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Auctoritates e Litterae Sacrae: i documenti probatori dei diritti della Chiesa di Aquileia (Mantova, 827)

5. Venetia et Histria.L‟agiografia come materiale sussidiario alla risoluzione della lite per il patriarcato tra Aquileia e Grado

5.5. Auctoritates e Litterae Sacrae: i documenti probatori dei diritti della Chiesa di Aquileia (Mantova, 827)

Il patriarca di Grado Fortunato era riuscito a conservare la giurisdizione sugli episcopati istriani grazie al suo orientamento apertamente filo-carolingio, ma alla sua morte Massenzio di Aquileia decise che era giunto il momento di risolvere lo scisma tra le due città, riportando il patriarcato aquileiese all'estensione che aveva avuto prima dello sdoppiamento della cattedra metropolitica. La tradizione orale della fondazione marciana del patriarcato, ormai fissata su pergamena da Paolo Diacono e dal patriarca Paolino, avrebbe conferito ad Aquileia gli elementi di autorità e primazia legati alla comunione con Roma ab antiquo, mentre la familiarità del patriarca con i sovrani carolingi avrebbe garantito l'appoggio regio alla petitio.

Il 6 giugno 827 si riuniva così a Mantova la sinodo che avrebbe dovuto ripristinare l'integrità dei diritti giurisdizionali di Aquileia. Alla presenza dei legati papali ed imperiali e della maggioranza dei vescovi del Regno Italico, tra i quali spiccano i metropoliti di Milano e Ravenna, furono presentati i documenti provanti le rivendicazioni della Chiesa aquileiese. Massenzio portava con sé un libellus precum, che riuniva quelle auctoritates veracissimae sulle quali riposava la petitio

aquileiese.479 Quali documenti fossero riuniti nel libellus è difficile dire: l‘ipotesi più accreditata sostiene che si sia trattato della Passio Ermachorae, della Historia Langobardorum di Paolo Diacono, della lettera del patriarca aquileiese Giovanni al re longobardo Agilulfo († 616) e del

decretum cleri et populi Polensis ad Sigualdum patriarcham480– tutti testi volti a dimostrare l‘illegittimità dell‘istituzione del patriarcato di Grado. Il discorso di Massenzio ai vescovi riuniti a Mantova si aprì incisivamente con una dichiarazione riguardante la fondazione apostolica e marciana: inviato da san Pietro, fu l'evangelista Marco, insieme ad Ermagora, a fondare la Chiesa aquileiese, prima tra tutte le città d'Italia. Da quel momento, asserisce Massenzio, Aquileia restò fedele alla Chiesa romana: continuò ad esercitare la cura pastorale e conservò la propria ortodossia nei confronti della sede petrina, della quale fu sempre discepola e vicaria481. Questa perfecta veritas era conservata nelle sacrae litterae custodite nella Chiesa aquileiese.

Massenzio non specifica cosa siano le sacrae litterae sulle quali fonda l'argomento principale delle sue rivendicazioni, ma quelle poche parole molto dicono allo storico che può confrontarle con le prime righe della Passio Hermachorae et Fortunati (BHL 3838), righe incluse nel nucleo marciano della Passio e dunque non presenti nella primitiva redazione del racconto agiografico.

La Passio era proprio ciò di cui aveva bisogno Massenzio per provare la fondazione apostolica della propria Chiesa e l'indissolubile legame con Roma: non è, così, inverosimile che le sacrae

litterae alle quali il patriarca faceva riferimento siano proprio gli atti del martirio del primo presule

di Aquileia. Persino il vocabolario usato da Massenzio ricorda quello della Passio: per Ermagora egli usa l'attributo di elegantissimus, così come l'agiografo definisce il martire elegantis persona482.

Altrettanto emblematicamente la Passio ricorda tra le prime azioni di Ermagora, ordinato proton

episcopus provinciae Italiae a Roma da san Pietro, l'invio a Trieste di un presbyter e un diacono483. In un momento in cui le chiese dell'Istria erano uno dei punti focali delle rivendicazioni giurisdizionali dei patriarchi aquileiesi, la citazione esplicita della città tergestina nel racconto del martirio di Ermagora non può che sottolineare ulteriormente la comunanza di interessi ed intenti tra l'azione giuridica di Massenzio, registrata negli atti del concilio, e la letteratura agiografica, che poteva costituire una valida prova scritta all'interno di una manovra eminentemente politica.

