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La Translatio sancti Syri (BHL 7978) 1 La tradizione manoscritta

4. Pavia La „capitale punita'

4.5. La Translatio sancti Syri (BHL 7978) 1 La tradizione manoscritta

La Translatio sancti Syri è edita a stampa nello studio di Cesare Prelini sui monumenti artistici e letterari legati alla memoria di Siro: i due volumi, pubblicati nel 1890, peraltro difficilmente reperibili, offrono l‘edizione, con traduzione italiana a fronte, della totalità della produzione agiografica altomedievale (ad esclusione dell‘inno BHL 7977b) legata alla figura del protovescovo pavese.384 Il racconto del trasferimento delle reliquie del santo ticinese trova qui la sua unica edizione: la versione pubblicata dal Prelini è estratta da un passionario iemale per circulum anni, conservato oggi alla Biblioteca Capitolare di Novara (Bibl. Cap. LXIII, ff. 104-110). Nel manoscritto, datato al secolo XI, è registrata l‘agiografia completa dedicata alla figura di san Siro (BHL 7976+4619) alla quale segue la versione più estesa della Translatio.

384 C.PRELINI, San Siro primo Vescovo e Patrono della città e Diocesi di Pavia: studio storico-critico, Pavia, 1890, pp. 234-268.

Un‘aggiornata recensio dei manoscritti è presentata da Luca Tammaro nel suo studio sulle fonti di BHL 7978:385 lo studioso descrive le due famiglie di testimoni, novarese e piacentina, alle quali appartengono i cinque manoscritti superstiti contenenti il testo in questione. Due dei quattro testimoni novaresi sono codici descripti del Novara Bibl. Cap. LXIII: si tratta del manoscritto conservato nell‘archivio storico diocesano di Novara (Arch. Cap. Santa Maria, II, sec. XII med.)386 e del cosiddetto ‗passionario di Gozzano‘ conservato nello stesso archivio (Passionario di Gozzano, P I, sec. XII).387 Il quarto testimone novarese, anch‘esso presso l‘Archivio Storico Diocesano (Arch. Cap. Santa Maria, XXVI, sec. XII), è un passionario estivo, ordinato da aprile ad agosto: pur contenendo racconti agiografici diversi dai due codici descripti appena presentati, il manoscritto XXVI è comunque apografo del LXIII per il testo della Translatio sancti Syri.388 Quest‘ultimo risulta dunque essere a capo della famiglia novarese, almeno per la tradizione di BHL 7978.

Cesare Prelini segnala l‘esistenza di un ulteriore testimone di BHL 7978 all‘interno del codice identificato come ―Vol. 62 grande, cantonale 5‖ della Biblioteca Capitolare di Piacenza, del quale lo studioso propone una datazione all‘XI-XII secolo. Luca Tammaro abbassa la datazione al XII secolo exeunte e ipotizza che il manoscritto sia un omeliario-passionario per circulum anni (114 omelie e 62 Vitae o Passiones) redatto dopo la costruzione del Duomo di Piacenza nel 1122. La

Translatio appare essere datata al 17 maggio, giorno in cui era effettivamente celebrato il dies translationis presso la Chiesa ticinese. Lo studioso concorda con il Prelini nel collegare la raccolta

all‘ambito pavese: il codice potrebbe essere appartenuto alla Chiesa di Pavia o ad un‘istituzione ecclesiastica legata alla diocesi ticinese. Il testo fa, infatti, riferimento ai vescovi pavesi indicando ―nonnulli huius urbis episcoporum‖ e al corpo di Siro come ―hoc venerabile corpus‖, laddove nei codici novaresi è scritto ―nonnulli Ticinensis urbis episcoporum‖ e ―illius venerabile corpus‖.389

La limitata tradizione manoscritta del racconto di traslazione delle reliquie di san Siro rispecchia l‘interesse eminentemente locale di tale tipologia di testo: la Translatio sancti Syri non trovò, infatti, spazio nei grandi leggendari transalpini che ospitavano il racconto della vita del santo e la sua diffusione si limitò alle diocesi immediatamente adiacenti quella pavese. Considerate le ipotesi di datazione dei testimoni, l‘irradiamento del testo rispetto al momento di redazione, da considerare il secondo quarto del IX secolo, appare piuttosto tardivo. Una nuova ricerca dei testimoni di BHL

