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3. Sulle orme del modello milanese: il caso di Brescia carolingia

3.2. La riscoperta delle glorie cittadine: i santi martiri di Brescia

La leggenda dei santi Faustino e Giovita affonda in un passato dai contorni offuscati:182 il Martirologio geronimiano ricorda al 16 di febbraio il dies natalis di Faustinianus e Iuventia che sono, però, collocati in Britannia.183 Tutti gli storici sono ormai concordi sulla necessità di emendare la coordinata topografica fornita dal martyrologium con il nome latino di Brescia, Brixia: la complessa tradizione manoscritta del calendario geronimiano rende, infatti, assai verosimile un fraintendimento del copista nella trascrizione del luogo del martirio della coppia di santi. Altrettanto controversa è la forma originaria del nome di Giovita al quale il martirologio attribuisce un‘identità femminile: anche in questo caso è possibile che si sia trattato dell‘errore di un copista oppure che

Iuventia sia effettivamente stata la genuina onomastica del secondo martire bresciano

successivamente modificata.

Le radici bresciane del culto affondano nel periodo tardoantico: Gregorio Magno ricorda, infatti, nei suoi Dialogi una fondazione dedicata a san Faustino nella quale il nobile peccatore Valeriano aveva voluto essere sepolto contro la volontà del martire che, dopo aver esortato più volte il vescovo bresciano ad allontanare dalla chiesa le foetentes carnes di Valeriano, punì il presule disobbediente con la morte.184 L‘attestazione letteraria del culto dedicato a Faustino appare, peraltro, confermata dai dati archeologici: a sud della città, al di là della porta cremonensis dove la leggenda narra essere avvenuto il martirio, sotto la chiesa di Sant‘Afra è stato ritrovato un edificio cultuale di età paleocristiana (IV-V secolo) che deve essere identificato con l‘antica San Faustino ad

sanguinem costruita nel luogo in cui la coppia di santi subì la decollatio.185

Il culto dedicato a Brescia ai santi Faustino e Giovita ha dunque radici che affondano nei primi secoli del cristianesimo, tuttavia, a queste prime attestazioni fa seguito un largo vuoto documentario che si prolunga fino alla prima età carolingia, quando i due martiri sono citati tra i corpi santi che proteggono la città di Verona nei Versus qui composti a cavallo tra VIII e IX secolo. La fama di

181 J.D.MANSI, Sacrorum conciliorum, XVII, pp. 431-432.

182 Sulla leggenda dei santi Faustino e Giovita e la prima redazione della Passio (BHL 2836) si segnala il contributo fondamentale di P.TOMEA, «Agni sicut nive candidi». Per un riesame della Passio Faustini et Iovite BHL 2836, in San

Faustino Maggiore di Brescia cit., pp. 17-48.

183 MH, ed. H.QUENTIN, p. 99: In Brittania natale sanctorum Faustiniani et Iuventiae. 184 GREGORIUS IPAPA, Dialogi, ed. A. DE VOGÜÉ, IV, 54, pp. 178-180.

Faustino e Giovita oltrepassava, ormai, le mura della città di Brescia e trovava posto a Verona insieme ad altri più celebrati martiri dell‘antichità.186 Come si è ricordato nel precedente paragrafo le reliquie dei santi bresciani giungevano nell‘VIII secolo anche a Montecassino dove lo stesso Petronace avrebbe loro intitolato un altare, come ricorda il Chronicon monasterii Casinensis redatto nell‘XI secolo.187 L‘esportazione nel cenobio benedettino del culto di Faustino e Giovita trova conferma anche nell‘addizione apportata dal monaco cassinese Erchemperto al martirologio di York dove è possibile leggere, nel mese di febbraio : «Ter quinis Faustini Iovitteque kalendis».188