479 Concilium Mantuanum, MGH Concilia Aevi Karolini, II, p. 587. 480J.CH.PICARD, Le souvenir des évêques cit., p. 415, n. 59.

481 Concilium Mantuanum, MGH Concilia Aevi Karolini, II, p. 585: Nos, qui veritate perfecta invenimus a beato

evangelista Marco, qui spiritualis et ex sacro fontis utero ac carissimus sancti Petri apostoli fuit filius, necnon ab elegantissimo Hermachora Aquileiensem aecclesiam pre omnibus Italiae in Christi fide prius fundatam esse et pastoralem ibi semper curam servatam et sanctorum apostolorum sanctae Romanae aecclesiae doctrinis imbutam atque ipsam sempre eius fuisse discipulam et peculiarem ac vicariam in omnibus. Quemadmodum insertum in eiusdem Aquileiensis aeccleasiae comperimus sacris litteris.

482 Passio Hermachorae et Fortunati, ed. P.CHIESA, p. 175. 483 Ibidem, p. 175.

Altrettanto esemplare è l'insistenza sulla preminenza di Aquileia sulle altre città della provincia

Italia e il ruolo che essa avrebbe avuto nella diffusione della fede grazie ai mirabilia perpetrati da

Ermagora.484

Furono ricordate anche le vicende all'origine dello scisma tra Aquileia e Grado e venne abilmente sottolineato come i patriarchi aquileiesi non avessero mai avuto intenzione di trasferire la cattedra metropolitana nell'isola di Grado, sede temporanea del patriarcato occasionata dalla rabies

barbarorum. Si insiste ripetutamente sullo statuto di plebs della perparva insula di Grado e

sull'elezione del patriarca di Grado contraria ai canoni della Chiesa e ai decreti dei Santi Padri. Viene anche citata la lettera del patriarca Giovanni al sovrano longobardo Agilulfo, ricordando come la consacrazione di Candidiano, primo presule gradese, sia stata ottenuta con la forza da parte dei bizantini dell'Esarcato. Massenzio menzionò astutamente anche l'impossibilità della ―doppia fedeltà‖ che i vescovi dell'Istria erano costretti a promettere da una parte agli imperatori carolingi, essendo stata l'Istria annessa al ducato friulano nel 791, ma anche ai Greci per quanto riguardava la liturgia, dipendendo le diocesi istriane dal patriarcato bizantino di Grado.

Massenzio si appellava così a quei principi di politica, ecclesiastica e non solo, così cari ai sovrani carolingi: viene invocato il dovere di fedeltà agli imperatori e l'impossibilità di giurare fedeltà a due signori diversi – e a questo proposito è sufficiente ricordare le ripetute campagne di giuramenti obbligatori imposte dal sovrano franco a tutti i sudditi del suo regno485 – e si insiste sulla necessità di rispettare i sacri canoni e i decreti dei Padri della Chiesa, così come era già stato stabilito a Herstal nel 779486 e come fu ribadito in molti dei capitoli dell'Admonitio Generalis nel 789487.

Massenzio si presentò alla sinodo provvisto dei testi scritti comprovanti le sue rivendicazioni così come si appellò alla tradizione ecclesiastica: tradizione e memoria scritta, proprio i due capisaldi sui quali si poggiava l'impero carolingio. Naturalmente la memoria di Massenzio è lacunosa e non venne fatta menzione del lungo scisma tricapitolino con Roma, che avrebbe gettato giustificate ombre sull'immagine di armonia immemore con la sede petrina offerta da Massenzio.

Contumace il patriarca gradese Venerio – che forse ebbe un giustificato sentore del possibile esito negativo del concilio e rifiutò di essere giudicato in qualsiasi altra sede che non fosse la Chiesa

484 Passio Hermachorae et Fortunati, ed. P.CHIESA, p. 177: Concurrebant enim ad Sanctum Hermachoram episcopum

omnes Italiae provinciae populi videntes eius mirabilia, quia et per eum sancta multiplicabatur fides, paganorum autem insania confundebatur.