385 L.TAMMARO, Le fonti della “Translatio sancti Syri”, «Italia Medioevale e Umanistica» 39 (1996), pp. 27-45. 386 N. COLOMBO, I manoscritti delle Biblioteche di Novara, in G. MAZZATINTI, Inventari dei Manoscritti delle

Biblioteche d‟Italia, VI, Forlì, 1896, pp. 78-79; A. PONCELET, Catalogus Codicum Hagiographicorum Latini Bibliothecae Capitularis Novariensis, AB 43 (1925), pp. 333-335.

387 B.BAROFFIO – E.DAHNK BAROFFIO, Due manoscritti Passionari-Lezionari novaresi, «Novarien» 5 (1973), p. 138; G.PHILIPPART, Catalogues récentes de Manuscrits. Huitième série, AB 93 (1975), p. 189.

388 A.PONCELET, Catalogus Codicum Hagiographicorum Latinorum Bibliothecae Capituli Novariensis cit., pp. 330- 376, per la descrizione dei tre codici vedi pp. 333-335, 337-339, 353-355.

7978 sarebbe auspicabile, non potendo essere esclusa l‘esistenza di ulteriori testimoni nelle biblioteche ecclesiastiche dell‘Italia settentrionale non inventariate dai Bollandisti e non indagate dal Prelini.

4.5.2. La Translatio sancti Syri: il contesto redazionale

L‘orgoglio pavese è ancora una volta il nervo sul quale si innesta il materiale agiografico: per la prima volta Siro è apertamente riconosciuto con l‘epiteto di “patronus Ticinensis”, termine destinato a grande successo a partire dei secoli centrali del Medioevo. Il culto legato alla figura del protovescovo pavese doveva aver ormai assunto una dimensione tale da identificare in Siro il più importante santo della Chiesa locale, il principale protettore dell‘ecclesia ticinese.

Il successo del vir Dei è uno dei moventi all‘origine del cambiamento di luogo di sepoltura delle sue reliquie e della poco posteriore celebrazione dell‘operazione in un nuovo documento letterario: come lo stesso agiografo dichiara, le spoglie di Siro si trovavano lontano dal luogo dove il vescovo e il clero celebravano i sacri offici, condannate per conseguenza ad una scarsa frequentazione da parte del clero e della popolazione urbana.390 La condizione di ‗lontananza-abbandono‘ del corpo del santo pesava da tempo nei pensieri dei vescovi pavesi, che avevano già cullato il progetto di trasferire il corpo del santo, pur non decidendosi all‘azione. È infine il vescovo Donumdei,

inflammatus earundem reliquiarum reverentiae zelo, ad agire: le spoglie mortali del santo sono così

trasferite nella cattedrale di Santo Stefano (caput episcopii) in modo che la Chiesa pavese non debba più soffrire l‘assenza delle reliquie corporali del santo. Segue una breve sollecitazione ad onorare i giorni festivi che scandiscono il calendario, tra i quali è inserito il giorno della traslazione. L‘agiografo ricorda dunque l‘attività predicatoria di Siro che è paragonato a un attento coltivatore intento a liberare il campo da spine e pietre per preparare il terreno alla semina.391 Viene poi ricordato all‘uditorio che le gesta del santo sono raccolte in un libellus che è conservato presso la Chiesa pavese, grazie al quale la curiosità del fedele di conoscere le vicende della vita di Siro può essere soddisfatta. L‘orgoglio pavese emerge, dunque, nella fiera affermazione che la fama di Siro ha toccato persino i lontani abitanti della Grecia e di Gerusalemme. Al comune topos dell‘insufficienza della memoria a conservare il ricordo di tali gesta e dell‘incapacità della scrittura

390 Translatio sancti Syri, ed. C.PRELINI, p. 234: quae (= reliquiae) cum essent eminus ab ecclesia, ubi episcopus

clericorumque conventus officiorum gratia convenit, minus studiose circa reverentiam sacri corporis eius occurrebat urbana frequentia.