Il culto dedicato ai due martiri fu oggetto di un deciso rilancio da parte dei vertici ecclesiastici cittadini durante il primo periodo carolingio: Anfridio, vescovo a Brescia al principio del IX secolo, decideva di riportare le spoglie dei martiri all‘interno delle mura della città tumulandole in una nuova fondazione che da loro prenderà il nome di San Faustino Maggiore. Alla chiesa solo qualche decennio dopo veniva affiancato da Ramperto un monastero destinato a bilanciare la presenza in città del cenobio imperiale di San Salvatore. A San Faustino Maggiore le reliquie della coppia martiriale bresciana venivano ‗elevate‘ da Ramperto e deposte in una nuova urna sancendo liturgicamente il prestigio di cui i due martiri godevano. L‘importanza accordata al culto della coppia martiriale bresciana è confermata, come si è visto, dalla presenza delle sepolture episcopali nell‘area contigua all‘altare di San Faustino Maggiore contenente le reliquie dei due martiri.

Analogamente a quanto accadeva in altre città episcopali del regnum, i vertici ecclesiastici locali sceglievano di rilanciare il culto dei propri martiri e di affidare al loro nome il prestigio della Chiesa cittadina. Nei territori transalpini, l‘eco letteraria della fama dei due santi bresciani fu,però, piuttosto tardiva e i martirologi storici non diedero spazio ai nomi dei due martiri, ad esclusione di Usuardo che però confuse Giovita con una vergine martire alla quale diede il nome di Iobita.189

3.2.1. La retrodatazione della Legenda Maior: BHL 2836

La leggenda della coppia martiriale bresciana si è conservata in tre versioni letterarie diverse sulle quali gli specialisti si sono a lungo interrogati per stabilire l‘ordine cronologico in cui furono compilate. La recensio della Passio Faustini et Iovitae indicizzata nella Bibliotheca Hagiographica

Latina con il numero 2836 è un testo assai esteso che riunisce in un unico racconto le vicende di un

gruppo di martiri assai nutrito: nel racconto agiografico sono raccontate, seppur con un ruolo

186 Versus de Verona, ed.G.B.PIGHI, p. 154, v. 65.

187 Chronica monasterii Casinensis, ed. H.HOFFMANN, MGH SS XXXIV, p. 24.

188 ERCHEMPERTUS, Martyrologium, ed. U.WESTERBERGH, Beneventan Ninth Century Poetry, Stoccolma, 1957, pp. 74- 90, per la notitia sui due martiri bresciani p. 78 [Studia Latina Stockholmiensia, 4].

subalterno rispetto alle vicende dei martiri bresciani, le storie dei santi Afra, Calocero, Apollonio, Calimero, Marziano, Secondo, Donato, Felice e Bonifacio.

Fedele Savio pubblicò per la prima volta nel 1896 il testo completo di BHL 2836 che corrispondeva all‘edizione di una trascrizione anonima di una copia dell‘inizio del XVIII secolo eseguita da Teodosio Borgondio, abate dei canonici regolari di Sant‘Afra, che a sua volta l‘avrebbe trascritta da un passionario del XIII secolo.190 Di questa prima versione non esistono copie medievali, tuttavia nel suo recente contributo Paolo Tomea ha segnalato la presenza del testo, del quale furono trascritte solamente alcune sezioni, nel codice di San Gallo 577 databile alla fine del IX o inizio X secolo.191 La recensio BHL 2836 è ormai unanimemente riconosciuta come la prima versione della Passio, dalla quale furono successivamente esemplate due redazioni abbreviate, BHL 2837 e BHL 2838. Allo stesso modo è ormai stata convincentemente dimostrata la paternità bresciana del testo, che il Savio riteneva invece redatto in area milanese e lo studioso bresciano Paolo Guerrini nella Montecassino di Petronace.192 Il gesuita piemontese si era, inoltre, pronunciato con decisione per una datazione del testo agli ultimi decenni dell‘VIII o al principio del IX secolo, in ogni caso rimandando ad un periodo antecedente all‘episcopato di Ramperto.193 La collocazione cronologica dell‘opera suggerita da Fedele Savio, ipotesi che ha riscosso il maggior numero di consensi tra gli studiosi, si fonda sulla credibilità accordata alla notizia secondo la quale il corpo di Calocero sarebbe giunto nel Nord Italia in seguito alla razzia di corpi santi operata da Astolfo in occasione delle sue diverse campagne militari dirette contro Ravenna e Roma nel 749-51, nel 751 e agli inizi del 756.194 I saccheggi perpetrati nelle catacombe romane dai Longobardi sono denunciati dai detentori della cattedra petrina: Paolo I (757-767) li lamentò in una lettera all‘abate Leonzio, mentre Stefano II (752-757) ne fece il proprio principale argomento per sollecitare l‘intervento dei sovrani franchi Pipino, Carlo e Carlomanno in una lettera che sarebbe stata redatta nello stesso 756.195 Fedele Savio propende, dunque, per l‘identificazione del Calocero che in BHL 2836 subisce

