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L'emancipazione dall'autorità metropolitana milanese e la politica ecclesiastica dei sovrani longobardi (VII-VIII secolo)

4. Pavia La „capitale punita'

4.2. L'emancipazione dall'autorità metropolitana milanese e la politica ecclesiastica dei sovrani longobardi (VII-VIII secolo)

Le origini della sede episcopale di Pavia, così come quelle della maggior parte delle cattedre italiche, sono nebulose: con ogni probabilità l'organizzazione della Chiesa pavese deve essere ricondotta al IV secolo e a questo stesso momento storico deve risalire la subordinazione dell‘episcopato ticinese rispetto alla metropoli ambrosiana. L'emancipazione dei presuli pavesi dall'autorità ecclesiastica milanese è da imputare proprio alla minacciosa discesa longobarda: rifugiatisi in territorio bizantino, gli arcivescovi di Milano dovettero abdicare anche al ruolo ecclesiastico fino ad allora adempiuto nella regione padana. Nella vacanza della cattedra milanese è possibile ritrovare le cause dello slittamento della dipendenza ecclesiastica pavese da Milano ad Aquileia, unici due centri metropolitani del Nord Italia. Non va dimenticato che nel 610, come conseguenza delle frizioni occasionate dall'eresia tricapitolina, la stessa cattedra patriarcale aquileiese si scindeva in due: sotto l'ala protettrice longobarda si rifugiava la dissidente frangia aquileiese contraria alla condanna dei Tre Capitoli decisa dall'imperatore Giustiniano ed accettata, seppur con qualche reticenza, dai pontefici romani.

L'indipendenza della cattedra episcopale pavese da Milano fu sancita tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo dalla subordinazione diretta alla sede petrina: i presuli di Pavia saranno ormai consacrati dai detentori della cattedra romana, condizione di privilegio legata verosimilmente allo

status di capitale di regno rivestito dalla città.274 D'altronde l'orientamento decisamente cattolico

273 Per le relazioni tra monarchia longobarda e Bobbio, vd. A.G.BERGAMASCHI, Bobbio-Pavia, in Atti del 4° Congresso

Internazionale di studi sull'Alto Medioevo (Pavia, Scaldasole, Monza, Bobbio, 10-14 settembre 1967), Spoleto, 1969,

pp. 289-304; P.MAJOCCHI, La fondazione di Bobbio e la politica «religiosa» longobarda, in La fondazione di Bobbio nello sviluppo delle comunicazioni tra Langobardia e Toscana nel Medioevo, F.G.NUVOLONE (a cura di), Bobbio, 2000, pp. 35-55; M.TOSI, Bobbio e la valle della Trebbia, in Storia di Piacenza. Dalle origini all'anno Mille, I, Piacenza, 1990, pp. 431-434.

274 Nel 680 l'episcopato pavese era verosimilmente ancora sottoposto all'autorità milanese: Paolo Diacono annota, infatti, nella sua Historia Langobardorum, che il futuro vescovo pavese Damiano aveva scritto un'epistola, sub nomine

Mansueti Mediolanensis archiepiscopi, a proposito della doppia natura e doppia volontà di Cristo, discusse nel 680 a

della monarchia longobarda, che aveva ormai abbandonato ogni coloritura ariana, apriva le porte al riavvicinamento con Roma: sotto la reggenza di Cuniperto, nel 698, veniva convocata a Pavia la sinodo destinata a ripristinare la concordia tra Roma ed i dissidenti aquileiesi. Proprio a questa temperie si può ricondurre l'inaugurazione della nuova modalità di consacrazione dei presuli pavesi ad opera dei pontefici romani. La redazione di un componimento poetico, il Carmen de synodo

ticinensi, celebrò il successo dell'iniziativa ecclesiastica che ebbe come teatro Pavia: l'abolizione

dell'eresia ariana ad opera del re Ariperto, così come la campagna di cristianizzazione lanciata contro gli ebrei da Pertarito e l'inaugurazione di una politica di aperto sostegno verso le istituzioni religiose, trovano il degno coronamento nell'azione del reggente Cuniperto, ecclesiarum ditator et

opifex.275 Il ritorno all'ortodossia degli Aquileiesi viene suggellato a Roma da papa Sergio che, secondo la versione offerta dal versificatore del Carmen, ordinò la combustione dei sectae pravi

codices, ultra ne pulluerent pravorum mentes.