485 MGH Capitularia regum Francorum, I, cap. 18, p. 63.

486 Ibidem, I, cap. 1, p. 47: De metropolitanis, ut suffraganii episcopi eis secundum canones subiecti sint. 487 Ibidem, I, pp. 54-57.

romana488– fu il suo rappresentante, Tiberio, diacono ed oeconomus, a presentarsi al concilio solo dopo l'arringa di Massenzio, quando i presuli qui riuniti si erano già pronunciati unanimemente a favore della petitio del patriarca aquileiese. Tiberio, invitato a mostrare le auctoritates deponenti a favore della sede gradese, poté esibire in difesa della Chiesa di Grado solo exemplaria, per sua sfortuna e nullius manu roborata489. Ad ulteriore danno del patriarcato gradese, i testi presentati da Tiberio furono considerati piuttosto favorevoli e appartenenti ad Aquileia: questi documenti comprendevano gli atti della sinodo di Grado (579) e la suggestio episcoporum histriensium et

venetiarum ad papam Gregorium (II) missa dei quali vengono citate le prime linee490. Al diacono gradese vennero brevemente esposte le veritates presentate al concilio da Massenzio ed ancora una volta sono le stesse parole che troviamo nella Passio sancti Hermagorae.

Così negli atti del concilio:

Beatissimus igitur Marcus evangelista Aquileiae residens, vultum beati Petri apostoli videre

desiderans, Romam urbem regrediens et secum elegantem virum, Hermachoram nomine, ab

omni electum clero et populo deferens, et ab ipso beato Petro apostolo Aquileiae urbis ordinatus et constitutus est pontifex.491

Ed ecco le parole della Passio:

Cumque beatus Marcus prædicaret per annos aliquantos, emicuit in cor eius desiderium

vultum S. Petri videre, […]. Tunc Dei nutu audientes populi, concurrentes diluculo

vociferabantur clamore magno, dicentes: “Quid mali egimus? Quid peccavimus? Quia tu nos derelinquere vis, da nobis pastorem!” Tunc Beatus edidit populo ut eligerent sibi quem voluissent virum christianissimum; turba populi elegerunt sibi elegantem personam nomine Hermachoram. Tunc iter faciens cum beato Marco ad urbem Romam, a beato Petro accipiens baculum pontificatus et velamen sacramenti suscipiens, factus est proton episcopus provinciæ Italiæ.492

488 Venerio dichiarerà successivamente a papa Gregorio IV: nullatenus de his alicui responsum daremus, nisi coram

vicario beatissimi apostolorum principis Petri, in cuius sorte vobis a Christo Deo nostro ligandi solvendique potestas incumbit. [Documenti relativi alla storia di Venezia, I, p. 91; cfr. MGH Epistolae, V, p. 316)

489 MGH Concilia, II, p. 588, l. 7. 490 MGH Concilia, II, p. 588.

491 Concilium Mantuanum, MGH Concilia Aevi Karolini, II, p. 589. 492 Passio Hermachorae et Fortunati, ed. P.CHIESA, p. 175.

Tiberio confermò senza indugio la fondazione marciana di Aquileia493 – non era questa ad essere in discussione, al contrario essa rappresentava un comune motivo di prestigio –, ma gli atti si interrompono bruscamente proprio nel momento in cui l‘oeconomus di Venerio si accinge ad offrire la sua versione dei fatti riguardo allo sdoppiamento del patriarcato. È così espunta la parte di deposizione nella quale Tiberio avrebbe potuto far valere l‘allineamento filo-romano del patriarcato di Grado contro l‘eterodossia della posizione tricapitolina ostinatamente mantenuta da Aquileia. Difficile dire se questa eloquente coupure possa risalire alla redazione originale degli atti del concilio o se essa sia presente solo in copie successive come quella del XV secolo scelta da Albert Werminghoff per l‘edizione nei Monumenta Germaniae Historica. L‘atmosfera fortemente sfavorevole alla posizione gradese, condannata ancor prima della deposizione del suo rappresentante, emerge tuttavia con prepotenza.

Se Venerio evitò di presentarsi a Mantova, in precedenza era stato Massenzio ad ignorare l‘ingiunzione imperiale a recarsi a Roma per risolvere il contenzioso tra le due sedi patriarcali494. Fiducioso dell‘appoggio dei sovrani carolingi, il patriarca aquileiese nutriva un più che lecito dubbio sulla posizione della Chiesa romana. Ad essa si rivolse invece, una volta conosciuto l‘esito della sinodo mantovana, Venerio implorando l‘intervento di Gregorio IV (827-844) ut tutor et

defensor noster propter Deum495.