190 F.SAVIO, La légende des saints Faustin et Jovite, AB 15 (1896), pp. 5-72, 113-159, edizione del testo pp. 65-72, 113-159.

191 P.TOMEA, «Agni sicut nive candidi» cit., p. 24-25.

192 P.GUERRINI, Storia-Leggenda-Arte, in I santi martiri Faustino e Giovita nella storia, nella leggenda e nell‟arte, «Brixia Sacra» 14 (1923), pp. 53-54.

193 F. SAVIO, La légende des saints Faustin et Jovite cit., pp. 19-36. Sulla questione è tornato Paolo Tomea che ripercorre i giudizi della storiografia nella sua monografia sulla tradizione apostolica milanese, vd. P. TOMEA,

Tradizione apostolica cit., p. 540.

194 Sul ‗grande saccheggio‘ di Astolfo vd. P.TOMEA, Intorno a S. Giulia cit., pp. 41-46.

195 Per la lettera di Paolo I che denunciava nel 761 il saccheggio operato da Astolfo nelle catacombe extra-muranee, vd. S. PAULUS PAPA I, Epistolae, XII, PL LXXXIX, coll. 1190-1191: Igitur cum per evoluta annorum spatia, diversa

sanctorum Christi martyrum atque confessorum eius foras muros huius Romanae urbis sita antiquitus coemeteria neglecta satis manerent diruta, contigit postmodum ab impia Longobardorum gentium impugnatione funditus esse demolita. Qui etiam et aliquanta ipsorum effodientes martyrum sepulcra, et impie devastantes, quorundam sanctorum depraedati, auferentes secum deportaverunt corpora. Et ex eo tempore omnino desidiose atque negligenter eis debitus

il martirio ad Albenga – dove il corpo, inviato dal sovrano longobardo o dal suo successore Desiderio, sarebbe stato conservato in un monastero fondato forse dagli stessi longobardi – con un Calocero romano o, in seconda battuta, un omonimo ravennate.196 Non esistono, però, prove certe che possano avvalorare l‘ipotesi avanzata dal Savio: non è possibile stabilire se il corpo di Calocero abbia fatto effettivamente parte del bottino reliquiale trasportato da Astolfo a Pavia, così come mancano conferme sull‘inaugurazione di un culto dedicato al martire solo come conseguenza di un‘eventuale traslazione di età longobarda.197 I resti archeologici sono stati a lungo chiamati in causa dagli studiosi che ipotizzano un‘origine locale del culto legato al nome di Calocero. Sebbene, la celebre epigrafe dell‘abate Marinace, sopravvissuta in pessimo stato e probabilmente da ricondurre alla basilica intitolata al santo, faccia riferimento alla tomba di un martire, essa non esplicita il suo nome, rendendo vano ogni tentativo di leggere in essa la prova dell‘antichità del culto locale di Calocero.198 Più recenti perizie paleografiche hanno, inoltre, avanzato l‘ipotesi convincente che l‘iscrizione vada ricondotta alla metà dell‘VIII secolo incrinando, così, definitivamente il valore attribuito all‘epigrafe. In mancanza di prove definitive appare, dunque, più prudente, come suggerisce il Tomea, ricondurre il termine a quo alla metà del VI secolo, momento in cui si costituì la provincia delle Alpes Cotiae, comprendente Asti, Tortona ed Albenga, dove si muovono nel testo di BHL 2836 i santi Calocero, Secondo e Marziano.