L'esenzione di Pavia non poteva incontrare il favore del metropolita milanese e così, intorno al 712, l'arcivescovo Benedetto si recava personalmente a Roma per rivendicare il ritorno della sede pavese alla tradizionale subordinazione verso la cattedra ambrosiana. Le velleità milanesi verosimilmente frustrate procurarono l'acutizzarsi della competizione tra Milano e Pavia: il Versum

de Mediolano civitate fu concepito in questo contesto e la chiave di lettura del componimento

appare proprio quella di un tentativo di reazione all'affermazione, che appariva ormai definitiva, di Pavia come principale centro politico ed ecclesiastico del regno longobardo.276

La ricostruzione dello scenario di quei secoli, così poco documentati dalle tradizionali fonti scritte, può fortunatamente avvalersi di una categoria documentaria altamente caratteristica della dominazione longobarda, l'epigrafia. Una feconda stagione per la produzione di raffinate epigrafi si colloca proprio negli anni intercorrenti tra il regno di Cuniperto e quello di Desiderio: Pavia, in qualità di capitale, conserva una percentuale importante di fonti epigrafiche, pressoché uniche testimonianze per la storia cittadina dei secoli VII e VIII.277

Langobardorum, ed. L.CAPO, p. 310). Sebbene il ricordo di Paolo Diacono sia impreciso – a quella sinodo fu Anastasio a partecipare in qualità di vescovo pavese, come peraltro attesta la sua sottoscrizione agli atti (cfr. G. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum, XI, col. 306) –, tuttavia, l'episodio narrato sembra tradire la subordinazione ancora effettiva

della cattedra episcopale di Pavia alla metropoli ambrosiana. Sull'esenzione della cattedra pavese vd. E.HOFF, Pavia und seine Bischöfe im Mittelalter. Beitrage zur Geschichte des Bischöfe von Pavia unter besonderer Berucksichtigung ihrer politischen Stellung, Pavia, 1943, pp. 56-72.

275 Carmen de synodo ticinensi, MGH SRLI, pp. 189-191.

276 Vd. G.FASOLI, La coscienza civica cit., pp. 21-23; G.TABACCO, Milano in età longobarda, in Milano e i Milanesi

prima del Mille (VIII-X secolo), Spoleto, 1986, pp. 36-38.

277 Il corpus epigrafico pavese è edito in G.PANAZZA, Lapidi e sculture paleocristiane e pre-romaniche di Pavia, in

Arte del primo Millennio, Atti del II Convegno per lo studio dell'Arte dell'Alto Medioevo, Torino, 1953, pp. 211-301.

Per una recente analisi delle epigrafi longobardi, vd. S.LOMARTIRE, L'iscrizione di Cumiano e l'epigrafia longobarda dell'età liutprandea, in La Fondazione di Bobbio cit., pp. 57-70.

Il regno di Cuniperto coincide con gli anni di episcopato di Damiano, primo vescovo pavese di età longobarda del quale si riesca a delineare il profilo. Se non è possibile pronunciarsi su una sua origine greco-orientale, certamente Damiano fu un uomo di cultura particolarmente informato delle dispute cristologiche che incendiavano in quegli anni la capitale dell'Impero romano d'Oriente. È possibile che il vescovo pavese abbia goduto di un rapporto privilegiato con i pontefici romani e che al suo episcopato debba essere ricondotto l'arrivo a Pavia delle reliquie del martire romano Sebastiano: solo dopo che queste furono collocate in un altare presso la chiesa di San Pietro in Vincoli, la pestilenza che affliggeva Pavia avrebbe cessato di mietere vittime.278