391 Ibidem, p. 238: Nam sicut idoneus cultor ab agro spineta prius silicemque secat, ac postmodum scindit, ut ad

culturam committendi seminis coaptetur, ita venerabilis Pater noster Syrus episcopus, infidelitatis spinas amaritudinemque gentilitatis erroris falce divini sermonis incidens, funditus resecavit ; ac deinde quoque sermonis evangelici semina fudit multiplicibusque praedicationis alloquiis sanctam Dei Ecclesiam propagavit.

a raccontarle, segue la perorazione del valore dei miracoli operati dal santo, capaci di confermare la fede nei petti dei credenti. Utili e benevoli per gli uomini probi, le manifestazioni della virtus divina sono invece terribili per i malvagi. L‘agiografo ricorre, dunque, ad un exemplum biblico, ricordando la fuga d‘Egitto degli ebrei: l‘apertura delle acque del Mar Rosso che aveva reso possibile la salvezza del popolo di Dio, era invece stata la rovina per gli infedeli inseguitori.

L‘importanza del miraculum, per il suo valore didattico e di conferma nella fede, sprona il compilatore a registrare gli exploit della virtus divina verificatisi sotto gli occhi di tutti in occasione del trasferimento delle reliquie del santo.392 A questo punto l‘agiografo si lancia in una difesa accanita della possibilità di intercessione dei santi, partecipi della natura di Dio, e del valore delle reliquie come pegno della protezione divina del santo.393

Inizia, quindi, il racconto di traslazione vero e proprio. Tutti gli stereotipi agiografici del genere ‗Translationes‘ sono rispettati: il corpo del santo, portato a spalle dai sacerdoti, emana un odore divino che non può far dubitare della gloria di Siro. L‘obiettivo polemico del compilatore è la posizione eretica di coloro che non attribuivano alcun valore alle reliquie dei santi, equiparandole alla ossa dei comuni mortali. Tale indirizzo di pensiero è riconosciuto sotto la definizione di ―obiectio vigilantiana‖ usata ripetutamente dall‘agiografo con accenti apertamente denigratori (vigilantianus sycophanta). Segue la presentazione del pensiero di colui che scrive, convinto sostenitore del culto delle reliquie, grazie al quale è possibile la contemplazione e comunione con la divinità.394

La narrazione segue, infine, più piana nel ripercorrere le tappe del trasferimento del corpo di Siro: le spoglie del protovescovo pavese sono accolte inizialmente dalla basilica iemale di Santa Maria. Tra le mura della chiesa si manifesta la virtus del santo che guarisce una paralitica e libera un fanciullo posseduto dal demonio. La fama dei miracoli operati dalle spoglie di Siro si diffonde e la folla di fedeli accorre sempre più numerosa: le guarigioni, così come gli esorcismi si moltiplicano tra le mura della basilica. Il compilatore ricorre nuovamente alla sua cultura biblica per spiegare

392 Translatio sancti Syri, ed. C.PRELINI, p. 240: Nam sanctorum miracula tremuisse patres agnovimus, quae fidelium

soliditate firmavere pectoribus. Ac sicut erant semper horrenda sinistris , sic quoque semper celebranda sunt piis cultoribus; et quae commoda fidelibus affuere, dura malis affuisse nullus nisi clemens interpres poteri autumare. […] Hac itaque ratione fideli populi ticinensi ad fidei soliditatem prosunt miracula, quae cunctorum pene visibus illuxerunt, tempore reliquiarum translationis sanctissimi Syri episcopi, cuius patrocinio diversa curationum genera, innumera multitudo percepit.