Il termine ante quem, unanimemente accettato per la redazione della Passio primitiva, rimanda al momento della traslazione del corpo di Calocero da Albenga al monastero di San Pietro di Civate ad opera dell‘arcivescovo milanese Angilberto II: nel cenobio risiedevano nell‘845 i due monaci franchi Leodegario e Ildemaro, il primo incaricato della guida del monastero e il secondo come semplice presbyter. Non è inverosimile che le reliquie siano giunte a Civate insieme ai due uomini

venerationis exhibebatur honor. Lo stesso resoconto è fatto nel Liber Pontificalis all‘interno della vita dedicata a

Stefano II: multa corpora sanctorum, effodiens eorum sacra cymiteria, ad magnum anime sue detrimentum abstulit (Le

Liber Pontificalis, ed. L.DUCHESNE, I, p. 451. Cfr. J. T.HALLENBECK, Rome under attack. An estimation of King

Aistulf‟s motives for the Lombard siege of 756, «Medieval Studies» 40 (1978), pp. 190-220; P.TOMEA, Intorno a S. Giulia cit., pp. 44-45.

196 F.SAVIO, La légende des saints Faustin et Jovite cit., p. 30-33; sull‘identificazione tra il Calocero di Albenga e l‘omonimo romano cfr. H. DELEHAYE, Martyrologium Romanum ad formam editionis typicae scholiis historicis

instructum, Bruxelles, 1940, p. 144 (= Propyleum ad Acta Sanctorum Decembris). Un indizio forte dell‘identità romana

di Calocero d‘Albenga viene letto anche nella ripetuta attestazione di un martire Calocero, sepolto presso la Via Appia, nel De locis sanctis martyrum composto nella seconda metà del VII secolo (F.GLORIE, Itineraria et alia geographica, Tournhout, 1965, pp. 323-328 [CCSL, CLXXV]).

197 Cfr. P.TOMEA, Intorno a S. Giulia cit., n. 126, n. 127.

198 Per il testo dell‘epigrafe vd. A. DUFOURCQ, Études sur les Gesta martyrum romains, III, Parigi, 1907, p. 193 [Bibliothèque des Écoles françaises d‘Athènes et de Rome, 83]; sulla campagna archeologica vd. PH.PERGOLA, La chiesa e il monastero di San Calocero fuori le mura ad Albenga: relazione preliminare sulle campagne 1985-1986, in Archeologia in Liguria, III, 2, pp. 445-456; sull‘epigrafe vd. N.LAMBOGLIA, La lettura dell‟iscrizione albenganese dell‟abate Marinaces (VIII sec. d. C.), «Rivista ingauna e intemelia» 11 (1956), pp. 81-88; D. DE FRANCESCO, Epigrafia e culto del martire: l‟ „abbas Marinaces‟ e l‟ „inventio‟ delle reliquie di san Calocero di Albenga nell‟alto medioevo, «Rivista di archeologia cristiana» 64 (1988), pp. 109-134.

transalpini provenienti da Brescia, dove avevano provveduto all‘organizzazione della vita monastica nel neonato San Faustino Maggiore.199 La versione originaria della Passio ricorda, infatti, il martirio di san Calocero avvenuto presso Albenga.200 Anche nella sua adbreviatio indicizzata con il numero BHL 2838 il santo subisce la decollatio fuori le mura di Albenga ed il corpo del martire è qui apertamente ricordato ibique requiescens.201 Il riferimento di Ramperto alla coppia di martiri bresciani nel suo Sermo dedicato alla traslazione di san Filastrio non permette di stabilire se il vescovo rimandi al testo agiografico dedicato ai due santi o, più in generale, alla memoria del loro martirio. Tuttavia è assai verosimile che nell‘838, anno del trasferimento delle reliquie di Filastrio, la redazione primitiva della leggenda di Faustino e Giovita fosse già stata compilata ed è altrettanto probabile che Ramperto l‘abbia conosciuta.