La convinta valorizzazione della sede episcopale della città di Pavia, impegnata nella decisa difesa dell'ortodossia durante gli anni di episcopato di Damiano, è celebrata in un'epigrafe apposta sul luogo di sepoltura del presule pavese: nel suo epitaffio, questi è ricordato come un vescovo costruttore che fundamenta erecta usque ad fastigia fantur domus episcopiae thermarumque

vapores.279 Alla sua iniziativa sembra doversi attribuire anche un importante intervento restaurativo nella chiesa dedicata al martire Nazario, presso la quale il vescovo pavese fu sepolto. Nei versi in suo onore Damiano è inoltre celebrato per la sua sapienza, qualità che lo innalzò al disopra ―di tutti coloro che la Liguria nutre nel suo grembo e di chiunque generano i campi ateniesi‖.280 Vale la pena ricordare che nell'epitaffio il classico topos dell'umiltà si traduce nel tentativo del vescovo pavese di sottrarsi alla carica episcopale, che fu costretto ad assumere: in modo analogo anche Ivenzio,

episcopus protagonista insieme a Siro della Vita dedicata alla narrazione delle origini dell'ecclesia

pavese, tenterà di eludere la nomina episcopale rifugiandosi nella città di Lodi.281 L'eccezionale momento della storia ecclesiastica pavese rappresentato dagli anni di episcopato di Damiano si rispecchia in un clima culturale particolarmente effervescente per la capitale del regnum: le fonti, solitamente poco loquaci sugli uomini di cultura longobardi, testimoniano la presenza a Pavia di una comunità di chierici, diaconi e uomini di legge le cui sorti sono strettamente intrecciate a quelle dell'episcopato e del regno.282 La ―rinascita damianea‖, come la definisce Vittorio Lanzani, rappresentò indubbiamente il momento di affermazione della sede episcopale pavese: la rete di relazioni di Damiano e i legami con la monarchia longobarda spiegano il momento di intensa dinamicità della componente ecclesiastica cittadina, eguagliato in seguito solo negli anni di regno di Liutprando.

278 PAULUS DIACONUS, Historia Langobardorum, ed. L.CAPO, pp. 310-312. 279 F.E.CONSOLINO, La poesia epigrafica cit., p. 172.

280 Ibidem, p. 172.

281 La Vita sanctorum Syri et Iventii è stata recentemente edita sulla base del più antico manoscritto, il passionario di Bobbio Vat. Lat. 5771, in N.EVERETT, The earliest recension cit., testo pubblicato a pp. 921-942.

282 Su Damiano e la cerchia episcopale che intervenne nelle vicende legate alla sinodo pavese, vd. V.LANZANI, La

Assoluto è il silenzio delle fonti sulla storia dell'episcopato pavese nei turbolenti anni successivi alla morte di Cuniperto: la stessa conoscenza dei presuli che occuparono la cattedra pavese riposa sulla testimonianza delle ben più tarde liste episcopali.283

Il primo successore di Damiano ricordato dalle fonti è Pietro I, parente del sovrano longobardo Liutprando. Il vincolo di sangue con il re gli valse la condanna all'esilio a Spoleto all'epoca di Ariperto II (701-712), che sedette sul trono del regnum durante gli anni della minorità di Liutprando quando quest‘ultimo si allontanò dallo scacchiere italico per rifugiarsi in Baviera. Il lungo regno di Liutprando segna l'apice della dominazione longobarda in Italia. Per la prima volta, la sintonia tra monarchia e chiesa è profonda: tra le iniziative di politica ecclesiastica del sovrano spicca la traslazione delle reliquie di sant'Agostino dalla Sardegna, minacciata dalle incursioni saracene, al monastero pavese di San Pietro in Cielo d'Oro, fondato pochi anni prima dallo stesso sovrano.284 Il re fece della fede cattolica la propria marca distintiva: l'ortodossia, l'ispirazione divina che guidava i suoi atti e le azioni di pietà profuse contraddistinguono l'immagine di Liutprando tramandata dalla documentazione legislativa, epigrafica e letteraria. In questo fervore di nuove fondazioni è indubbio che il re dovette trovare un convinto sostenitore in Pietro I, vescovo pavese in odore di santità già nell'VIII secolo. Lo stesso storico dei Longobardi, Paolo Diacono, ricorda sia la sua condanna all'esilio che la miracolosa profezia della sua elezione al soglio episcopale: mentre era in visita alla chiesa intitolata a san Savino, nella città di Spoleto, Pietro I ebbe una visione nella quale lo stesso martire gli predisse la sua futura designazione alla massima carica ecclesiastica pavese.285 Paolo Diacono sottolinea l'esemplarità della vita del vescovo, caratterizzata dalla verginità e dalla performance di miracoli che l'erudito cividalese si riserva di raccontare in un momento successivo della narrazione, purtroppo mai scritta. La virtù della castità è rammentata anche dall'epitaffio dedicato a Pietro I, insieme alla munificenza verso le sacras domini aulas. Un'ulteriore informazione sulla sua figura si può estrarre dall'epigrafe funeraria di Pietro II (780-790) che ricordò il suo omonimo predecessore quale suo primo maestro, testimoniando indirettamente l'esistenza e l'attività dell'importante scuola episcopale pavese.

