alto livello, alla fornitura di capitali, che nei Paesi finanziariamente più evoluti sono messi a disposizione proprio dalle società di venture capital. In Italia, ad oggi, sono pochissimi i casi di investimento realizzati da società di venture capital in operazioni di

seed capital, con ciò determinando una scarsa copertura di questo importante segmento di mercato.”21

In conclusione è possibile trovare degli elementi di sintesi che individuano quella che è l’attività di incubazione in Italia, almeno nei primi anni di studio di questo fenomeno.

Dal sito della Bic-Italia.net emerge che ci sono circa 60 soggetti che svolgono attività di incubazione in Italia e che hanno una superficie totale disponibile che si avvicina ai 200.000 metri quadri. Anche se, come detto, non tutti gli incubatori offrono al proprio interno delle postazioni per insediare le start up, emerge un valore medio elevato di postazioni per ogni incubatore che è pari a 30. Comunque, ad oggi, non tutte le postazioni offerte vengono occupate dalle start up che spesso prediligono fare autonomamente la ricerca degli spazi fisici dove insediare l’azienda. Anche nel caso in cui la richiesta da parte delle start up iniziasse ad aumentare, essa difficilmente diverrebbe critica, poiché dalla ricerca emerge che i tempi massimi di incubazione difficilmente superano i 4 anni. Infatti, gli incubatori operano con l’obiettivo di rendere autonome le imprese il prima possibile e mediamente esse sono in grado di “camminare con le proprie gambe” già a circa tre anni e 8 mesi dall’avvio del processo di incubazione.

L’organizzazione e la gestione dell’incubatore ruoterà intorno alla scelta strategica dei servizi che si vorranno offrire alle start up, ma è chiaro che la tendenza è quella di operare avendo un numero limitato di addetti. Infatti, la struttura ha bisogno di essere mantenuta molto snella e flessibile con un numero minimo di dipendenti (e quindi di servizi direttamente erogati), per non fare gravare i costi sulle start up, e di adeguarsi progressivamente al volume di attività di imprese che saranno presenti nell’incubatore.

21 Cfr. AIFI, QUADERNO N10 della Collana Capitale di rischio e impresa, Incubatori privati: realtà internazionale e modello italiano, MILANO GUERINI E ASSOCIATI 2001, p.49

Tabella 1: Un quadro di riferimento con alcune caratteristiche degli incubatori italiani22

CARATTERISTICHE BIC PST UNIVERSITA' TOTALE CAMPIONE

disponibile (m2) 130.000 19.000 2.500 151.500 175.421 4.605

N° complessivo di addetti per l'attività

d'incubazione 147 30 9 186 218 225

N° totale delle

postazioni disponibili* 630 319 46 995 1.152 525

N° di imprese

mediamente ospitate

in 1 anno 431 67 21 519 610 38

N° totale delle imprese incubate al 31

dicembre 2001 876 247 56 1.179 1.406 38

Superficie media disponibile per

incubatore (m2) 5.000 2.375 625 2.667 307

N° medio di addetti

*postazioni intese come gli spazi dati a disposizione delle start up

** media dei periodi massimi di permanenza

*** i seguenti dati si riferiscono al 2000

22 Fonte: Tale tabella è tratta dal sito www.bic-italia.net che riporta dati tratti da delle ricerche fatte dall’AIFI attraverso la consegna a un campione di incubatori di questionari a risposta multipla. I dati relativi agli incubatori no profit sono relativi a una ricerca conclusasi nel novembre 2001, mentre i dati riguardo gli incubatori profit oriented provengono da una ricerca datata 30 novembre 2001. Nel campione degli incubatori no profit sono stati considerati 44 incubatori di cui 4 incubatori universitari, 9 parchi scientifici e tecnologici e 31 Business innovation centre. Mentre per quanto riguarda gli incubatori profit oriented il campione di indagine è stato rappresentato dalle seguenti 15 società: Antfactory, Bain Lab, Biz 2000, Bizmatica, Cirlab, e@archimede, e-Do, e-Nutrix, IdeaUP, Internet Partnership Group, MyQube, Speed Egg, Speed Ventures, Tocamak, We cube.

Alcuni nomi di incubatori conosciuti nel mercato italiano sono sicuramente utili, a titolo di esempio, per chiarire le idee su ciò che risulta essere l’attività di incubazione a livello italiano.

Incubatori nati su iniziativa di enti pubblici e gestiti da questi ultimi sono ad esempio:

incubatore OMC (Officina Multimediale Concordia) nell'area dismessa di Sesto San Giovanni, Incubatore di INFM (Istituto Nazionale per la Fisica della Materia), incubatore del Polo Scientifico Tecnologico Lombardo, incubatore dell'Area Science Park di Trieste, incubatore del BIC Agenzia Lumetel di Brescia.

Anche a livello universitario, negli ultimi tempi, l'attività di incubazione ha subìto una forte accelerazione e molti Atenei stanno ora costituendo delle strutture proprie. I casi più noti sono quelli del Politecnico di Milano con l'incubatore "Acceleratore d'impresa"

e del Politecnico di Torino con "I3P". Esistono inoltre iniziative simili intraprese da altre università italiane, tra cui l'Università di Bologna, la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, l'Università Federico II di Napoli e l’Università di Padova.

Per quanto riguarda la categoria degli incubatori privati, l'ultima nata in termini temporali, essa ha subito fortemente l'andamento della New Economy e questo si è rispecchiato, in molti casi, sulla fortuna o meno delle iniziative di questo genere.

Si possono ricordare alcuni casi significativi come Bizmatica, nata su iniziativa del Venture Capitalist Pino Venture con il fondo Kiwi II, Biz2000, Speed@egg, IdeaUp, Tocamak, e-Nutrix, Macube, Wecube, ecc..

Infine tra gli incubatori privati è utile fare un accenno ai corporate incubator italiani, nati grazie a iniziative di aziende italiane come Seat, Italgas e Telecom Italia, che ha creato Telecom ItaliaLab, , oltre ad iniziative di carattere internazionale di Panasonic, Cisco e Sun, Dupont, Sony23

23 Fonte: SERAFINI GIUSEPPE, Gli incubatori universitari, IL POLITECNICO-RIVISTA 2006 www.ai.polimi.it

1.4 GLI INCUBATORI PROFIT ORIENTED IN ITALIA: I CORPORATE