Se sul termine basso, alla metà del IX secolo, come limite ad quem per la datazione di BHL 2836 la storiografia è concorde, l‘attribuzione del testo agli ultimi decenni di vita del regno longobardo (VIII3/4 secolo) o alla prima età carolingia è stata recentemente rimessa in discussione da Paolo Tomea che con una nuova e puntuale analisi del testo suggerisce di ricondurre la compilazione della forma primitiva della Passio ad un momento precedente.

La lunghezza e la complessità della trama della leggenda narrata da BHL 2836 permette, infatti, di annoverare il racconto agiografico tra le cosiddette ‗Passioni epiche‘ tipiche dei primi secoli del cristianesimo: la mobilità della scena e l‘intreccio tra le avventure dei due personaggi principali e le vicende di santi secondari accomunano il racconto agiografico bresciano a tale tipologia che si diffuse a Roma a partire dall‘inizio del VI secolo.202 La stessa morfologia del testo consiglia, così, di volgersi per la compilazione del testo ad un periodo pre-carolingio. La compilazione di una ‗Passione epica‘ si colloca, infatti, più agevolmente in un arco temporale precedente l‘affermazione nella liturgia dei passionari e leggendari quali raccolte di testi dedicati ai santi: questo processo avviato a partire della fine dell‘VIII secolo ebbe tra le ovvie conseguenze quella di incoraggiare la redazione di testi di contenuta lunghezza adatti alla lettura pubblica in occasione della messa, o

199 Paolo Tomea avanza l‘ipotesi che le reliquie di san Calocero siano state donate al monastero di San Faustino Maggiore dallo stesso Angilberto II per poi essere affidate da Ramperto a Leudegario ed Ildemaro quando questi lasciarono Brescia perché destinati dall‘arcivescovo milanese a San Pietro di Civate: tali pegni di fraternità e di continuità spirituale erano, infatti, un costume diffuso per l‘epoca, cfr. P.TOMEA, «Nunc in monasterio» cit., pp. 170- 171.

200 Passio sanctorum Faustini et Iovitae (BHL 2836), ed. F.SAVIO, p. 140: Videns Sapricius, furore correptus, dedit et

Calocero sententiam ita ut Albenganum ductus finem mortis acciperet.

201 Passio sanctorum Faustini et Iovitae (BHL 2838), AASS Febr., II, p. 815: Ibique sanctus requiescens Calocerus

praestat orationibus suis beneficia cunctis fidelibus suis.

202 Per queste problematiche il riferimento fondamentale resta H.DELEHAYE, Les passions des martyrs et les genres

littéraires, Bruxelles, 1966, in particolare vd. pp. 171-226 [Subsidia hagiographica, 13B]. Per una presentazione

sintetica dei cosiddetti cicli leggendari vd. R.AIGRAIN, L‟hagiographie. Ses sources, ses méthodes, son histoire. Avec un complément bibliographique par R. Godding, Bruxelles, 2000, pp. 140-155 [Subsidia hagiographica, 80].

comunitaria nei contesti monastici e canonicali, nel giorno di commemorazione del santo in questione. L‘attribuzione univoca di un testo ad un preciso giorno di celebrazione – costume che si andò diffondendo di pari passo con l‘affermazione dei passionari per circulum anni in un periodo anch‘esso posteriore all‘insediamento dei Carolingi al potere – contribuì alla frammentazione delle leggende epiche in epitomi ognuna dedicata ad un singolo santo o ad un gruppo coeso di viri Dei legati da una comune data commemorativa. La composizione di un testo complesso come la Passio

sanctorum Faustini e Iovitae (BHL 2836) sembrerebbe così additare ad un momento precedente

l‘importante riforma liturgica promossa dai sovrani carolingi che avrebbe indotto le Chiese dell‘Impero a riorganizzare il materiale agiografico preesistente in raccolte di testi omogenei secondo i criteri sopra menzionati.