Gli anni di Liutprando coincidono con l'affermazione in Oriente dell'eresia iconoclastica di Leone III Isaurico (717-741), circostanza che marcò un deciso riavvicinamento della monarchia longobarda a Roma: in occasione delle ovvie tensioni che emersero tra il pontefice romano e l'esarca, Liutprando si trovò a rivestire il ruolo di mediatore tra il papa Gregorio II (715-731) e

283 Le liste episcopali pavesi sono conosciute solo attraverso documenti bassomedievali: per una presentazione esaustiva vd. J.CH.PICARD, Le souvenir des évêques cit., pp. 470-477.

284 Sulla traslazione delle reliquie di Agostino e, più in generale, la politica traslazionale di Liutprando, vd. P.TOMEA,

Intorno a Santa Giulia cit., pp. 34-41.

l‘esarca Eutichio. Una politica decisamente inedita per i monarchi longobardi che, nel momento di eclisse della presenza bizantina in Italia, si trovarono a rappresentare il naturale candidato alla protezione della sede apostolica romana. La concordia con Roma non va tuttavia sopravvalutata: la campagna militare contro l'Esarcato e la rigida posizione tenuta da Gregorio III (731-741) nei confronti della potenza longobarda rischiarono infatti di tradursi negli anni trenta del regno di Liutprando in un intervento armato contro la città petrina.286 D'altronde l'ultimo decennio di governo del sovrano longobardo fu segnato da un generale deterioramento della situazione di equilibrio e supremazia ottenuta attraverso il controllo dei ducati periferici e i buoni rapporti con le autorità 'romaniche', esarca e papa, su territorio italico. Allo sgretolamento dell'autorità del regno su tutti i territori longobardi si aggiungevano i prodromi dell'istituzione di un nuovo asse franco- romano: Gregorio III non esitò infatti a frapporsi nel vincolo di amicizia stretto tra Liutprando e Carlo Martello domandando al sovrano franco di intervenire in Italia a protezione della Chiesa romana. La cordiale relazione tra i due sovrani era infatti stata sancita dalla presenza del figlio del maggiordomo franco alla corte del re longobardo affinché quest'ultimo gli praticasse il taglio di capelli che avrebbe segnato l'ingresso di Pipino nell'età adulta. Un'azione, dunque, che celebrava l'istituzione di un vincolo 'quasi parentale' tra Liutprando e Carlo Martello. D'altronde il subregulus franco, forse rispettoso del legame con il sovrano longobardo, o più probabilmente poco interessato ad intraprendere una campagna militare sul suolo italico, ignorò ripetutamente le sollecitazioni di Gregorio III, costringendo il papa a cercare appoggi all'interno stesso del regnum. La sua forte ed ostile politica fu abbandonata dal suo successore al soglio pontificio: Zaccaria (741-752) appoggiò la politica di affermazione dell'autorità regia sul ducato di Spoleto in cambio della restituzione di quattro castelli occupati da uomini armati longobardi. L'azione del pontefice romano non si limitò ad un ritorno a toni più concilianti: Zaccaria decise di impegnarsi in prima persona per il raggiungimento della pace sul suolo italico decidendo di recarsi a Pavia per incontrare il recalcitrante monarca longobardo. Nella capitale del regnum fu celebrata la ritrovata concordia con Roma: la valutazione dell‘effettivo successo della visita papale è, però, resa impossibile dalla scomparsa di uno degli attori in gioco. Nel 744 Liutprando moriva e con lui si chiudeva il momento più felice del regnum langobardorum.

