2. Milano: l‟affermazione di una capitale declassata
2.3. Sotto l‟egida di Ambrogio: l‟agiografia carolingia a Milano
L'inno composto da un altrimenti ignoto Massimiano, vissuto tra VI e VII secolo, ricorda tre volte la lotta di Ambrogio contro gli ariani.106 Lo studioso di storia della Chiesa milanese Enrico Cattaneo suggerisce di imputare tale insistenza alla volontà di dare fiducia a chi subiva in quegli anni la politica longobarda, più spesso favorevole all'arianesimo piuttosto che al cattolicesimo.107 È possibile, in effetti, che la vocazione anti-ariana di Ambrogio non lo indicasse come un naturale candidato alla simpatia dei nuovi dominatori. L‘annosa questione dell‘arianesimo dei Longobardi è stata, però, ridimensionata dall‘ultima storiografia che, attraverso un serrato confronto con le fonti, ha dimostrato come le testimonianze chiare di una confessione ariana siano in realtà rarissime e come si sia più spesso trattato di personali scelte di fede dei sovrani longobardi, alla corte dei quali cattolicesimo e arianesimo convivevano pacificamente.108 Pur rinunciando a ricorrere all‘argomento ariano per spiegare la mancata enfasi della figura di Ambrogio nei primi secoli medievali, non è possibile non notare come il Versum de Mediolano civitate, pur menzionando il santo, non gli accordi nessuna posizione di rilievo nel pantheon dei santi venerati nella città longobarda.
Lo storico dei Longobardi, Paolo Diacono, al momento di ricordare le sedi episcopali che potevano vantare una fondazione apostolica, fa esplicitamente riferimento ad Anatalone, il cui nome garantiva il legame tra la ecclesia Mediolanensis e il princeps apostolorum.109 Una tale notizia non può essere imputata ad un'invenzione personale dell'intellettuale longobardo, ma essa doveva necessariamente fondarsi su una tradizione esistente, della quale purtroppo non si sono conservate altre testimonianze. La pretesa all'apostolicità della Chiesa milanese ha dunque radici più antiche rispetto al primo testo che coerentemente ne sviluppa le conseguenze in un manifesto di legittimazione per l'ecclesia di Milano: tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo fu compilato il
Libellus de situ civitatis Mediolani che riconduceva la fondazione della Chiesa milanese all'attività
di Barnaba, personaggio che la tradizione locale identificò nel maestro di Anatalone. Sebbene Barnaba non facesse parte del gruppo dei discepoli riuniti da Cristo, egli era ormai annoverato nel
106 Per una completa presentazione dell'inno vd. O.HEIMING, Il lavoro di Maria Laach intorno al breviario ambrosiano, in Problemi di liturgia ambrosiana, Milano, 1949, pp. 56ss [Archivio Ambrosiano, 1]; M.HUGLO, Fonti e paleografia del canto ambrosiano, Milano, 1956, p. 85 [Archivio Ambrosiano, 7]. L'inno è edito in Analecta Hymnica Medii Aevi
52, n. IX: Christus qui nunquam deserit / quos suo redemit sanguine / direxit virum inclitum / ut Arium detrueret [...]
Arii perfidia / purgatur de ecclesia / cuncta concrepant agmina / nec desunt Christi munera [...] suscepit ecclesiam / gubernavit intrepidus / confessor esse meruit / dum Arrianis non cedit.