393 Ibidem, p. 242: et qui solus est naturaliter Deus per adoptionem filiorum homines in divina trasnfert naturam, cum

eos ultra meritum humanae naturae transcendere cogit, eosque in membra divinitatis assumit , atque sanctificat. Hoc igitur modo summum bonum, id est principium totius bonitatis Deus, cuius aeternitatis interminabilis vitae spatium mirabili gyro concludens, est Sanctorum omnium caput, cuius membra divinitatis adsumentia naturam, quilibet sancti sunt, qui etiam in divinam conversi naturam dii nuncupantur.

394 Ibidem, p. 246: Nos igitur Sanctorum veneremur reliquias, ut ad contemplationem atque communionem maioris,

come le capacità taumaturgiche del santo siano benefiche non solo nei confronti delle facoltà corporali dei fedeli, ma soprattutto di quelle spirituali: viene, dunque, riportato un episodio della lettera agli Efesini (Epist. Ad Ephesios 3, 14-15) nella quale l‘azione di Paolo di inginocchiarsi davanti al Signore è letta come il piegamento delle ginocchia spirituali, insieme a quelle corporali.

Il corpo di Siro dimora nella chiesa di Santa Maria per ventitre giorni, durante i quali si procede alla preparazione del luogo di definitiva sistemazione delle reliquie del santo nella cattedrale di Santo Stefano. Il vescovo circondato dai sacerdoti della sua Chiesa procede infine all‘elevazione del corpo del santo in un lenzuolo, che si rivela miracolosamente intriso di abbondantissimo e profumatissimo umore. Scortato dalla folla pressante, senza tuttavia che si verifichi alcun incidente, il feretro è portato a spalla dai sacerdoti. Numerosi sono i fedeli, vicini e lontani, beneficiati dai miracoli di Siro, per i quali l‘agiografo insiste nuovamente sull‘impossibilità della lingua ad esprimerli e l‘incapacità della memoria a trattenerli.395

Gli ultimi exploit miracolosi del santo rientrano nella categoria delle punizioni divine per il mancato rispetto dei giorni festivi. Obbligato dal proprio padrone, un bracciante si accinge al lavoro dei campi nel giorno del riposo domenicale. Le spighe di grano, che lo sfortunato contadino aveva stretto in mano apprestandosi alla mietitura, restano miracolosamente serrate nella sua mano contratta, che non può essere distesa in alcun modo. Solo il ricorso a san Siro e la permanenza presso le sue reliquie per la durata di tre giorni possono, infine, decontrarre la mano dell‘uomo, sulla quale restano, però, incisi i segni delle spighe. Il secondo miracolo si manifesta in maniera analoga nei confronti di un incauto pastore, intento a pascolare le proprie capre.

Il racconto agiografico termina con il ringraziamento per la protezione accordata da san Siro alla sua Chiesa e al suo popolo e per l‘intercessione del santo presso Dio affinché i suoi fedeli possano attingere anche solo ad una porzione della sua beatitudine eterna.396

L‘insistenza dell‘agiografo sulla propria fiducia nella capacità di intercessione di san Siro presso Dio e della validità del culto dedicato alle sue reliquie costituiscono il principale argomento per una datazione del testo al secondo quarto del IX secolo, che deve probabilmente essere ulteriormente circoscritto agli anni di regno di Lotario I in Italia (822-839), sotto il cui governo la città di Pavia godette nuovamente del favore della dinastia al potere. Controverso è invece l‘unico elemento di datazione puntuale fornito dal testo: l‘enigma dell‘identità del vescovo pavese Donumdei non è

395 Translatio sancti Syri, ed. C.PRELINI, p. 262: igitur ad enarranda specialiter tantorum signa miraculorum, quae

generali virtute beaty Syri merita proferunt, nec dicere lingua sufficit, nec memoria retinere.