L‘arcaicità della morfologia di BHL 2836 si riscontra anche nella violenza con la quale la virtus divina si abbatte su alcuni persecutori contro i quali si accaniscono gli animali o i materiali che avrebbero dovuto annientare i due santi. Lo stesso fratello dell‘imperatore Adriano è ridotto in cenere dal piombo che avrebbe dovuto uccidere Faustino e Giovita, mentre il sacerdote Orfeto e, successivamente, il funzionario imperiale Tiberio sono uccisi nell‘arena dalle fiere schieratesi in difesa dei martiri bresciani.

Nel suo riesame di BHL 2836, Paolo Tomea ha, poi, evidenziato l‘arcaicità di alcuni tratti specifici, come il ricorso ad animali parlanti, individuando l‘analogia esistente tra l‘episodio dell‘onagro che arringa la folla spingendola alla conversione e un brano degli Atti di Tommaso, composti ad Edessa nella prima metà del III secolo.203 Tale parallelismo permetterebbe, inoltre, di ipotizzare la conoscenza del greco da parte del compilatore di BHL 2836 o, quanto meno, la sua familiarità con la letteratura apocrifa di età tardoantica. Una precisa censura fu messa in atto successivamente rispetto a questa tipologia miracolistica come emerge inequivocabilmente negli scritti latini su Tommaso: il De miraculis beati Thomae apostoli (BHL 8140, VI s.), che ripercorre il racconto che coinvolge l‘onagro parlante, conserva tutti gli elementi dell‘episodio eliminando tuttavia ogni riferimento all‘animale. A Brescia nel IV secolo lo stesso Filastrio nel suo Diversarum

hereseon liber esprimeva diffidenza per il ricorso a tale tipo di prodigio particolarmente frequente

in ambito ereticale.204 La presenza ripetuta di animali parlanti ricondurrebbe, dunque, il contesto di composizione della prima recensione della Passio Faustini et Iovitae ad un periodo anteriore al IX secolo. L‘agiografia italica di epoca carolingia aveva, infatti, abbandonato ogni ricorso all‘exploit violento della virtus del santo così come ad episodi che prevedevano l‘intervento di animali

203 P.TOMEA, «Agni sicut nive candidi» cit., pp. 34-46.

provvisti di parola. La miglior arma di conversione diventava il discorso e la capacità taumaturgica: le professioni di fede, le preghiere dei santi insieme ai miracoli di guarigione, generalmente di tipo cristologico, si imposero in età carolingia come i tratti distintivi della potenza divina residente nel

vir Dei.

La presenza di ‗relitti storici‘, come li definisce Paolo Tomea, è un altro indizio convincente per ricondurre la compilazione delle versione primitiva della Passio ad un momento anteriore all‘ultimo secolo longobardo (VIII secolo): la memoria di alcune cariche civili dal sapore decisamente tardoantico, come è il caso per il primicerius scholae candidatorum Sapricio, appare infatti improbabile nel secolo VIII avanzato o nel IX.205 In questo senso deve essere considerata anche l‘iconografia dipinta sulle pareti dell‘habitationem splendidam nella quale un angelo introduce Calimero mostrando la dimora preparata in cielo per Faustino e Giovita: gli agni sicut nive candidi, le pareti dorate e le croci apposte per singula loca ricordano, infatti, le decorazioni musive tipiche del periodo tardoantico.206 In particolare il parallelo tra l‘immagine descritta nel testo e il decoro di basiliche edificate nel VI secolo, come quella intitolata a Roma ai santi Cosma e Damiano o Sant‘Apollinare in Classe, rimandano ad una medesima concezione dell‘aldilà che si traduceva in un‘iconografia del paradiso caratterizzata da una spiccata componente agreste.207 Tale immagine è, in effetti, peculiare della letteratura cristiana anteriore al Medioevo che sovente identificò il Paradiso nel giardino dell‘Eden descritto, ad esempio, nel libro del profeta Ezechiele (Ez. 31, 8).208

Tutti gli elementi presentati per una retrodatazione della primitiva Passio sanctorum Faustini et

Iovitae, a lungo considerata un‘opera di età carolingia, sono nel loro insieme convincenti. Paolo

Tomea appare, infine, propenso a ricondurre la compilazione del testo al VI secolo, tuttavia la