107 E.CATTANEO, La tradizione e il rito ambrosiani, in Ambrosius episcopus cit., pp. 7-8.
108 Per un‘analisi della cosiddetta ‗questione ariana‘ vd. S. GASPARRI, Culture barbariche, modelli ecclesiastici,
tradizione romana nell‟Italia longobarda e franca, «RM RIVISTA» VI/2 (2005), pp. 1-56, in particolare pp. 4-19
[consultabile online su www.retimedievali.it].
numero degli apostoli in ragione del legame che lo univa a san Paolo, dal quale aveva ricevuto il mandato della missione di evangelizzazione.110 La leggenda dell'apostolicità dell'ecclesia
mediolanensis venne dunque ripresa in un momento successivo al primo periodo carolingio che
pure era stato estremamente sensibile al tema delle radici apostoliche delle sedi episcopali dell'Impero. L'informazione relativa alla fondazione della Chiesa locale ad opera di Anatalone, offerta da Paolo Diacono, non ebbe seguito nel secolo successivo alla conquista, o quanto meno su di essa non si è conservata alcuna documentazione. È forte la tentazione di ricondurre tale tradizione apostolica al secolare scontro con Pavia: tra VIII e IX secolo la Chiesa ticinese aveva infatti scelto quale proprio santo di punta il proto-vescovo Siro riagganciando il suo nome a quello dell'apostolo Pietro tramite le maglie intermedie rappresentate da Ermagora e dall'evangelista Marco. Impossibile dire se l'analoga rivendicazione milanese di apostolicità consista in una risposta alla leggenda pavese – senza dimenticare che tale procedimento era stato adottato con successo anche dalla Chiesa aquileiese – o al contrario ne abbia provocato la formazione. È indubbio, in ogni caso, che tale notizia, potenzialmente assai remunerativa, fu decisamente posta in ombra dal grande investimento promosso dalle elites ecclesiastiche milanesi nei confronti della figura del vescovo Ambrogio.
La messa in sordina del culto ambrosiano, durante i secoli longobardi, forse non fu l'esito di un programma consapevole, ma più probabilmente il risultato della naturale adattamento delle elites ecclesiastiche ai nuovi tempi, ai nuovi sovrani e agli stimoli ricevuti dai programmi agiografici promossi nelle vicine sedi episcopali. Pur mantenendo nell'ombra la figura di Ambrogio, la Chiesa milanese conservava orgogliosa la tradizione liturgica che al santo doctor veniva fatta risalire e quando Carlo Magno si affacciò sul territorio italico fu subito evidente che non avrebbe potuto imporre all'ecclesia Mediolanensis il rito romano che, in un programma di uniformazione liturgica, veniva adottato da un numero sempre maggiore di Chiese. La lungimiranza del sovrano franco, consapevole dell'importanza strategica della città e della necessità di legare durevolmente a sé le terre conquistate, permise non solo a Milano di conservare la propria specificità, ma di innestare su di essa una politica di legittimazione e prestigio della quale Ambrogio divenne l'autorevole vessillo. Tale programma politico fu sorprendentemente fatto proprio dagli arcivescovi transalpini milanesi: Pietro e Angilberto II furono indubbiamente i più convinti sostenitori del culto del santo vescovo che nell'arco di un secolo si impose come il protettore e patrono non solo delle più importanti fondazioni religiose cittadine, ma dell'intera ecclesia milanese. Non sorprende dunque che la totalità
110 Sulle origini della leggenda di Barnaba vd. P.TOMEA, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel
medioevo. La leggenda di san Barnaba, Milano, 1993, pp. 14-18 [Bibliotheca erudita. Studi e documenti di storia e
della produzione agiografica, che può essere ricondotta con ragionevole certezza al primo secolo di dominazione carolingia, sia interamente dedicata alla memoria ambrosiana.