396 Ibidem, p. 268: Sed nos qui de meritorum suorum gratulamur, oremus ut intercessio gloriosa quam apud Dominum

nostrum praevalere sine cunctatione credimus, beaty Syri nos protegat, ut aliquam suae beatitudinis portionem in aeternum attingere mereamur, auxiliante Domino Nostro Jesu Christo, cui est honor et gloria in saecula saeculorum.

stato ancora sciolto dalla storiografia. Paradossalmente proprio gli anni che videro il rilancio di Pavia come sedes regia sono quelli per i quali la storia ecclesiastica della città è meno documentata. Perfino i più antichi cataloghi episcopali pavesi, risalenti al XIV secolo, evidenziano la totale mancanza di notizie sul vescovo Adeodato, la cui unica azione conosciuta rimane la traslazione del corpo di Siro. Alba Maria Orselli, accettando le ricostruzioni offerte da Opicino de Canistris e dalla cosiddetta Cronica de corporibus sanctis civitatis ticinensis, ipotizza una datazione dell‘episcopato di Adeodato i cui limiti sarebbero gli anni 829/30 e l‘840/41, pur suggerendo che ―tutto il problema dell‘episcopato di Donumdei debba essere sottoposto a un radicale ripensamento‖.397 E‘ possibile inoltre che il seggio episcopale di Pavia abbia registrato un periodo di vacanza, condizione che pare suggerita dall‘assenza del rappresentante pavese alla sinodo di Mantova (827), alla quale parteciparono la maggioranza dei vescovi dell‘Italia settentrionale.

La competizione con Milano sembra essersi placata nella convinzione del prestigio e della fama del primo vescovo ed evangelizzatore di Pavia, ormai riconosciuti al di là delle mura cittadine fin nelle lontane terre greche e gerosolimitane. E‘ pur vero che, anche se implicitamente, Ambrogio resta un importante termine di paragone: l‘agiografo usa ripetutamente gli scritti del doctor milanese come fonte per il suo racconto. Tuttavia la preoccupazione principale non appare più quella di affermare l‘indipendenza di Pavia dall‘orbita della metropoli ambrosiana: questa volta, il nerbo centrale del testo è piuttosto di ordine dottrinale.

Il tratto distintivo del testo, per il quale il racconto del trasferimento delle reliquie di san Siro offre il pretesto, è l‘affermazione decisa della fiducia dell‘agiografo nella virtus miracolosa insita nelle reliquie dei santi. È indubbiamente questo l‘indizio determinante per una collocazione precisa del testo nell‘arco temporale: l‘agiografo critica aspramente la posizione di coloro che mettevano in dubbio la validità del culto delle reliquie, pensiero che viene assimilato alla ‗obiectio vigilantiana‘.398

Il prete Vigilanzio, di origine aquitana, era stato pellegrino in Terrasanta sul finire del IV secolo e qui aveva potuto assistere ad alcune celebrazioni cristiane a suo avviso idolatriche, tra le quali

397 A.M.ORSELLI, La città altomedievale cit., pp. 255-256, 307-308, citazione a p. 308. Cfr. Cronica de corporibus

sanctis civitatis ticinensis = RIS2 XI, vol. 1, pp. 55-57; OPICINUS DE CANISTRIS, De laudibus civitatis ticinensis = RIS2 XI, vol. 1, pp. 1-54.

398 Ibidem, pp. 242-244, 246: […] ne taciti aliqua videamur obiectione vigilantiana reprehendi, quae penitus nihil, inter

Sanctorum cineres ac ossa communia interesse blasphemat.

[…] Vigilantianus sycophanta putrido poterit ore conferre.

[...] Nos igitur Sanctorum veneremur reliquias, ut ad contemplationem atque communionem maioris, idest animae,

spiccava la devozione per le ossa e le ceneri dei martiri.399 Le convinzioni del sacerdote aquitano trovarono espressione scritta in un trattato andato perduto e le uniche e mediate informazioni sul suo pensiero, che aveva verosimilmente conquistato non pochi seguaci nel sud-est della Gallia, sono reperibili nel pamphlet di Girolamo ―Contra Vigilantium‖, compilato al principio del V secolo. Una parte importante della polemica di Vigilanzio nei confronti della devozione consacrata alle reliquie dei santi si concentrava proprio sulla pratica della traslazione delle ceneri ed ossa dei santi nella quale il prete vedeva un chiaro residuo di paganesimo. La convinzione che l‘anima dei martiri non fosse più sulla terra si congiungeva alla sicura negazione della presenza dei santi e di Dio nei loro resti mortali, escludendo così ogni possibilità d‘intercessione a favore dei viventi.