Forse agli ultimi anni di Liutprando e a quelli del suo successore al trono, Ratchis, deve essere ricondotto l'episcopato di Teodoro: l'unico documento certo a riguardarlo in prima persona è una

286 Per una maggiore dovizia di dettagli sulle campagne militari di Liutprando, vd. P.DELOGU, Il regno longobardo, in

lettera autentica di papa Zaccaria in cui il pontefice romano si pronunciava in merito alla liceità del matrimonio tra persone legate dalla parentela biologica o dal vincolo spirituale del battesimo.287

Il regno di Ratchis rappresentò l'ultima pacifica parentesi della dominazione longobarda: poco si sa del suo governo e l'informazione più significativa si riduce alla documentata presenza a Pavia del giovane Paolo di Warnefrido, che proprio alla corte del sovrano completò la propria formazione grammaticale, letteraria e, probabilmente, anche giuridica.288

Con Astolfo (749-756), fratello di Ratchis, la frattura con Roma e l'Esarcato diventò definitiva: la caduta di Ravenna e la minaccia che gravava sulla città petrina convinsero papa Stefano II (752- 757) a riprendere la politica del suo predecessore. Pavia divenne così solo una tappa del viaggio verso la corte franca, dove il pontefice romano poté trovare un interessato interlocutore nella figura di Pipino: questi decise di intervenire militarmente in Italia e in due successive spedizioni i Longobardi furono costretti a restituire al papa la città di Ravenna e i territori sottratti ai bizantini.

La concordia con il papa Stefano II segnò l‘ascesa al trono del regnum del bresciano Desiderio: ancora una volta l'armonia con Roma non era destinata a durare. La morte di Pipino nel 768 e il precario equilibrio del regno franco, diviso tra i due fratelli Carlo e Carlomanno, uniti alle nuove complicate dinamiche nelle quali si trovava implicato a Roma il detentore della cattedra petrina permisero al sovrano longobardo di giocare per l'ultima volta la parte dell'arbitro per l'equilibrio delle forze in gioco sullo scacchiere italico. Alcune scelte poco felici, come la ricezione della famiglia del defunto Carlomanno e le azioni bellicose intentate contro i territori dell'Esarcato, provocarono la decisiva e definitiva saldatura dell'asse franco-romano: nella primavera del 773 Carlo Magno frangeva le Chiuse della Val di Susa e nel giugno dell'anno seguente entrava a Pavia, condannando all'esilio Desiderio e la sua consorte Ansa.

La leggendaria narrazione dell'assedio di Pavia inserita nel Chronicon Novaliciense (XI secolo), mentre dava una rilettura 'pro-longobarda' della caduta del regno, affermava la presenza del vescovo Teodoro, ultimo baluardo della resistenza pavese: avvisato da una profezia, Carlo Magno sarebbe stato informato dell'impossibilità di conquistare la città fintantoché il presule cittadino fosse stato in vita. Solo in seguito alla sua morte la città sarebbe caduta in mano franca.289

L'episodio deve essere totalmente relegato alla sfera del mito: nel 769 in occasione del concilio romano convocato da Stefano III (768-772), il vescovo pavese allora in carica, Girolamo, impossibilitato a presentarsi personalmente inviava in sua rappresentanza due ecclesiastici della

287 MGH Epistolae Merowingici et Carolini aevi, I, p. 710.

288 Per la ricostruzione della vita di Paolo Diacono, vd. L. CAPO, Introduzione, in Paolo Diacono, Storia dei

Longobardi, EADEM (a cura di), Milano, 1992, pp. XVIII-XXXIV.

289 Cronaca di Novalesa, G.C.ALESSIO (a cura di), Torino, 1982, pp. 156-158 (sulla rilettura del mito dell'assedio del 773-774 in chiave pavese cfr. Introduzione, ibidem, pp. XXV-XXX).

Chiesa pavese, l'arciprete Teodoro e il diacono Pietro.290 A meno di non voler ipotizzare l'esistenza di un secondo vescovo di nome Teodoro in carica al momento dell'assedio di Pavia, si deve rinunciare a prestar fede alla narrazione del Chronicon di Novalesa. D'altronde nessuna lista episcopale cittadina, benché tarda, menziona un secondo Teodoro: tra Girolamo attestato nel 769 e Pietro II consacrato nel 781 le fonti coeve non danno alcuna notizia sul detentore della cattedra ticinese, mentre i cataloghi pavesi registrano due presuli, Ireneo e Gandolfo, sui quali non viene fornita nessuna informazione supplementare. Lo studioso deve dunque rassegnarsi, fintantoché nuovi dati non saranno disponibili, ad ignorare il nome del presule pavese in carica al momento della caduta del regnum.