L‘analisi delle fonti agiografiche di Milano altomedievale è largamente debitrice dei puntuali lavori dedicati da Paolo Tomea alla città ambrosiana. Molti dei ragionamenti espressi nei seguenti paragrafi sono, dunque, il risultato dell‘attenta lettura dei suoi diversi contributi, le cui conclusioni rappresentano indubbiamente le più attente e verosimili ricostruzioni per l‘individuazione del momento e del contesto di compilazione delle diverse opere. Sebbene il caso milanese sia già stato diffusamente e approfonditamente studiato non è possibile prescindere dalla sua illustrazione nel panorama dell‘agiografia italica del primo periodo carolingio: Milano costituisce, infatti, il termine di paragone rispetto al quale è possibile valutare la letteratura agiografica prodotta negli altri centri episcopali del regnum. La strategia agiografica ambrosiana rappresentò l‘inevitabile, ma ineludibile, modello, in taluni casi evidente, in altri taciuto ma pur presente, al quale si ispirarono, e con il quale dovettero concorrere, gli anonimi agiografi attivi negli scriptoria episcopali del territorio italico. L‘intervento di chi scrive è, così, volto ad integrare alcuni dati al materiale analizzato dal Tomea e ad inserire la documentazione agiografica in una prospettiva spiccatamente storica volta ad evidenziare la peculiarità del caso milanese nel panorama carolingio del regnum Italiae.
2.3.1. Il De vita et meritis sancti Ambrosii (BHL 377d)
La scoperta in un antico codice sangallese di un'inedita versione della Vita Ambrosii è una scoperta piuttosto recente: Angelo Paredi ne pubblicò il testo per la prima volta nel 1964 associando immediatamente la produzione del testo al periodo carolingio di Milano.111 La scoperta attirò inevitabilmente l'attenzione della comunità scientifica: la compilazione di un testo alternativo all'autorevole agiografia composta da Paolino di Milano, segretario del grande doctor milanese, su istigazione dello stesso Agostino d'Ipponai era di per sé una scoperta eccezionale. Essa era resa ancor più straordinaria dalla consapevolezza che BHL 377d aveva avuto una fortuna estremamente limitata, come è evidente dalla sua conservazione in un unico testimone, al quale malgrado i decenni passati dalla pubblicazione del Paredi non sono stati aggiunti altri manoscritti.
La perizia paleografica di Bernhard Bischoff, chiamata in causa per i necessari accertamenti sulla datazione del manoscritto, confermava che la sezione del codice di San Gallo (Stiftsbibliothek
111 Vita e meriti di S. Ambrogio. Testo inedito del secolo nono illustrato con le miniature del salterio di Arnolfo, A. PAREDI (a cura di), Milano, 1964 [Fontes Ambrosiani in lucem editi cura et studio Bibliothecae Ambrosianae, 37]. Una nuova edizione del De Vita et Meritis, provvista di una puntuale identificazione delle fonti del compilatore presentate a fronte del testo di BHL 377d, è pubblicata da P. COURCELLE, Recherches sur saint Ambroise. “Vies” anciennes, culture, iconographie, Paris, 1973, pp. 49-121.
569, pp. 3-97) che riportava il De vita et meritis Ambrosii poteva essere ricondotta ad uno
scriptorium milanese del quarto ventennio del secolo IX. La datazione del testo al primo secolo
carolingio non ha sollevato alcun dubbio, tuttavia l'identificazione dell'arcivescovo, sotto il cui episcopato l'anonimo agiografo compilò il De vita et meritis, è controversa. I naturali candidati a tale attribuzione, se non altro per il lungo periodo durante il quale detennero la massima carica ecclesiastica cittadina, sono Angilberto II e Ansperto. Come prudentemente ricorda lo stesso Paolo Tomea esistono elementi per la rivendicazione del testo ad entrambi i periodi episcopali e, come è consueto in agiografia, non è possibile presentare una prova definitiva a sostegno dell'una o dell'altra ipotesi. Tuttavia un ragionevole margine di verosimiglianza permette di ricondurre la compilazione di BHL 377d agli anni del dinamico arcivescovo franco Angilberto II.