L‘accanita condanna della ‗obiectio vigilantiana‘ sarebbe per lo meno curiosa in un agiografo vissuto quattro secoli dopo la già efficace risposta di Girolamo. Però proprio al principio del IX secolo la critica al culto delle reliquie era stata rilanciata da un‘autorevole personalità, intimamente legata all‘entourage dei sovrani carolingi, Claudio vescovo di Torino († 827 ca).400 L‘ecclesiastico iberico aveva soggiornato a Lione presso l‘arcivescovo Leidrado e da qui la sua fama aveva raggiunto la corte di Ludovico, allora re di Aquitania, che non esitò a chiamarlo a corte. Grande conoscitore della Bibbia, Claudio fu elevato al soglio episcopale di Torino intorno all‘817-818: l‘abbondanza di immagini sacre nelle chiese al sud delle Alpi scatenò la dura reazione del vescovo che ordinò la rimozione non solo delle icone, ma anche dei crocifissi e si lanciò in una convinta campagna contro la venerazione delle immagini e della Santa Croce, il culto delle reliquie e i pellegrinaggi. La predicazione iconoclasta di Claudio filtrò nei suoi scritti e il commento sulla lettera ai Corinzi da lui compilato e dedicato ad un amico, l‘abate Teodemiro, fu da quest‘ultimo inviato a corte affinché le posizioni dottrinali espresse dall‘ecclesiastico iberico fossero qui esaminate. Convinto della validità delle proprie idee Claudio rispose con la compilazione di un opuscolo, l‟Apologeticus atque rescriptum adversus Theutmirum abbatem, del quale non è malauguratamente sopravvissuta nessuna copia.401 Gli unici estratti superstiti del trattato sono racchiusi nelle opere di confutazione compilate, su domanda degli stessi sovrani carolingi, da Giona d‘Orléans e Dungal. Il magister irlandese risiedeva in quegli anni a Pavia e qui scrisse i celebri

399 Sulla posizione di Vigilanzio, il contesto nella quale essa si articolò e la risposta di Girolamo vd. D.G.HUNTER,

Vigilantius of Calagurris and Victricius of Rouen: ascetics, relics and clerics in late Roman Gaul, «Journal of Early

Christian Studies» 7 (1999) 401-30. Cfr. HIERONYMUS, Contra Vigilantium, PL 23, coll. 339-352.

400 Per un sintetico profilo biografico di Claudio vd. P.DEPREUX, Prosopographie de l‟entourage de Louis le Pieux

(781-840), Sigmaringen, 1997, pp. 154-155; G.SERGI, Claudio di Torino, in DBI 26, pp. 158-161. Sulla controversia occidentale relativa al culto delle reliquie e delle immagini vd. D.APPLEBY, Holy Relic and Holy Image: Saints‟ Relics

in the Western controversy over images in the Eighth and Ninth Centuries, «Word and Image», Vol. 8, n. 4, pp. 333-

343.

401 La disputa dottrinale scatenata dalla posizione di Claudio è analizzata acutamente nel recente lavoro di edizione dei

Responsa contra Claudium, adempiendo all‘esortazione dell‘imperatore Ludovico il Pio e di suo

figlio Lotario. L‘opera di Dungal, sopravvissuta in due manoscritti entrambi datati al IX secolo, offre un‘esposizione completa della posizione della Chiesa occidentale, convinta sostenitrice della validità della venerazione delle immagini e del culto delle reliquie. Il nome di Vigilanzio ritorna spesso nello scritto di Dungal, attraverso il filtro geronimiano. Le affinità di pensiero tra il magister irlandese e l‘agiografo della Translatio sancti Syri sono tali che ancora oggi la critica reputa possibile un‘attribuzione di BHL 7978 alla piuma di Dungal.402

I due testi presentano innegabilmente una coincidenza di fonti, che potrebbe tuttavia essere da imputare all‘uso di un repertorio di testi disponibile a Pavia e, dunque, consultabile da entrambi i