Il De vita et meritis sancti Ambrosii colpisce immediatamente il lettore per l‘estrema lunghezza del testo, di gran lunga superiore alle coeve produzioni agiografiche di area italica. Largamente debitore della Vita Ambrosii di Paolino e degli scritti dello stesso Ambrogio, il testo è ricco di prestiti letterari estratti dalle opere dei più prestigiosi scrittori della tarda antichità: la Historia
Tripartita di Cassiodoro offre la cornice storica nella quale situare le vicende narrate,112 mentre inediti episodi della vita del santo doctor milanese sono tratti da celebri agiografie altomedievali, quali il Liber de virtutibus sancti Martini di Gregorio di Tours e l'anonima Vita sancti Gaudentii
Novariensis (BHL 3278). Quest'ultima, compilata a Novara al principio dell'VIII secolo sotto
l'episcopato di Leone, al quale l'agiografo fa esplicito riferimento, fornisce un sicuro termine post
quem per la redazione di BHL 377d: si tratta, infatti, della fonte più recente utilizzata dal
compilatore milanese. Peraltro l'uso dell'espressione ―regnum italicum‖ all'interno dell'agiografia rimanda inequivocabilmente al periodo di dominazione carolingia, come testimoniano i numerosi diplomi redatti a partire degli anni di regno di Ludovico il Pio.113 La cultura dell‘agiografo non si limita agli scrittori e poeti tardo-antichi e altomedievali – Pierre Courcelle ha brillantemente individuato prestiti dai Carmina di Ennodio e Venanzio Fortunato – ma comprende sorprendentemente autori classici, e dunque pagani, tra i quali spiccano Plauto, Cicerone, Virgilio, e Petronio.114 I testi profani sono totalmente assimilati, come pressoché costantemente nelle opere di
112 La conoscenza del testo e il ricorso all‘Historia Tripartita di Epifanio-Cassiodoro da parte di lettori, scribi e artisti vissuti nel periodo carolingio è stata sottolineata nello studio dedicato da Rosamond McKitterick ai processi di ricezione, comprensione e rielaborazione delle narrazioni consacrate alla storia cristiana che divennero, nel IX secolo, nuovi simboli di autorità, conoscenza e identità, cfr. R.MCKITTERICK, History and Memory cit., in particolare sulla traduzione in latino delle opere dei tre ecclesiastici greci Socrate, Sozomeno e Teodoreto da parte di Epifanio- Cassiodoro vedi pp. 233-241.
113 De Vita et meritis sancti Ambrosii, ed. P.COURCELLE, p. 53.
114 Le opere classiche che sono riecheggiate nel De vita et meritis sono l'Eneide e le Georgiche di Virgilio, le Catilinarie di Cicerone, il Mercator di Plauto e il Satyricon di Petronio. L'individuazione di tali prestiti permette, inoltre, di apprezzare la poliedricità della formazione culturale dell'agiografo, le cui conoscenze valicano abbondantemente i
scrittori ecclesiastici, dalla cultura biblica del compilatore che si rivela anche attraverso i cinquantanove passaggi che costituiscono delle esplicite citazioni o reminiscenze bibliche. Come efficacemente indica Pierre Courcelle, ―notre Carolingien a surtout un tempérament d'historien‖:115 le opere di Ambrogio e le altre fonti sono trattate alla stregua di importanti mine di informazioni per illustrare la parabola del protagonista del De vita et meritis. Agostino aveva, infatti, affidato a diverse sue opere (le Confessiones, la lettera a Paolina e il De civitate Dei) il ricordo degli avvenimenti relativi al suo soggiorno milanese così come aveva annotato in esse le sue impressioni sulla personalità di Ambrogio. Rispetto alla tabella, peraltro assai completa, delle fonti individuate dallo studioso francese, Paolo Tomea segnala la coincidenza di testo tra BHL 377d e la Vita sancti
Satyri (BHL 7510) dedicata al fratello dell'eximius doctor milanese.116 Nel suo articolo dedicato ad una rilettura dell'agiografia ambrosiana altomedievale, il Tomea chiarisce inequivocabilmente la direzione del prestito tra i due testi agiografici: contrariamente alla datazione che era stata assegnata a BHL 7510, reputato un testo del X-XI secolo, sarebbe proprio la Vita sancti Satyri la fonte di due passaggi del De vita et meritis. Il racconto dedicato al fratello di Ambrogio – un laico, caratteristica assai sorprendente in un testo agiografico altomedievale – deve così essere retrodato al IX secolo convertendosi anch'esso in una produzione agiografica carolingia. Sulla Vita sancti Satyri si tornerà, dunque, nel seguente paragrafo ad essa dedicato.
La sintetica presentazione delle fonti di BHL 377d rivela l'importanza dell'impegno profuso nell'elaborazione di un testo alternativo alla Vita Ambrosii allestita dal segretario Paolino. Il De vita
et meritis, che appare in misura preponderante debitore delle opere i cui passaggi sono riproposti nel
testo, contiene un'unica informazione della quale i filologi non hanno potuto individuare la fonte. Si tratta dell'episodio relativo alla punizione alla quale fu sottoposto Stilicone per aver permesso la cattura di un certo Cresconius all'interno del sacro recinto delle mura della basilica ambrosiana.117 A causa dell'azione commessa, Stilicone avrebbe dovuto fare ammenda presso Ambrogio: provvide, così, alla donazione di una casa di suo possesso e di alcuni possedimenti (domum propriam
praediaque nonnulla) all'Ecclesia Ambrosiana (sic nel testo). Le preghiere spese all'indirizzo del
vescovo valgono inoltre al magister militum romano la guarigione dell'unica figlia. La tradizione della domus Stilichoni è attestata proprio nel IX secolo in un'altra fonte: si tratta dell'epitaffio dell'arcivescovo Ansperto nel quale il versificatore dichiara:
confini delle letture di base necessarie alla formazione di un chierico e indicano come egli avesse ricevuto una buona formazione retorica (cfr. P.COURCELLE, Recherches cit., pp. 143-148 nelle quali l'autore pubblica una tabella sintetica di tutti i prestiti identificati nel testo BHL 377d).
115 Ibidem, p. 149.
116 P.TOMEA, Ambrogio e i suoi fratelli. Note di agiografia milanese altomedievale, «Filologia mediolatina» 5 (1998), pp. 149-232, in particolare sulla Vita Satyri vedi pp. 191-195.
Moenia sollicitus commissae reddidit urbi diruta: restituit de Stilichone domum. Quot sacras aedes quanto sudore refecit!118
La coincidenza tra le due notizie ha fatto propendere il primo editore del De vita et meritis per una datazione del testo agli anni di episcopato di Ansperto.119 A conferma di tale datazione veniva chiamato in causa il programma iconografico dedicato ad Ambrogio ed inciso nelle 12 famose formelle dell'altare d'oro di Wolvinio. Nelle raffigurazioni scelte per illustrare la vita del celebre vescovo di Milano non compaiono, infatti, due episodi presenti in BHL 377d: si tratta della conversione di sant'Agostino e dell'incontro tra Ambrogio e l'episcopus Novariensis Gaudenzio. La certa attribuzione della confezione della mirabile opera di oreficeria all'episcopato di Angilberto II che, come ricordato, aveva provveduto alla risistemazione della sepoltura di Ambrogio nella basilica a lui intitolata, rendeva obbligatoria la conclusione che il racconto agiografico fosse stato redatto successivamente alla lavorazione dell'altare d'oro. Una relazione di tipo inverso sarebbe, infatti, poco probabile in ragione della mancata inserzione di tali episodi nel programma iconografico di Wolvinio. Malgrado le caute riserve espresse da Lellia Cracco Ruggini e dallo stesso Pierre Courcelle a proposito della posteriorità del De vita et meritis rispetto all'altare d'oro,120 l'attribuzione dell'agiografia agli anni di episcopato di Ansperto si è imposta nella comunità scientifica fino al riesame del dossier agiografico altomedievale relativo ad ―Ambrogio e i suoi fratelli‖ condotto da Paolo Tomea. Riprendendo le argomentazioni della Cracco Ruggini, lo studioso sottolinea come la Vita carolingia, che riunisce gli episodi descritti nella Vita Ambrosii di Paolino e due scene tratte dall'opera di Gregorio di Tours, avrebbe potuto servire come fonte per Wolvinio o per l'intellettuale che elaborò il programma iconografico da illustrare nelle 12 formelle. L'assenza dei due episodi relativi alla conversione di Agostino e all'incontro con Gaudenzio potrebbero coerentemente spiegarsi come il risultato di una scelta consapevole delle vicende da raffigurare piuttosto che come una prova incontrovertibile della posteriorità di BHL 377d rispetto all'altare d'oro. Però, come Paolo Tomea indica in maniera incisiva, il De Vita et Meritis non rappresenta in ogni caso la fonte del ciclo artistico inciso sulle 12 formelle di Wolvinio. La dimostrazione evidente è costituita dal testo delle didascalie che accompagnano ogni episodio
118 Epitaphium Ansperti archiepiscopi, MGH Poetae Latini Aevi Carolini, IV/2-3, p. 1009, vv. 5-7.
119 La datazione proposta dal Paredi si fonda principalmente sulla coincidenza tra la notizia inserita nel testo riguardo alla domus Stiliconi e l‘epitaffio di Ansperto, cfr. Vita e meriti di Sant'Ambrogio testo inedito del IX secolo cit., pp. 8- 11.
120 Cfr. L.CRACCO RUGGINI, Recensione a A. Paredi, Vita e meriti di Sant'Ambrogio, «Athenaeum» n.s. XLIII (1965), pp. 236-241; P.COURCELLE, Recherches sur Saint Ambroise cit., pp. 171-172.
illustrato: tali legende esplicative rivelano, infatti, un debito letterale nei confronti della Vita
Ambrosii di Paolino. D'altronde il testo compilato dal segretario di Ambrogio godeva di maggiore
fama rispetto al De Vita et meritis di recente confezione e il ricorso ad esso, anche a scapito di un'agiografia appena redatta, non ha in sé nulla di sorprendente. Al contrario, come suggerisce il Tomea, il parallelismo innegabile tra l'esecuzione del programma iconografico e la scrittura di BHL 377d ―non deve risolversi come mera registrazione di consonanze successive, ma costituisce l'indice di una prossimità cronologica‖.121
Altri indizi sembrano piuttosto suggerire che la compilazione del testo debba essere ricondotta al periodo di episcopato di Angilberto II (824-859). Innanzitutto la stessa datazione dell'unico testimone manoscritto alla fine del IX secolo induce ad ipotizzare un minimo scarto cronologico tra il momento della redazione del testo e la sua diffusione al di là delle mura della città di Milano: la presenza di un certo numero di errori nel De vita et meritis tradito dal codice sangallese 569 sarebbe infatti il risultato della distanza, attraverso l'esecuzione di varie operazioni di trascrizione, del testimone unico rispetto all'ipotetica versione dell'originale.122 Non occorre sottolineare nuovamente l'interesse dell'arcivescovo milanese per la promozione del culto dei santi, e in particolare di sant'Ambrogio. E' inoltre assai verosimile che la formula ―Ambrosiana ecclesia‖, come si è visto usata da papa Giovanni VIII al momento di indicare la delegazione milanese che si era presentata al suo cospetto, abbia il suo illustre predecessore, e forse la prima attestazione, nel De vita et meritis
sancti Ambrosii. Fin dagli anni di episcopato di Pietro, la Chiesa milanese aveva proceduto
all'esaltazione della figura d'Ambrogio in un processo di progressivo riconoscimento del santo quale principale vessillo identitario del centro arcivescovile e le attestazioni relative all'epoca di Ansperto sembrano testimoniare i risultati di tale secolare operazione: il testo di BHL 377d appare, dunque, essere un gradino intermedio di tale progressione piuttosto che un risultato finale.